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autore

GIANCARLO DE CARLO

titolo

NELLE CITTA’ DEL MONDO

editore

MARSILIO EDITORI

luogo

VENEZIA

anno

1994

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

ARGOMENTO E TEMATICHE AFFRONTATE

“Nelle città del mondo” è una raccolta di brevi racconti che trattano alcuni dei principali temi dell’architettura; Giancarlo De Carlo esprime la propria idea di città e di architettura portando ad esempio anche la propria esperienza di progettista, la propria esperienza di viaggiatore e la propria esperienza di essere umano, trattando anche tematiche sociali e di costume.

Con questo libro edito per i tascabili di Marsilio Editori, l’autore espone al grande pubblico molte delle questioni architettoniche non ancora risolte, tipo la funzione della piazza e la gestione delle periferie, e racconta alcune delle più belle città del mondo come Barcellona, Nuova Dehli, Milano e molte altre, talvolta inserendo alcuni interessanti retroscena della professione.

GIUDIZIO COMPLESSIVO: 8 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Gianluca Cerioli

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2015/2016

 

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Giancarlo De Carlo

AUTORE Giancarlo De Carlo

Giancarlo De Carlo (1919 – 2005) è sempre sfuggito ad una classificazione univoca del proprio lavoro e non è mai riuscito a trovare un appoggio solido nelle amministrazioni della città di Milano, dove ha vissuto la maggior parte dei suoi anni.

Laureatosi allo IUAV di Venezia nel 1949, acquisisce la cattedra del corso di urbanistica della stessa IUAV nel 1955; nel 1956 è co-fondatore del Team X -attivo fino al 1981-, con il quale ha organizzato il decimo CIAM e per il quale è riconosciuto a livello internazionale.

Nel 1976 Giancarlo De Carlo fonda l’ILAUD -sigla di International Laboratory of Architecture and Urban Design- con l’obiettivo di svolgere una attività di ricerca continua attraverso il confronto teorico e progettuale tra le nuove generazioni provenienti dalle migliori scuole di architettura di Europa.

Giancarlo De Carlo ha lavorato molto, oltre che come teorico, come progettista: ha partecipato all’intervento INA-casa a Sesto San Giovanni; si è poi occupato della sede centrale dell’università di Urbino e, successivamente, sia del piano regolatore generale di Urbino (1958-1964) che della riqualifica urbana di molti edifici pubblici della città delle Marche; ha realizzato la sede di ingegneria dell’università degli studi di Pavia (1975) e la sede di medicina e biologia dell’università di Siena (1982), oltre che numerosi interventi in tutta Italia.

 

CONTENUTO

Il libro si divide in ventisei brevi racconti, tutti raccontati in prima persona e tratti dall’esperienza personale dell’autore e progettista Giancarlo De Carlo.

I)                “Appunti da un breve viaggio in Morea”: racconto della esperienza agli scavi di Olimpia.

II)            “Hanno ancora senso le piazze, e per chi?”: problematica tra pieni e vuoti, pubblico e privato.

III)             “La crisi della città e il caso di Barcellona”: saggio sulle cause della crisi della città moderna e come Barcellona ha resistito.

IV)          “Dinocrate: 1 e 2”: racconto della figura di Dinocrate nella storia, considerazioni sulla figura dell’architetto.

V)            “Cartolina da Berkeley”: racconto del viaggio in California tra Berkeley e San Francisco.

VI)          “Nuova Delhi e Chandigarh”: racconto del viaggio in India e riflessioni sui modelli urbanistici.

VII)           “Paris – Milan”: racconto dell’esperienza al seminario dell’ILAUD di Parigi con riflessioni sul ruolo dell’architetto e sulle modalità di concorso.

VIII)        “L’incontro con lo zio eccentrico a Milano”: riflessioni sulle trasformazioni del capoluogo lombardo.

IX)           “Cioccolatini svizzeri e turbina”: racconto della esperienza del Piano Intercomunale di Milano.

X)             “Sharon Temple e la purezza”: racconto di Sharon Temple nell’Ontario.

XI)           “Gorée, Dakar, Pikine”: saggio sulla situazione delle città sud-africane.

