|  | 
|  | 
 | ||
| 
 | autore  | Anthony Vidler | 
 | 
| titolo  | Il perturbante dell’Architettura | 
 | |
| editore  | Giulio Einaudi editore | 
 | |
| luogo | TORINO | 
 | |
| anno | 2006 | 
 | |
|  |  | 
 | |
| lingua | ITALIANO | 
 | |
|  |  | 
 | |
| Titolo
  originale: The Architectural Uncanny. Essays in the Modern Unhomely. 1992
  Massachussetts Institute of Technology, Cambridge (Mass.) - London | 
 | ||
|    | 
 | ||
| Argomento e tematiche affrontate | |||
| 
 | Il libro è
  caratterizzato da una serie di riflessioni riguardanti la contrapposizione tra
  benessere e straniamento dell’uomo all’interno delle pareti domestiche,
  analizzate durante lo svolgimento della 
  routine quotidiana. La deformazione spaziale della vita dell’uomo
  moderno sono analizzate soprattutto sotto un profilo psicologico a partire
  dalla fine del Settecento, epoca in cui l’angoscia e il disagio   all’interno dell’arte e dell’architettura
  hanno cominciato a divenire operanti.  Vidler tuttavia si
  sofferma maggiormente sull’analisi del perturbante riguardante i giorni
  nostri, accusati dall’autore di aver sviluppato e radicato una condizione di
  invivibilità e perturbante all’ interno dell’uomo moderno. | ||
|     | |||
| Giudizio
  Complessivo: 6 (scala 1-10) | |||
| Scheda compilata da: Ilenia Andrian | |||
| Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3
  a.a.2015/2016 | |||
|    | |||
| 
 | Autore Anthony Vidler | ||
| Anthony Vidler, nato nel
  1941 a Salisbury Plain, è attualmente un professore e preside della Cooper
  Union School of Architecture di New York. Si laureò in architettura alla
  Cambridge University e proseguì il suo dottorato in Storia e Teoria
  dell’architettura alla University of Technology a Delft, nei Paesi Bassi. Tra
  il 1965 e il 1993 fu un membro e professore 
  della facoltà di architettura alla Princeton University School.
  Ricevette inoltre un premio dalla Guggenheim Foundation, il Fondo Nazionale
  per le Discipline Umanistiche. Tra i suoi scritti più importanti ricordiamo: The
  Writing of the Walls: Architectural Theory in the Late Enlightenment (1987),
  Claude-Nicolas Ledoux: Architecture and Social Reform at the End of the
  Ancien Regime (1990), per il
  quale ricevette un premio dalla Society of Architectural Historians, Warped
  Space: Architecture and Anxiety in Modern Culture (2000), Histories of the
  Immediate Present: The Invention of Architectural Modernism (2008). | |||
| Anthony Vidler | |||
|    | |||
| Contenuto  | |||
| Nella parte introduttiva
  del libro Vidler fornisce differenti interpretazioni sul significato del
  termine “perturbante” in campo architettonico, artistico e psicologico a
  partire dalla fine del XVIII secolo fino ad arrivare ai giorni nostri.  Il testo,
  suddiviso in tre parti (ognuno suddiviso a sua volta in più punti) definisce
  in modo dettagliato gli effetti che il perturbante ha su questi temi,
  passando in rassegna una raffinata selezione di opere letterarie e
  architettoniche dei più noti scrittori e progettisti contemporanei – Peter
  Eisenman, Rem Koolhas, Bernars Tschumi, John Hejduk, Coop Himmelblau,
  Elisabeth Diller e Ricardo SCofidio- in modo tale da aiutare il lettore alla
  piena comprensione dell’analisi svolta, mostrando in questo modo una visione
  del tutto diversa e pessimistica del pensiero moderno. | |||
|  | |||
| CAPITOLI | |||
| Capitolo 0– Introduzione | |||
| L’autore introduce il concetto di perturbante come erede di una
  sensazione di disagio scoperta per la prima volta verso la fine del XVIII secolo.
