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autore

JUHANI PALLASMAA

 

titolo

LA MANO CHE PENSA: Saggezza esistenziale e incarnata nell’architettura

 

editore

SAFARÁ EDITORE

 

luogo

PORDENONE

 

anno

2014

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

 

Titolo originale: Juhani Pallasmaa, The Thinking Hand: Existential and Embodied Wisdom in Architecture, Jhon Wiley & Sons Ltd./Objet 2009

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

Descrizione: Descrizione: Descrizione: la-mano-che-pensa

 

Il ruolo della mano nelle arti creative e in particolare in architettura. Con esempi storici del contributo della manualità nello sviluppo dell’intelletto, del pensiero, del linguaggio e della creatività umana.

Si affronta il tema dell’importanza di mantenere un contatto fisico e esistenziale con il proprio lavoro, con occhio critico verso la meccanizzazione del processo creativo.

Viene valutato il giusto peso da dare alla conoscenza teorica di una forma d’arte, con particolare riferimento all’architettura; e alla conoscenza incarnata della stessa, appresa tramite l’esperienza.

Infine si prende in considerazione il ruolo fondamentale dell’emozione di chi fa esperienza di un’opera d’arte e il compito che questa deve assolvere nella vita di tutti.

 

 

  

Giudizio Complessivo: 8 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Elena Negri

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2015/2016

 

 

 

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Autore Juhani Pallasmaa

 

Juhani Pallasmaa (14 Settembre 1936, Hämeenlinna

, Finlandia) è un teorico, architetto finlandese ed ex professore di architettura, nonché decano, alla University of Technology di Helsinki. È stato a capo dell’ Istituto d’Arte Industriale di Helsinki, e direttore del Museo di Architettura Finlandese. Nel 1983 ha aperto il suo studio - Arkkitehtitoimisto Juhani Pallasmaa KY - a Helsinki. È stato anche Visiting Professor di Architettura alla Washington University di St. Louis; ha lavorato come Plym Distinguished Professor alla University of Illinois di Urbana-Champaign ed è stato Scholar in Residence alla Taliesin di Frank Lloyd Wright.  È stato autore o editore di più di 30 libri, tra cui “Gli occhi della Pelle,  L’Architettura e i Sensi”. È membro della giuria del premio Pritzker dal 2008.

Juhani Pallasmaa

 

Contenuto

Il libro raccoglie le riflessioni dell’autore in base a più di quarant’anni di lavoro a contatto con artisti e artigiani. Pallasmaa punta a ridefinire il mestiere dell’architetto – ma anche dell’artista in generale – attraverso teorie in continuità col passato. In particolare sottolinea l’importanza dell’aspetto fisico e propriamente manuale dell’arte; in quanto fare architettura non è un mero processo sistematico e ripetitivo di calcolo, come indurrebbe a pensare il disegno elettronico, ma una fusione di ragione e intuizione, quest’ultima scaturita appunto da una “saggezza incarnata” derivante non solo dalla vista, ma anche dal tatto e da tutti gli altri sensi.

La posizione dell’autore non è tuttavia avversa ai nuovi mezzi di progettazione virtuale, che ritiene infatti utili per velocità di elaborazione e praticità; ma esorta il lettore/studente a comprendere la potenza creativa della mano e della matita sul foglio, così come della stretta relazione che deve intercorrere tra l’architetto e gli artigiani a lui affini.

 

CAPITOLI

Introduzione_Esistenza incarnata e pensiero sensibile

L’autore introduce la sua tesi parlando del pensiero dualistico corpo-mente nella cultura occidentale odierna, che definisce di tipo consumistico/industriale. Il corpo ha per lo più una concezione fisica e viene inteso più come strumento e “contenitore” dell’identità, ne viene quindi ridotto il vero valore di “conoscenza incarnata”. La teoria dell’autore concepisce il corpo come “entità cosciente”, in quanto l’uomo è collegato al mondo attraverso i sensi e attraverso questi ne prende coscienza. A conferma di ciò porta la constatazione che le abilità manuali, intrinseche a ogni tipo di arte, risiedono in una sorta di memoria incarnata che sta nei muscoli e nei sensi. Nello stesso modo perciò, l’architettura  nasce da una conoscenza esistenziale vissuta. La mano tocca e conosce, materializza l’idea attraverso lo schizzo e così nasce l’architettura. Il lavoro creativo possiede una doppia prospettiva: quella del mondo (che si focalizza sullo spazio esterno) e quella di se stessi (che si focalizza sullo spazio interiore); e allora l’architettura assume un doppio scopo: essere riparo per il corpo e delimitarne la coscienza.