XII)          “Omaggio a Buckminister Fuller”: biografia e considerazioni sulla figura dell’architetto americano.

XIII)           “Il tempio di Apollo a Bassae”: analisi del tempio e del rapporto che ha creato con il luogo e con gli abitanti.

XIV)          “L’incontro con la signora Mendelsohn a Los Angeles”: racconto del viaggio nel Nevada.

XV)            “Boston Waterfront, il fascino discreto del riuso”: analisi degli interventi di riqualifica di Boston.

XVI)          “Due battute per Genova”: racconto dei retroscena dei progetti di Prè e della sopraelevata.

XVII)        “Tre note per un laboratorio di architettura”: consigli per la progettazione dello spazio pubblico di qualità.

XVIII)      “Con i sensi e la ragione”: racconto della esperienza con l’ILAUD per Santa Maria della Scala a Siena.

XIX)          “Una torre per Siena”: racconto della esperienza del concorso per la torre di Siena.

XX)           “Il Chrysler building, New York: 1 e 2”: saggio sul Chrysler building e analisi delle opinioni discordanti.

XXI)          “A Salisburgo con la mente a un progetto”: racconto della esperienza di viaggio per conoscere il luogo di progetto.

XXII)        “L’utopia di Ritoque”: racconto del viaggio a Vina del Mar in visita ad Alberto Cruz e considerazioni sulla comunità di Ritoque.

XXIII)      “Tra acqua e aria”: considerazioni sul progetto per l’isola di Mazzorbo e sul linguaggio architettonico.

XXIV)      “Cinque giorni a Kiev”: racconto del viaggio a Kiev in veste di giudice di concorso.

XXV)        “Da Ankara ad Istanbul”: racconto della esperienza di viaggio e delle diversità tra linguaggi architettonici.

XXVI)      “Nicosia, Cipro”: considerazioni sulle conseguenze dell’occupazione dell’isola.

 

ANALISI DEL LIBRO

 

ESPERIENZA E INTELLETTO

In molti capitoli l’autore racconta la città, l’architettura o comunque lo spazio che lo circonda attraverso i sensi, descrivendo gli odori, i colori, i rumori; l’analisi dei luoghi non si ferma mai alle sole sensazioni, ma prosegue grazie all’indagine compiuta dall’intelletto che ricostruisce mentalmente i luoghi o li completa.

Giancarlo De Carlo ci spiega come l’architettura si percepisca sia attraverso i sensi che attraverso l’intelletto: “L’esperienza dello spazio passa attraverso il fruscio dei propri passi sulla terra battuta, gli odori dei cespugli che si fendono, i sapori che l’aria posa sulle labbra, il contatto delle dita sulla pietra lavorata, l’adattarsi della vista all’alternarsi di tagli di ombra e di luce. […] attraverso l’esercizio mentale di ricomporre in colonne i rocchi che giacciono al suolo sfogliati; di rialzare i timpani sui capitelli e completarli di fregi, modiglioni e mutuli…”; è per questo che alcuni luoghi, anche se ricchi di “innumerevoli energie creative” possono risultare sgradevoli ai sensi, stimolandoli con sensazioni negative.

L’esempio di questa antitesi tra piacere intellettivo, ma disgusto sensoriale, è Santa Maria della Scala a Siena, a cui ha lavorato con l’ILAUD: “comincerò col dire che Santa Maria della Scala <<non mi piace>>; nel senso che non dà piacere ai miei sensi.” L’autore spiega le sensazioni spiacevoli che gli odori, i sapori “per riflesso condizionato”, ma anche la vista del susseguirsi di “intrusioni […] ignari di qualsiasi idea di contesto, processo, coerenza, decenza”; tuttavia il lungo processo di trasformazione ha dato una grande energia a questo “pezzo di città” e “benché non fossero energie coordinate né da un’unica intenzione stilistica né da un corpo di norme prestabilite, ne è risultato un palinsesto mirabile, ricco di assonanze e dissonanze, dissolvenze e messe a fuoco, addensamenti e rarefazioni”. La “concrezione di edifici” è in costante evoluzione e trasformazione, e l’autore si occupa di delineare una guida per i futuri interventi (l’Ospedale verrà trasformato in complesso museale tra il 1998 e il 2000 dallo studio Canali), i quali dovranno puntare a qualificare sensorialmente gli spazi interni: Santa Maria della Scala ha bisogno di molta aria e luce soffusa, di una nuova organizzazione degli spazi e dei percorsi interni, di una grande attenzione al linguaggio architettonico che deve essere “aderente alle circostanze, variabile, stratificato, in equilibrio fra tradizione e innovazione, tra passato e futuro, tra stupore e determinazione, tra rispetto e spregiudicatezza, tra semplicità e sofisticazione […] dovrà essere comprensibile e dovrà svilupparsi su molti strati in modo da dare a ciascun osservatore la possibilità di trovare i riferimenti adatti al suo livello di cultura, informazione, gusto, immaginazione, concentrazione”.