  In campo letterario questo termine è stato identificato come contrasto tra
  l’interno delle pareti domestiche sicure e casalinghe e l’invasione
  terrificante dovuta ad una nuova presenza estranea, o meglio, l’angoscia
  veniva individuata all’interno della nuova classe borghese che non riusciva a
  sentirsi completamente a casa in casa propria. Il Perturbante però ha
  molteplici origini: secondo Vidler, 
  esso venne generato anche dalla comparsa delle grandi città, dalle
  nuove e inusuali forme degli spazi che determinano l’annullamento di
  qualsiasi punto di riferimento in grado di generare una certa instabilità
  all’interno della mente umana, una sorta di male pubblico ed eterogeneo non
  limitato soltanto all’interno dell’ambiente domestico. Seguendo un profilo
  più psicologico dunque, il perturbante emergeva dalla paura dello spazio non
  riconosciuto più come qualcosa di familiare e domestico ma come un qualcosa
  di decisamente diverso “ da Heimlich a Unheimlich”. Il capitolo termina con una citazione tratta da un saggio di Freud:
  “questo elemento perturbante non è in realtà niente di nuovo ed estraneo, ma
  invece un che di familiare alla vita psichica fin dai tempi antichissimi e ad
  essa estraniatosi soltanto a causa del processo di rimozione. […] il
  perturbante è qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e che invece è
  affiorato.” | |||
|     | |||
| Capitolo I – Case (Case Inospitali, Sepolto Vivo, Nostalgia di Casa, Nostalgia) | |||
| Il Topos della letteratura per la definizione del perturabante fin dall’Ottocento
  è l’immagine della casa stregata/abbandonata. Il pensiero della casa, intesa
  come rifugio privato e familiare, genera terrore se associata ad un invasione
  di spiriti estranei. A tal proposito l’autore propone una serie di scrittori
  che sono stati in grado di inserire il tema del perturbante all’interno delle
  loro grandi opere letterarie. V.Hugo e E.A.Poe :  descrivono abitazioni semplici, collocate
  in zone bellissime in cui il perturbante non deriva dallo spazio interno
  originato dall’architettura stessa ma da una serie di domande inesplicabili
  che aggiungevano un sentimento di terrore all’atmosfera: “ La casa, come
  l’uomo, può diventare cadavere. Basta che una superstizione la uccida. Allora
  essa diviene terribile.” E. Burke: egli sosteneva, al contrario di
  Hugo e Poe, che il perturbante in realtà fosse legato al sentimento del
  “sublime” che a sua volta generava terrore ma sosteneva anche al tempo stesso
  che non tutto ciò che induce terrore è sublime: “ritengo che la bruttezza
  abbia un certo rapporto con l’idea di sublime. Ma non insinuerei affatto che
  la bruttezza per se stessa sia un’idea di sublime, a meno che non sia unita a
  qualità tali da eccitare un forte senso di terrore.” Freud: il filosofo riconobbe il
  perturbante come una categoria estetica che esiste in tutto ciò che genera
  terrore e angoscia entro i limiti tradizionali del sublime. “Unheimliche” è
  il termine utilizzato da Freud per indicare, in ambito estetico, un
  sentimento di paura generato da un oggetto in grado di suscitare in noi
  emozioni contrastanti di familiarità e terrore. Egli sostiene che per
  risultare propriamente perturbante l'oggetto in esame deve avere una
  caratteristica poco frequente poichè la maggior parte delle cose spaventose o
  terrificanti non possono essere considerate anche perturbanti.  Il perturbamento nasce quando in un oggetto o in una situazione si
  uniscono caratteristiche di estraneità e familiarità in una sorta di "dualismo
  affettivo" e quando vi è il ritorno di un sentimento di attaccamento
  emotivo precedentemente rimosso in grado di suscitare in noi terrore, allora
  la massima espressione di questo stato d’animo può essere individuato anche nella
  paura di essere sepolti vivi, esempio importante di questo genere di cose
  angosciose è la città di Pompei, luogo del perturbante artistico e letterario
  per gran parte del XIX secolo, nel quale la storia sembrava essersi sospesa
  nella contrapposizione terrificante dei resti e delle rovine da una parte, e
  dei loro dintorni apparentemente rassicuranti dall’altro. L’Architettura può essere considerata un mezzo importante per la
  definizione dei continui scambi empatici tra ciò che è familiare e ciò che è
  inquietante. Nelle opere letterarie di Walter Peter ad esempio vediamo come
  le abitazioni domestiche assumono il ruolo di spiriti, incarnazioni della
  vita e del pensiero dell’epoca, determinando in questo modo la morte del
  mondo antico. La casa diviene oggetto stesso del ricordo, uno strumento di
  nostalgia generalizzata “ questa casa è lontana, perduta, non ci abitiamo
  più; siamo ahimè, certi che non la abiteremo mai più. Eppure esse è più che
  un ricordo. È una casa dei sogni, la nostra casa onirica.” | |||
|     | |||
| Capitolo II- Corpi (Architettura smembrata, Perdere la faccia, Trucco/Traccia,
  Terreno mobile, Case per Cyborg) | |||
| L’idea che il monumento architettonico e artistico rappresenti in astratto
  il corpo umano è stata abbandonata con il crollo della tradizione classica a
  favore della nascita di una nuova era tecnologica e moderna. Vidler ritiene
  importanti tre momenti per la definizione dell’arte contemporanea: 1.
