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autore

NICOLA BRAGHIERI

 

titolo

ARCHITETTURA, ARTE RETORICA

 

editore

SAGEP EDITORI

 

luogo

GENOVA

 

anno

2013

 

 

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

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Il libro definisce, in modo mano a mano più specifico, il concetto di Terzo Paesaggio, ovvero l’insieme di tutti quei luoghi abbandonati dall’uomo: gli spazi ai margini delle strade, le aiuole spartitraffico, gli spazi di risulta in un contesto urbano, ma anche spazi più estesi, come le riserve naturali, i parchi e le aree disabitate.

Questi spazi, diversi per forma, funzione, dimensione e statuto, hanno in comune il fatto di essere indipendenti dall’attività umana; essi costituiscono però una risorsa importante per il sistema biologico del pianeta, e per questo è importante favorirne la sopravvivenza (o meglio, non provocarne la scomparsa attraverso l’azione umana).

 

 

  

Giudizio Complessivo: 6 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Jessica Detti

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a. 2015/2016

 

 

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Autore Nicola Braghieri

Nasce nel 1967 a Milano, città dove si è laureato, vive e lavora. Insegna Teoria dell’architettura all’Università di Genova dal 2001. Nel 2009 ha ottenuto la cattedra di Gestaltung alla TU di Darmstadt. Dal 2013 è professore di ruolo in Arts Expressives pour l’Architecture al Politecnico di Losanna (EPFL).
Ha scritto alcuni libri e pubblicato testi di teoria e saggi scientifici su numerose riviste internazionali. Dal 2008 è redattore di Casabella. Con il suo studio EX-M, partecipa a numerosi concorsi di architettura, progetta e costruisce diversi edifici in Italia, Germania e Svizzera
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Nicola Braghieri

 

Contenuto

Nell’architettura l’utilizzo della retorica influisce sull’efficacia e sul successo di un opera, essa è quindi fondamentale nell’architettura come nell’arte oratoria poiché l’architettura ha il bisogno di comunicare tramite un suo lunguaggio.

CAPITOLI

Capitolo 1– Sul linguaggio

In architettura esistono due modi per far interagire le costruzioni e l'uomo: l'approccio istintivo e l'approccio razionale. L'approccio istintivo è legato all'aspetto esteriore come l'interesse per i colori, le forme e i volumi di conseguenza è un approccio soggettivo; l'approccio razionale invece è oggettivo e si interessa della nascita e dello sviluppo dell'edificio.

Ogni architettura ha al suo in terno una serie di avvenimenti che hanno determinato la riuscita finale della stessa questi avvenimenti non si leggono immediatamente ma dopo uno studio approfondito della struttura si riescono a estrapolare. Quando nelle architetture si riescono a leggere dei caratteri simili allora si è definito un linguaggio fatto da regole e quando questi caratteri diventano parte di un’espressione collettiva allora si trasformano in una legge formale. Molti architetti contemporanei preferiscono non utilizzare un linguaggio riconoscibile usando approcci sempre diversi. Questo loro dileguarsi dal riconoscimento estetico e formale li pone comunque in nella categoria di architetti che progettano “in codice”.

Il passaggio successivo alla legge formale è lo stile, esso in generale trasmette la forza e l'anima dell'oggetto a cui si riferisce. Esso è l'elemento che esprime l'esteriorità trasmettendosi nel tempo: le architetture derivanti da un dato stile manterranno immutata la retorica dello stile stesso ma con il passare del tempo perderanno le ragioni delle scelte formali.

Negli ultimi anni il mondo si è trovato in una situazione di crisi la quale è stata generata da un eccessivo consumismo degli anni precedenti. La conseguenza di tale crisi sta nel fatto che l'uomo ricerca l quantità e non più la qualità assecondando il volere del mondo consumista. Purtroppo anche l'architettura non riesce a svincolarsi dalle leggi del consumismo dando origine a architetture di poca qualità. La soluzione a tutto ciò sta nella capacità dell'uomo e dell'architettura di opporsi con forza a tali regole dando vita a una corrente opposta che guardando alle epoche precedenti la crisi non si accontenti più di tanti pezzi fatti male ma di pochi di qualità. Cambiando la mentalità si riuscirà a tenere testa al mondo consumista che poco a poco verrà sopraffatto.