 

CRISI DELLE CITTA’

La crisi della città è una analisi per contrasto della tipica città italiana di cui abbiamo tutti esperienza, rapportata ad alcune città che per l’autore sono sorprendenti, come Barcellona e Nuova Delhi.

L’autore si sofferma su alcune importanti questioni legate alla città come lo spazio aperto pubblico: nel secondo capitolo “Hanno ancora senso le piazze, e per chi?”, De Carlo spiega come sia impossibile e sconveniente determinare se siano venute prima le costruzioni o lo spazio aperto e come questi ultimi concorrano alla bellezza di una città se in equilibrio con i primi e se divengono “collettori e generatori […] nel senso che raccolgono energia dalle strade su di loro convergenti e allo stesso tempo la distribuiscono alle strade che da loro si diramano”; è nelle periferie e nei sobborghi, che hanno preso le misure delle auto, che la piazza ha perso valore.

Le periferie nascono in seguito alle grandi urbanizzazioni e hanno concorso al dissolvimento dell’integrità urbana, in maniera disastrosa in molte delle città europee, meno in quelle che furono capitali, già trasformate durante l’Ottocento: “l’ascesa rapida di questa alterazione è accaduta sul finire degli anni sessanta, quando le aree dello sviluppo hanno raggiunto il più smodato livello di benessere materiale che mai si fosse avuto in passato […] Verso le città si è riversata una massiccia immigrazione, assai più numerosa e composita di quella occorsa all’epoca della prima rivoluzione industriale. È stato allora che le periferie, le conurbazioni e i suburbi sono cresciuti a dismisura, mentre avveniva il rimescolamento delle popolazioni urbane con l’intrusione di molte nuove culture tutte egualmente sradicate dalle loro matrici e quindi inevitabilmente in conflitto con l’ambiente in cui si trasferivano. Ed è stato allora che le istituzioni hanno smesso di capire e quindi di governare”.

 

BARCELLONA – NUOVA DELHI – KIEV – NICOSIA

Barcellona

Riflettendo sulla crisi della città contemporanea, l’autore cerca di spiegare l’importanza di una organizzazione preliminare portando l’esempio del “Plan Cerdà” di Barcellona della seconda metà dell’Ottocento. Infatti la città, pur avendo superato la soglia critica dell’1.5 milioni di abitanti, si mantiene confortevole e chiara, grazie ad un impianto solido che è riuscito a saldare i nuovi tessuti urbani a quello storico. “La forza del “plan cerdà” risiede nell’angolo smussato […] la struttura dell’impianto complessivo, che era di buona sostanza pragmatica, è riuscita a ricondurre tutto il sistema di variegata coerenza, dove gli spazi aperti – strade e piazze – agivano come generatori di omogeneità e differenza”. Non tutti gli interventi sono riusciti, alcuni edifici sono geniali, altri scadenti, secondo la capacità del progettista, ma tutti, duranti gli anni, hanno riconosciuto la chiarezza e l’equilibrio dell’impianto urbano, rispettandolo: così Barcellona si è conservata nel secondo dopoguerra dalle speculazioni edilizie, negli anni sessanta è riuscita ad assimilare una nuova grande immigrazione e “i centosessanta interventi progettati e in gran parte realizzati negli ultimi tre anni dall’amministrazione comunale con la collaborazione della facoltà di Architettura […] risultano sorprendenti.”