1.    La mano misteriosa

·  Le essenze multiple della mano

La mano è uno strumento di precisione con comprensione, volontà e desideri propri. Si cita come esempio, ciò che “raccontava” la mano di Le Corbusier: è espressione del carattere della persona, attraverso gesti e movimenti; ha una sua personalità, ne rivela occupazione e mestiere. Le mani hanno una propria individualità e unicità definita dalle impronte digitali. Svologno ruoli sociali e hanno comportamenti propri (affetto o ostilità, amicizia o rifiuto, coraggio o crimine). Hanno un’estensione temporale attraverso le opere d’arte: la “Pietà Rondanini” fa percepire ancora oggi, anche solo guardandola, il tocco della mano di Michelangelo che lavora la scultura.

·  Che cos’è la mano?

La definzione classica di mano è quella di organo: superficie anatomica che si estenda dal polso alla punta delle dita. In prospettiva biochimica è invece una parte integrante del braccio intero, i cui muscoli funzionano in coordinazione con quelli di collo, schiena e gambe. Il suo significato si allarga ulteriormente nell’anatomia fisiologica: fanno parte della mano anche quelle parti del cervello che sono coinvolte nel suo funzionamento. La mano va oltre la sua definibilità, è una “necessità base della vita umana” e ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo di intelletto, linguaggio e pensiero.

Citando il neurologo Frank R. Wilson “il cervello è mano e la mano è cervello”.

·  Mano, occhio, cervello e linguaggio

Lo sviluppo del cervello umano è conseguenza dell’aumento dell’uso degli strumenti per mezzo delle mani. L’origine dell’uomo è da riscontrare nel momento in cui la scimmia è diventata bipede e ha iniziato a usare strumenti (grazie al pollice opponibile).

L’origine del linguaggio a sua volta si fa risalire alla prima manifattura collettiva con uso di strumenti; alla quale è seguita una primordiale struttura sociale.

·  La mano come simbolo

Nel palolitico, l’affermazione di sé, dell’individuo, veniva espressa attraverso le impronte rupestri. Attraverso i secoli, mani rappresentate in particolari posizioni potevano esprimere vari significati: le dita attorcigliate con mani mutilate, rinvenute nella grotta di Gargas in Francia, sono state interpretate come simbolo di atti sacrificali; nelle culture semitiche la mano rappresenta il potere; “imporre le mani” significa “trasmissione di potere”; mani sollevate o piegate sono simbolo di preghiera; la mano destra è il bene, la sinistra è il male. All’origne della bendeizione cristiana, in epoca bizantina, sta il gesto della mano sollevata e aperta; mentre nell’araldica rinascimentale diviene simbolo di forza, fedeltà, innocenza e concordia. Le mani infine possono comunicare stati sociali, civili, professionali a seconda di come sono dipinte o accessoriate.

·  I gesti della mano

Comunicare con i gesti è il linguaggio naturale e universale per l’uomo e non necessità di alcun insegnamento.

·  I linguaggi della mano

Ad ogni cultura corrisponde uno specifico linguaggio delle mani: per le culture indigene è il linguaggio dei segni; per le comunità segrete e/o religiose è il linguaggio dei segni occulti; per la retorica o la recitazione è la gestualità naturale spontanea durante i dialoghi verbali.

2.    La mano al lavoro

·  La mano e lo strumento

L’utilizzatore abile uso lo strumento come estensione della sua mano (e del suo corpo). I buoni strumenti infatti sono modellati direttamente dalla mano e dall’azione: è il lavoro che raffina lo strumento.

Come la mano anche gli strumenti hanno una loro specificità; ciò è dimostrato dalla diversa evoluzione per esempio degli strumenti giapponesi e di quelli europei/occidentali. Questi rispecchiano infatti una diversa cultura del lavoro.

Per quanto rigurda l’estetica dello strumento, essa sta nell’adattabilità alla mano, nella funzionalità e capacità performativa di quest’ultimo. E nello stesso modo gli edifci possono trasformarsi in “strumenti architettonici” con la stessa estetica degli strumenti artigianali. Ne sono un esempio lampante le case australiane di Glenn Murcutt.