  

Capitolo II – Sull’apprendimento

Il 1931 è un’epoca dove lo sviluppo è senza freni, le case diventano macchine per abitare e l'architetto segue i successi dell'ingegnere aerodinamico credendo di trovare nella meccanica la perfezione, rifiutando la composizione formale che non deriva da un ragionamento. In questa epoca si contrappongono ai ragionamenti di Mies Van der Rohe, il quale progetta secondo un’idea di purezza meccanica, quelli di Oud, più scettico verso le possibilità della stessa.

In ogni modo gli architetti concordano sul fatto che il saper fare buona architettura è un sapere che può essere trasmesso e si deve riflettere sui suoi contenuti e non sulla natura stessa della struttura poiché è il contenuto che viene trasmesso.

Secondo Vitruvio e Viollet le Duc l'architettura si compone di teoria e di pratica ma solamente gli architetti che comprendono entrambi riescono a trasmettere la loro conoscenza in maniera completa.

Alla fine dell'800 si comprende che alla definizione di Vitruvio e Le Duc manca un terzo elemento non ancora definito: l'immaginazione, la poesia o l'arte. In merito a questo Gropius riuscì a definire l'architettura come il luogo “dove si incontrano gli ambiti creativi del tecnico e dell'artista” ciò significa che la mano lavora con l'immaginazione e secondo Gropius è nel punto di incontro che nasce la vera architettura moderna.

  

Capitolo III- Sull’arte

L'arte, secondo la teoria classica è “l'attività umana badata sull'abilità individuale, sullo studio, sull'esperienza e su un complesso specifico di regole”

La definizione classica di architettura è il contenuto sintetico della definizione vitruviana di arte di edificare e da questa base molti architetti hanno dato una loro definizione di architettura come Morris, Galliani e Qatremère de Quincy. Nessuno la definisce semplicemente come sola vocazione pratica o solo teorica ma come unione tra il “fare” e il “pensare”.

Da qui nasce il dramma dell'architetto il quale lotta tra l'utilità e la bellezza poiché “se l'architettura è arte allora l'architetto è un artista” come dice Vitruvio, ma l'architetto non può essere solo artista poiché le sue creazioni non servono a realizzare i propri fini guardando solo l'estetica. L'architetto non può quindi limitarsi a un gesto artistico poiché la struttura deve soddisfare i bisogni dell'utenza e deve essere opportunamente decorata per esprimere la sua funzione.

Una grande differenza che esiste tra arte e architettura sta nella capacità di copiare un soggetto arrivando a rappresentarlo a perfetta somiglianza, azione che l'arte è in grado di fare sempre mentre in architettura si tratta di un argomento più complesso da affrontare per la mancanza di un originale in natura: l'architettura deve quindi copiare sé stessa.

Alcuni architetti quali di Giorgio, Scamozzi e Serlio ricercano nella figura umana una corrispondenza con l'architettura utilizzando il modulo umano o la sua proporzione come generatrice delle loro architetture.

Il processo imitativo richiede un lavoro di copia ma copiare significa riprodurre esattamente l'originale replicandone le forme e spesso questa definizione viene utilizzata alla lettera senza che nella copia si legga una sua derivazione dall'originale diventando quindi plagio.

Esistono periodi nella storia dove il plagio si è diffuso: durante le due Grandi guerre questo fenomeno è stato causato dall'utilizzo spropositato di elementi prefabbricati che assemblati davano vita a oggetti sempre identici tra loro, dai quali sono derivate copie e ulteriori copie che hanno riempito le strade e la vita dell'uomo di oggetti o strutture dalle quali non si riusciva a risalire all'originale.