  L’edificio è un qualche tipo di corpo 2. L’edificio incarna degli stati
  d’animo basati su sensazioni fisiche 3. L’ambiente nel suo complesso è basato
  su sensazioni corporee, o quantomeno organiche. Dunque, seguendo questa linea
  di pensiero l’edificio non viene più concepito in termini rigidi attribuiti
  alla bellezza quanto piuttosto nella sua capacità di evocare terrore e paura. Per questo motivo il tema della facciata diviene importante in quanto è
  l’interazione tra l’edificio stesso e l’uomo “il museo è lo specchio
  colossale in cui l’uomo si contempla finalmente in tutte le sue facce, si
  trova ammirevole, e si abbandona all’estasi espressa in tutte le riviste
  d’arte.” In termini psicologici si può dire che la facciata è fondamentale in
  quanto provoca all’interno dell’osservatore un sentimento di empatia e
  identificazione con l’edificio stesso in grado anche da fargli attribuire,
  inconsciamente,  sentimenti e stati
  d’animo pertinenti alla sfera umana. Un’architettura senza volto non è altro,
  per Rowe , che una mancanza di personalità, uno spaesamento interiore perché
  non si può dedurre l’esistenza di nulla che non sia visibile. Tschumi: sostiene che l’architettura moderna non è più soggetta a
  delle regole bensì soltanto al caso. Gli edifici sono completi in se stessi,
  non devono più soddisfare le esigenze umane tantomeno essere “macchine in cui
  vivere”, sono oggetti senza un fine o un obiettivo. Da ciò si deduce che
  l’architettura stessa è morta in quanto privata di una funzione specifica,
  incapace di soddisfare qualsiasi esigenza umana: “ il primo compito dell’arte
  consiste nel dar forma a quel che è in se stesso oggettivo, il terreno
  naturale, l’ambiente esterno dello spirito, e quindi nell’imprimere in quel
  che è privo di interiorità un significato e una forma che rimangono esterni
  ad esso, non essendo la forma e il significato immanenti all’oggettivo
  stesso.” La definizione di casa come
  “macchina in cui vivere” pone l’uomo in secondo piano rendendolo inerte ma al
  contempo speranzoso di grandi utopie. Essa dovrebbe essere qualcosa di più “sacro” meno soggetta
  alle mode e più duratura nel tempo, uno spazio riservato alla vita quotidiana
  privata dell’uomo e non soltanto uno”strumento” per abitare. | |||
|     | |||
| Capitolo III – Spazi ( spazio oscuro, posturbanesimo, psicometropoli,onirismo,
  architettura vagabonda, trasparenza) | |||
| “ La storia degli spazi è ancora
  tutta da scrivere – una storia che sarebbe allo stesso tempo una storia di
  poteri ( entrambi questi termini al plurale) – dalle grandi strategie della
  geopolitica alle piccole tattiche degli habitat, l’architettura istituzionale
  dall’auala ino alla progettazione degli ospedali, passando per gli organi
  economici e politici.” Lo spazio nella concezione
  contemporanea è divenuto un termine quasi palpabile, una sostanza conoscitiva
  dell’esperienza che può essere divisa in due parti, lo spazio “oscuro” e lo
  spazio “chiaro”, il primo riferito a immagini e oggetti che causano
  perturbamento nell’uomo, il secondo che generano familiarità ad empatia. È in
  questo rapporto di oscurità e trasparenza che il sublime, contrapposto al
  terrore, si manifesta e si rafforza. Tutti gli ambienti luminosi del
  modernismo infatti non dovrebbero essere considerati come un trionfo della
  luce sull’oscurità bensì sulla presenza costante dell’una e dell’altra cosa.  Fino al XVIII secolo era abbastanza
  semplice per l’uomo definire la memoria urbana, determinare i caratteri
  salienti di una città “ si scelgono luoghi il più possibile spaziosi,
  caratterizzati dalla massima varietà. Si fissa con cura nell’animo tutto ciò
  che in esso vi è di notevole, in modo che la riflessione possa percorrerne
  tutte le parti senza esitazione e tentennamenti [..] “ con l’avvento del
  modernismo questa concezione venne cambiata. | |||