Nuova Delhi

Nuova Delhi è una immensa città giardino, più riuscita di Letchworth o Welwin perché è più grande e più vivace.” Fu progettata da Sir Edwin Lutyens agli inizi del Novecento, che adattò un polo amministrativo alle richieste dell’impero britannico, seguendo le teorie della città giardino. L’autore racconta che, anche se le condizioni sociali sono di povertà, miseria e malattia, la popolazione non sembra in affanno e hanno “una specie di dignità interiore che li mette al di sopra di quello che soffrono […] pare non interessata alla produzione, ai beni materiali, all’igiene, alla tecnica”. Il viaggio in India dell’autore ha suscitato alcune domande sull’efficacia di un modello urbano imposto: si può dire che i buoni modelli spaziali sono neutrali? È possibile che un modello urbano concepito per una popolazione con una cultura, stimoli l’ambiente culturale al quale viene imposto? Evidentemente si, anche perché proseguendo il suo viaggio, De Carlo racconta la capitale dell’India così: “Vegetazione lussureggiante, intensi profumi di fiori esotici e un’aria che circola lentamente ma senza sosta nello spazio”.

Kiev

Giancarlo De Carlo fu richiesto come giudice del concorso per la realizzazione di Concordia, la città “anti-Chernobyl”, ideale, ecologica, tenutosi a Kiev nel 1995. Sulla città, appena sceso dall’aereo, l’autore si esprime così: “il taglio urbano è splendido. C’è aria tra gli edifici e grandi parchi e viali alberati e larghi marciapiedi e molta gente che cammina con passo svelto, ma anche passeggia in modo erratico. […] La struttura della città sulla riva sinistra è di impronta neoclassica perché anche i settori più antichi sono stati riorganizzati e riedificati […] Sulla riva destra del fiume c’è l’espansione più recente, in forma di grandi quartieri. C’è molto spazio tra uno e l’altro quartiere e tra uno e l’altro edificio. Si sente qui che non c’è stata speculazione edilizia né, di conseguenza, l’orribile sfruttamento del suolo che ha deturpato gran parte delle città occidentali. Perciò l’aria circola e il sole illumina le facciate, gli spazi aperti sono ampi e gli alberi crescono spensierati.” L’esperienza di progettista porta l’autore a notare che tutti gli edifici hanno dimensioni simili, di altezza, larghezza, sbalzi: la prefabbricazione è stata massiccia e imposta; solo alcuni palazzi pubblici hanno scampato l’imposizione di ottimizzazione, diventando riconoscibili per l’insieme di linguaggi architettonici diversi e bizzarri.

Nicosia

L’autore racconta la conformazione dell’isola, abitata da greci-ciprioti e turchi-ciprioti che risiedono i due zone diverse, separate da un muro: i turchi hanno invaso e occupato la parte nord-orientale, fino alla capitale; i greci-ciprioti sono stati costretti a muoversi tutti nella parte sud-occidentale, e ad avere nostalgia della costa settentrionale. “Questo difatti è successo a Nicosia, attraversata proprio nel centro dal confine che taglia tutta l’isola” il confine è segnato in modo confuso, nella terra di nessuno ci sono i caschi blu delle Nazioni Unite, in alcuni punti è passante, ma per quasi tutta la lunghezza è impenetrabile. Tuttavia l’impianto urbano della città è ancora delimitato dalle mura erette dai veneziani nel XIV secolo, è di forma geometrica, ideale, non organica: il taglio del confine ha scardinato nel profondo la forma, le attività, i movimenti, le consonanze urbane; “[…] e per questo il tessuto si è progressivamente depotenziato […] e ci si rende conto che il centro, essendo stato dimezzato, è diventato terra di confine e perciò periferico. È rifiorita invece, ed è diventata centrale, la periferia oltre le mura che aveva cominciato a svilupparsi in vaga forma di garden city e ora ospita compatti edifici di abitazione, scuole, uffici governativi, ristoranti, caffè, negozi e piccoli mercati.” Con l’urbanizzazione dagli anni Sessanta in poi, si è sviluppata la nuova periferia esterna di Nicosia, con grande confusione, con grande attenzione al guadagno economico, facendo perdere alla città “la grazia della misura umana, della sottigliezza espressiva”.