 

  

Capitolo IV – Sulla retorica

Secondo i trattati, le architetture derivano tutte dalla Casa di Adamo e tendono alla perfezione divina. Ovviamente le architetture stesse si differenziano perché ognuna è stata modellata in base alle esigenze; la mancanza di perfezione da all'uomo l'opportunità di giudicare ciò che è bello, buono, giusto e sbagliato: ma l'architettura deve seguire l'estetica o la morale? L'architetto "deve essere in grado di giudicare quanto viene prodotto dalle altre singole arti".
Si utilizza di fatti la retorica cioè la capacità di convincimento che serve ad aumentare il consenso della massa, smuovendo il fascino e l'emozione che si prova nel guardare l'architettura. In generale la retorica secondo la cultura illuminista è “l'arte del far perfetto e giusto” la quale viene usata nell'architettura sia per diletto sia per far piacere l'opera. Per tale motivo, nel tentativo di vendere l'oggetto, si utilizzano figure retoriche per renderlo più bello agli occhi altrui. In letteratura le figure retoriche sono infinite, ma alcune sono comuni e riscontrabili anche nella letteratura tra le quali l'allitterazione e l'anacoluto utilizzati in particolare nelle architetture degli anni cinquanta per la disposizione delle finestre in facciata.

Altre figure come la baritonesi, il climax e la costruzione ad sensum, utilizzate nella musica e nella poesia, si rispecchiano nell'architettura: la baritonesi per la costruzione ad sensum, utilizzate rispettivamente nella musica e nella poesia, si rispecchiano nell'architettura: la baritonesi per la costruzione di una faccio con lo scivolare delle finestre verso l'angolo creando un vuoto; il climax per scalare di lato, in alto o in basso il peso degli elementi su una facciata, l'ultima, usata nell'architettura classica, viene utilizzata ponendo più entrate per uno stesso atrio monumentale. Ce ne sono diverse altre, tra cui si crea un'interruzione di elementi che in una facciata può avvenire tramite una sfumatura di colore, un corpo scale vetrato o un pluviale; l'allusione, che ha il fine di

rappresentare una cosa con l'intento di farne apparire però un'altra, che ha con la prima una somiglianza. Dello stesso tipo è l'analogia, con cui lo stesso progetto diventa una figura retorica dal significato evocativo. Di diverso tipo è ad esempio il chiasmo, che si trova nell'incrocio di forme e materiali. Questa tecnica è facilmente riscontrabile in diversi edifici degli anni '50. Di chiara natura architettonica è l'enfatizzazione che ha, come dice il nome, il dovere di mettere in risalto determinati dettagli tramite il loro ingigantimento degli elementi o, per opposto, il loro alleggerimento che ne porta all'occhio la natura.

  

 

Capitolo V- Sulla Tettonica

La tettonica unisce l'idea astratta di costruzione all'elemento concreto di “architettura”. Questa mette in relazione un po' di entrambe le parti e relaziona il concreto di una con l'astratto dell'altra. Nella lingua tedesca queste due parole sono divise, etimologicamente ben distinte. In italiano invece la tettonica è una parola sola e quasi onomatopeica che rimanda ai primi abitanti della terra e la definisce come la pratica dell'assemblaggio degli elementi di legno. La parola tuttavia non è da confondere con l'omonima parola geologica, con cui la parola viene spesso confusa erroneamente. La tettonica architettonica e quella geologica si trovano comunque in un rapporto inverso in quanto quella geologica ha un significato dinamico e passivo, ricordandoci la tettonica delle placche; invece quella architettonica si rifà alla stabilità. La tettonica infine, nonostante le varie definizioni che ha ricevuto nel tempo, si può definire come arte che avvolge e decora e quindi, un elemento simbolico che avvolge la costruzione. Nella cultura greca il modo in cui le costruzioni e le decorazioni si sposano serviva non solo a raccontare la storia di un dato edificio, ma anche a raccontare il modo e la fatica che la costruzione aveva impiegato. I due elementi (struttura e decorazione) andarono a pari passo fino al 20° secolo, finché la decorazione cominciò a prendere il sopravvento diventando un elemento a sé stante. L'autonomia tra edificio e decorazione è metaforicamente ripresa anche da Leon Battista Alberti e da Bötticher che, seppur in modo diverso, esplicano la natura di costruzione e decorazione; di come la costruzione vera e propria venga snaturata dalla decorazione che ne prede il posto, quando questa altro non è che un “vestito” indossato sopra al corpo nudo. Ci imbattiamo quindi nella semplicità non scontata delle costruzioni arcaiche che ci mostrano che l'”ornamenta” definita da Leon Battista Alberti come un elemento retorico poiché senza questi ultimi ci rimane solo la “pulchritudo”, la struttura vera e propria, che nella sua nudità è grandiosa. Quindi ancora una volta incontriamo la definizione di tettonica come scienza meccanica che ricorda la retorica della decorazione. La tettonica non si sottrae da nessun elemento architettonico, si presenta anche nei templi, composti, secondo Bötticher, di un elemento di nudità, la struttura, e da un elemento accessorio con il fine di abbellire la struttura stessa. In ingegneria possiamo, lavorando su questi elementi, giungere ad un edificio dalla massima portata strutturale ed energia con la minia forma e minimo costo, tanto è vero che, con una buona costruzione di base, si può tornare all'esempio delle costruzioni arcaiche che nella loro nudità sono piene di energia. Abbiamo come esempi finali il grattacielo sulla Friedrichestrasse e il Seagram building di New York che, per la sua accurata struttura tettonica, da un'idea di edificio leggero e metallico. Questi ci ricordano, come già detto in precedenza, come la tettonica nel suo complesso possa risultare semplice e leggera in un'unione del “significante” e del “significato”, come li vediamo definiti da Vitruvio nel De Architectura.   