·  La mano dell’artgiano

I professionsiti, come artigiani, medici, architetti, allenano le proprie mani a compiti altamente specializzati, al punto di istituire un legame fortissimo tra propria professione e fine della propria esistenza. La meccanizzazione industriale mette a rischio questo contatto tra mano e sfera quotidiana, causando un’interruzione nella trasmissione delle abilità manuali alle generazione successive. La maestria artigiana implica inoltre proiezione mentale nel lavoro portato a termine; il buon artigiano deve sapere fondersi con il suo prodotto. R. Sennett sostiene che tutte le abilità, anche quelle astratte, nascono da pratiche corporee, mentre l’intelligenza tecnica si sviluppa attraverso l’immaginazione. Per questo motivo i modelli fisici sono di grande utilità nel processo di progettazione dell’architetto e del designer.

·  Artigianato collaborativo

Il disegno a mano ha la facoltà di crerare un collegamento diretto mano-occhio-mente. Il disegno e il modello hanno due scopi: facilitare il processo progettuale e mediare le proprie idee agli altri.

Raramente il progettista riesce a realizzare l’oggetto da lui stesso progettato. Per fare ciò è fondamentale conscere i limiti dei materiali e delle capacità artigiane e saper comunicare efficacemente le proprie idee ad artigiani specializzati, le cui mani diverranno il surrogato di quelle del designer/progettista.

·  Architettura come mestiere

In origine l’architettura era considerata un “mestiere”, un’arte manuale. Si faceva direttamente in loco e senza alcun disegno. Nel Rinascimento gli architetti sono anche pittori e scultori, quindi all’architettura viene dato un nuovo fondamento teorico, diventando “arte liberale”.

In alcuni paesi però, l’architettura ha avuto uno sviluppo storico diverso: per esempio in Danimarca, dove dalla professione del costruiresi è in seguito originata la distinzione tar architettura e lavoro fisico di costruzione. L’approccio in questo caso è più di legame idea-materia.

Oggi l’uso del PC ha in qualche modo indebolito la connessione tattile tra immaginazione e oggetto; tuttavia esistono studi che cercano di ricreare questo legame tra architettura e manifattura. Renzo Piano per esempio definsice il suo, come l’approccio tipico dell’artigiano; è un processo circolare: schizzo à disegno à modello à cantiere à disegno.

3.    Fusione occhio – mano – mente

·  Sperimentazione e arte del gioco

L’autore fa una distinzione di approccio al lavoro per i mestieri artigianali: il mestiere del rischio, in cui è possibile l’errore ma il prodotto finale è particolarmente ammirato; e il mestiere della certezza, che prevede una qualità predeterminata del risultato. Lo stesso accade per gli studi di architettura di oggi, per cui da un lato ci saranno quelli che osano con nuove strutture, materiali e tecniche, e dall’altro quelli che utilizzano metodi e soluzioni standard.

Progettare può anche essere un gioco della mano insieme alla mente; vengono a questo proposito citati come esempio due architetti finlandesi: Reima Pietilä e Alvar Aalto. Il primo lavora per schizzi di immagini linguistiche e visive; il secondo invece lascia la mano “distratta” sul foglio, gioca apparantemente con l’inconscio nello schizzare, generando immagini astratte. L’idea è quella di combinare il lavoro serio di laboratorio con una mentalità di gioco e viceversa. Tecnologia ed aspetti economici devono combinarsi con un miglioramento della vita, come si può vedere nella Experimental House a Muuratsalo, in cui Aalto pratica degli esperimenti di design sui materiali.

·  Abilità e noia

L’abilità è la pratica appresa con l’esercizo;  lo sviluppo di questa ha però dei risvolti negativi secondo Sennett. Essa può dare una sensazione di “falsa disinvoltura” e “senso di sicurezza” che vanno a minare lo spirito creativo dell’artigiano, che dovrebbe affrontare ogni lavoro in modo differente. Il risultato migliore scaturisce dal processo, non da un’idea prefissata, bellezza e semplicità non sono obiettivi consapevoli, secondo Brodskij.