 

MILANO

Molti dei racconti de “Nelle città del mondo” terminano con il rientro a Milano dell’autore, che confessa di aver “sempre conservato un profondo affetto per Milano”.

Milano ha vissuto una bellissima epoca negli anni Trenta, quando “i tram milanesi erano dotati di bellissime poltroncine rivestite di velluto rosso e sul fondo c’era un salotto, o belvedere, dove la gente si sedeva, sul velluto rosso, e conversava mentre la città scorreva fuori dai finestrini.” Erano anni in cui “si apprezzava la misura che Milano aveva”. Successivamente ai bombardamenti Milano venne ricostruita “dov’era e com’era”, ma con i palazzi molto più alti di come erano prima, e, nonostante le battaglie dell’autore, assieme ad Albini, Bottoni, Belgiojoso, Gardella, Rogers, non si riuscì a intraprendere un percorso di crescita di cui “apprezzare la misura”.

L’autore non si dilunga sulle trasformazioni degli anni sessanta epigrafato come “il saccheggio delle periferie che è venuto subito dopo il saccheggio dei centri storici” e neanche sull’occasione perduta del Piano Intercomunale, che, con l’obiettivo di spingersi sempre oltre, è finito nel dimenticatioio. De Carlo considera Milano “una città ingovernata e forse ormai ingovernabile”, ma rimane affascinato dalla forza della “milanesità” che si appropria dello spazio, governando l’amministrazione intenta nel “non fare assolutamente nulla”, dalla energia che sprigionano le persone che vivono la città nei posti più disparati, a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Con la speranza che le amministrazioni e i governi capiscano un giorno Milano, l’autore chiude il capitolo “L’incontro con lo zio eccentrico a Milano” esprimendo, oltre che il suo amore per la città, il suo ottimismo: “[…] la città andrà avanti lo stesso e produrrà la sua forma da sola. Sono piuttosto ottimista e credo che Milano comunque troverà i suoi nuovi equilibri, respingendo quello che non le serve e accogliendo quello di cui ha bisogno. Al di là di qualsiasi prefigurazione non congruente; malgrado la stoltezza progettuale e la colpevole passività del momento che attraversiamo”.

 

DINOCRATE

Giancarlo De Carlo dedica uno dei racconti al mito dell’architetto Dinocrate, fondatore di Alessandria d’Egitto; questi, dopo tanto tempo che richiedeva una udienza da Alessandro Magno, decise di passeggiare davanti al tribunale reale “nudo e cosparso di unguenti, con una corona di tralci di pioppo sul capo, una clava nodosa in braccio e una pelle di leone a tracolla” così da attirare l’attenzione del re e presentargli il progetto del Monte Athos, che Alessandro commentò: “questa città è come una fiorente nutrice che non abbia una sola goccia di latte” e, tuttavia, gli conferì l’incarico di costruire Alessandria.

Questa leggenda permette all’autore di affrontare una duplice problematica architettonica: la prima riguarda il legame tra lo scopo dell’intervento e il progetto, la seconda riguarda il drammatico e grottesco rapporto tra l’architettura e il potere.

Sono molti i passaggi in cui l’autore si lamenta della condizione sociale dell’architetto, o della imparzialità dei concorsi o comunque della loro scarsa utilità: nel soggiorno a Parigi ha potuto constatare che i concorsi in Francia “non sono influenzati dai partiti politici e neppure controllati dalle mafie degli architetti […] quasi sempre si tratta di concorsi appalto e perciò ogni architetto si presenta insieme a una impresa con un progetto e una stima di costo […] il progetto deve contenere un’idea di qualcosa che fermi il respiro per la sua prestanza […] ma, ancora più dell’idea, conta il modo di rappresentarla”; nel soggiorno a Kiev, dove fu parte della giuria spiega che i concorsi sono “vere e proprie lotterie, quando non sono preordinate truffe. Il che non vuol dire che non bisogna continuare a promuoverli […] ma che le giurie sono inutili e spesso perfino dannose. È meglio che sia il committente a giudicare, e a assumersi la responsabilità di quel che decide”.