 

Capitolo VI– Sulla tradizione

La tradizione, unione tra la conoscenza architettonica e i sentimenti tramandati dal lavoro degli uomini, si fonda sul passaggio di esperienza in un determinato settore, si basa sui valori dell'umiltà, della mitidezza e del sacrificio poiché, in particolare nell'architettura, si sperimenta un forte spirito di umiltà in quanto un architetto, per essere tale, non deve sperare di diventare grande per via delle sue invenzioni, ma deve per lo più attenersi alle tecniche già sperimentate in passato. Per conoscere le tradizioni bisogna conoscere il passato come passato, ma anche come presente nella conoscenza e come realtà in continuo mutamento. La tradizione, nel momento in cui perde il suo carattere che la rende tale, diventa una semplice storia, ma ad essa, di per sé, non è legata. La tradizione inoltre è inconfutabile ed a priori vera poiché le sue prove si trovano nel mondo reale; questa realtà ci è consegnata dalle azioni stesse che vengono ripetute nel tempo, a prescindere che si tratti di linguaggio, costruzione o altro. Questa vive perciò nella ripetizione di un ordine di qualunque genere già prescritto dalla conoscenza di qualcuno, che deve essere volta al miglioramento di una data pratica e non a regredire. Nel caso di regressione, si sarebbe rimasto nella perfezione della tradizione precedente.

La storia si è sempre espressa nel linguaggio degli stili. Infatti l'architettura stessa si rifà uno stile, un archetipo, che sarebbe sinteticamente una figura lontana e quasi mitologica che si è evoluta fino a questo momento è continua ad evolversi. Quando si parla di tradizioni, l'esperienza ci fa basare su alcuni termini propri del campo come: elementare, comune, spontanea e popolare. Da questi termini, caratteristici del settore della tradizione, nascono i concetti di architettura maggiore e minore, i quali non sono ideali assoluti poiché l'architettura maggiore può a volte seguire la tradizione in quanto necessita di un apparato retorico alle spalle mentre l'architettura minore piò non essere basata sulla tradizione stessa poiché, a differenza della precedente, non sempre necessita di un apparato retorico a sorreggerla.

Sebbene poi l'architettura sia in parte legata alla storia e sebbene architettura e tradizione siano in un continuo processo che porta alla crescita e all'evoluzione di entrambe, non bisogna pensare di creare un collegamento tra storia e tradizione basato sulle loro similitudini; la storia è ferma nel tempo mentre la tradizione vive nell'esperienza e continua a mutare.

C'è inoltre da specificare che la tradizione va distinta dall'architettura tradizionalista poiché seguire la tradizione è un processo spontaneo mentre nel fare architettura tradizionalista si perde la spontaneità.