Un altro problema suscitato dalla pratica può essere la noia, che può essere però tenuta a bada dai progressi. E anche per questo l’autore sostiene l’importanza di educare fin dall’infanzia i bambini alla noia, perché è questa ad accendere l’immaginazione.

·  Occhio, mano e mente

Perfezionando qualsiasi tipo di attività creativa si migliora l’interazione di occhio-mano-mente, rendendolo un sistema unico. Quest’ultimo crea un’immagine che non è solo rappresentazione dell’oggetto, è l’oggetto. Grazie ad un allenamento assiduo, con il sistema occhio-mano-mente si elabora un sistema percezione-obiettivo-risposta in frammenti di secondo.

4.    La mano che disegna

·  Disegnare e il sé

Lo schizzo e il disegno sono esercizi spaziali e aptici che fondono la realtà esterna (spazio e materia) con la realtà interna (percezione e immaginario mentale). Col disegno registro tre immagini istantanee: disegno su carta, immagine visiva registrata nella memoria cerebrale e memoria muscolare dell’atto del disegno. Esso permette di ricordare meglio un’esperienza visiva, rispetto a quanto possa fare una foto; ed è per questo che i grandi osservatori sono abili nel disegno.

·  La tattilità del disegnare

Berger e Matisse sostengono che esiste un’interazione dialettica tra disegno su carta e immagine mentale: ad ogni linea tracciata sul foglio, nella mente si ridisegna il modello e la sua percezione. Il modello mentale può scaturire non solo dalla vista, ma anche da un’impressione tattile; per questo concepire l’architettura come arte puramente visuale è sbagliato, dal momento che essa si basa sulla spazialità concreta.

Alcuni artisti hanno provato a interrompere l’interazione occhio-mano-mente con vari espedienti ed il risultato è stato un disegno con un’aura e caratteristiche differenti, ma pur sempre di qualità.

·  La mano computerizzata

Il pc è uno strumento di disegno rapido e preciso, in grado di generare forme artistiche, architettoniche e urbane. Ma i problemi nella progettazione completamente computerizzata sono evidenti nella prima fase del processo progettuale. Se il disegno manuale e il modello fisico sono modellati “dalla stessa carne” del progettista, dando continuità progettista-oggetto; il disegno a pc prende forma in un mondo virtuale, matematicizzato e astratto, che genera “distanza tra artefice e oggetto”. È perciò fondamentale in queste prime fasi di progetto lavorare a mano.

·  Il primato del tatto: apticità dell’immagine in sé

Il contatto e la conoscenza del mondo avviene attravero i sensi, i quali sono tutti “estensione del tatto” secondo Pallasmaa. Il senso aptico della consoscenza è fondamentale, perché aiuta la formazione di immagini visive e perché la memoria spaziale risiede nelle esperienze aptiche.

·  Il tatto inconscio nell’esperienza artistica

Mani e occhi collaborano nel far “toccare” gli oggetti anche a distanza. Il critico Bernard Berenson afferma che facendo esperienza di un’opera artistica, si verifica un ideale incontro fisico con le sensazioni che da essa scaturiscono. Lo stesso fenomeno si verifica per un’opera architettonica: si generano sensazioni e impressioni che divengono il criterio di misura della realtà.

5.    Il pensiero incarnato

·  Fusione creativa

La creatività non è né un’intuizione istantanea, né un processo lineare; è bensì un processo che nasce da un’idea semplice, progredisce, torna sui suoi passi, svolta; tutto ciò per rendere possibile un’interpretazione globale di esigenze, criteri e gusti.

Nell’opera bisogna concretizzare le soluzioni adeguate dal punto di vista funzionale e tecnico; ma ci si aspetta da essa anche la capacità di suscitare sensazioni più elevate, esistenziali ed esperenziali.

·  La fatica del pensare: il valore dell’incertezza

La creatività richiede fatica, raramente è improvvisa o spontanea; perciò il processo porta con sé incertezza, errore, tracce di qualcosa che cambia continuamente. Queste tracce sono però fondamentali per non perdere di vista il fine del lavoro e la sua continua plasticità. Ciò mantiene viva la creatività.

Il poeta B. Collins esprime la sua prefernza per lo scrivere a mano invece che a macchina/pc, poiché la tastiera suscita in lui la sensazione di compiutezza e congelamento del poema, mentre scrivere su carta dà quel senso di provvisorietà e incertezza che, come anche nel disegno, fa in mondo che il prodotto del proprio lavoro suggerisca esso stesso il proprio fine sviluppandosi.

·  Resistenza, tradizione e libertà

Leonardo dice “la forza nasce dalla costrizione e muore con la libertà”. Il pensiero dell’autore rifiuta il desiderio deliberato di innovazione e libertà e sostiene invece la tradizione e i limiti (che siano della tecnica, sociali o personali), come stimoli per la creatività in tutte le arti.

·  Pensare attraverso i sensi

Ogni arte, dalla pittura al cinema, è un vero e proprio pensiero filosofico che esplicita le sue idee attraverso mezzi e logiche specifiche che caratterizzano quel tipo di arte. Questi non sono necessariamente esplicabili in termini verbali; l’architettura per esempio materializza la sua filosofia nel costruire. È importante tuttavia che l’arte non si svincoli completamente dalla sua essenza ontologica; nel caso dell’architettura, non si allontani dalle sue “ragioni originarie di addomesticare lo spazio e il tempo”. Il pensiero artistico non può essere solo concettuale, ma sottintende “comprensione esistenziale” ed “esperienza vissuta”.

·  Memoria incarnata e pensiero

L’architettura nasce dalla memoria, dall’esperienza fisica degli spazi, in quanto essa è scaturita dal bisogno di dare riparo al nostro corpo.

 Il filosofo E. S. Casey sottolinea la centralità del ruolo del corpo nella memorizzazione. E allo stesso modo altri studi recenti confremano la “natura incarnata del pensiero stesso”.

·  Conoscenza esistenziale

L’edificio è il prodotto derivato da conoscenza razionale/abilità e da conoscenza esistenziale, nell’architettura; così come lo sono in modo simile i prodotti di tutte le forme d’arte. E se le componenti strumentali e tecniche di una mansione possono essere teorizzate e insegnate; le componenti esistenziali possono ritrovarsi solo all’interno di ogni singola indentità ed esperienza personale. Quest’ultima forma di saggezza si sviluppa in parallelo con la personalità del singolo ed è spesso riflesso del carattere dell’insegnante.

6.    Corpo, sé e mente

·  Il corpo come luogo

Nel lavoro creativo il corpo si identifica e proietta in esso e manda “messaggi” a seconda di come è svolto e del risultato ottenuto. Questa è l’interpretazione del senso di calma, soddisfazione e rilassamento fisico e mentale che si prova quando il lavoro è benfatto.

·  Il mondo e il sé

È importante che l’architetto metta sé stesso nel proprio lavoro; diventi egli stesso “inquilino” della casa che sta progettando. L’autore dipinge la figura dell’architetto come una “madre vicaria” che presta corpo, mani e mente al proprio cliente. Il valore della buona architettura si misura in quanto essa sia un dono. L’architetto però, secondo Pallasmaa, prima di assecondare le preferenze dell’utente deve creare il suo cliente ideale.

·  Il mondo e la mente

L’opera d’arte mira a colpire la mente dell’osservatore ancora prima di essere capita. Non ha bisogno di interpretazioni o spiegazioni intellettuali per svolgere la sua funzione, ovvero quello di ricongiungere la sua essenza con la coscienza dell’osservatore.

·  Spazio esistenziale nell’arte

Pallasmaa distingue tra due tipi di spazio: quello reale, fisico, geometrico e quello del vissuto, che chiama “esperenziale ed esistenziale”. Quest’ultimo è il regno dove si produce e si esperisce l’arte, e quindi anche l’architettura. L’architettura “umanizza” lo spazio fisico e lo rende a misura d’uomo.

7.     Emozione e immaginazione

·  Realtà dell’immaginazione

Studi di neurofisologi e psicologi dimostrano che le immagini mentali (immaginazione e memoria) hanno origine nella stessa zona del cervello dove vengono registrate le percezioni visive. Esperianza, memoria e immaginazione possono essere considerate quasi equivalenti per la coscienza. Così le emozioni possono essere suscitate da un’esperienza, come da un ricordo. Paradossalmente l’arte può generare emozioni soggettive e uniche rappresentando realtà condivise dall’intera umanità.

·  Il dono dell’immaginazione

L’autore sostiene che l’immaginazione potrebbe essere la capacità che più contraddistingue l’uomo, anche più dell’uso delle mani. Quest’ultima facoltà scaturisce bensì dalla capacità di immaginare come usarle.

Ma la pioggia ininterrotta d’immagini che la cultura contemporanea ci propone è un limite a questa preziosa facoltà: ogni cosa immginabile è infatti già davanti ai nostri occhi.

La televisione propina immagini passive ed esteriori che distaccano l’osservatore dalla realtà e lo isolano dalle sue emozioni. L’impoverimento dell’immaginazione ha anche come conseguenza il senso di pragmatismo e la mancanza di stimoli e ideali. È quindi da sottolineare l’importanza della fantasia tra gli scopi dell’educazione.

·  Realta dell’arte

L’arte influenza la mente di chi la osserva in modo misterioso. La comprensione della sua essenza è stata nel tempo resa confusa dalle nozioni di simbolismo e astrazione. Secondo Sartre l’arte crea cose, non simboli. E così anche l’architettura: gli edifici non sono simboli metafisici, ma riflettono le sensazioni metafische di chi li osserva.

·  Arte ed emozione

Le forme d’arte possno suscitare emozioni e sentimenti, che nell’epoca odierna vengono però spesso appiattiti da un’architettura banale. Luoghi e strade concepiti da letteratura, pittura e cinema possono essere reali e trasmettere emozioni tanto quanto edfici costruiti. Un esempio efficace a favore di questa tesi è “Le città invisibili” di Italo Calvino.

·  Esperienza artistica come scambio

Quando si fa esperienza di un’opera d’arte o d’architettura avviene uno scambio bilaterale tra opera e osservatore: quest’ultimo prioetta le proprie emozioni sullo spazio che lo circonda, mentre l’opera irradia la sua “aura” verso l’osservatore, spingedolo a riflettere. L’architettura in particolare poi, viene esperita nella sua interezza, non per singole immagini. Offre forme, superfici, strutture che si articolano nel pensiero di chi le osserva e possono suscitare sensazioni differenti: gravità o leggerezza, orizzontalità o verticalità.

8.     Teoria e vita

·  Teoria e fare

Sostenendo la tesi di Henry Moore, sostenuta nel suo libro “Sulla scultura”, l’autore mette in guardia l’artista sulla pericolosità dello scrivere in eccesso della propria arte. Cercare di definire con logica i propri scopi allontana l’artista dalla compiutezza della sua opera, lasciandola come una “mera esposizione di concetti”. Pallasmaa non crede nella possibilità di teorizzare in modo completo e prescrittivo l’architettura, tuttavia ammette che i progettisti debbano avere ben chiare le loro aspirazioni.

·  Opposizione di teoria e pratica

Per conservare nel modo più completo la libertà, che scaturisce nell’atto creativo di ogni opera, è necessario imparare e allo stesso disimparare la conoscenza teorica che vi sta dietro. Nel senso che la consocenza va assorbita e trasformata in “ingrediente del proprio corpo” per poi essere dimenticata nell’atto artistico. Questo paradosso risulta più comprensibile se si pensa alla natura profondamente inconscia di ogni sforzo creativo.

D’altronde l’esperienza artistica avviene solo se vi è un osservatore in grado provarla. L’autore parla di una “trinità” su cui va fondata l’architettura; analisi concettuale, realizzazione del progetto e sua esperienza.

·  Architettura come immagine di vita

Tra gli “ingredienti” per la pratica della buona architettura, Pallasmaa inerisce: occhio (per un’osservazione precisa), mano (per mediare le idee), testa (per pensare in modo chiaro) e cuore (per potere immaginare situazioni di vita reale).

·  Il compito dell’arte

Il compito dell’arte è quello di preservare la creatività e garantire l’autonomia dell’esperienza vissuta, in un’epoca “bombardata” da immagini materialistiche, in cui tutto sembra somigliarsi e perde quindi di significato. In partciolare, il compito dell’architettura diviene quindi quello di conservare la gerarchia dello spazio in cui viviamo e rallentare l’esperienza del mondo, accelerato dalla velocità della vita di tutti i giorni.

GLOSSARIO

Percezione aptica_ Percezione legata al tatto e alla posizone della mano rispetto all’oggetto.

Conoscenza incarnata_ Conoscenza pratica di un gesto, di una forma d’arte, “assorbita” dal corpo inconsciamente con l’esercizio.