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    Descrizione: il linguaggio moderno dell'architettura

autore

BRUNO ZEVI

 

titolo

IL LINGUAGGIO MODERNO DELL’ARCHITETTURA

 

editore

GIULIO EINAUDI

 

luogo

TORINO

 

anno

1984

 

 

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

 

IL LINGUAGGIO MODERNO DELL ARCHITETTURA Guida al codice anticlassico

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

 

 

 

           Descrizione: il linguaggio moderno dell'architettura

Questo libro parla del linguaggio moderno dell’architettura. Un solo linguaggio architettonico è stato finora codificato: quello del classicismo. L’architettura moderna, e con essa l’immenso patrimonio anticlassico del passato, viene paradossalmente considerata eccezione alla regola accademica, anziché linguaggio alternativo di piena, autonoma validità.

In questo libro, Zevi identifica e commenta sette codici moderni, che lui chiama “le sette invarianti”, e li contrappone a quelle più note del codice classico. Esse offrono la chiave per comprendere i messaggi contemporanei.

Le tematiche che Zevi affronta in questo libro sono: l’elenco (il quale azzera il codice classico), l’asimmetria e dissonanze, la tridimensionalità antiprospettica, la sintassi della scomposizione quadridimensionale, le strutture in aggetto, la temporalità dello spazio e la reintegrazione edificio-città-territorio.

Nella prima parte del libro questo tematiche vengono affrontate in modo generale, mentre nella seconda esse vengono approfondite ulteriormente.

  

Giudizio Complessivo: 8

Scheda compilata da: Enleas Ergas

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2014/2015

 

 

Descrizione: BRUNO ZEVI

 

 

 

 

 

 

 

 

Autore

Bruno Zevi, nato a Roma nel 1918, si è laureato in architettura presso la Graduate School of Design dell’università di Harvard, presieduta da Walter Gropius. Negli Stati Uniti, dirige i “Quaderni Italiani” del movimento Giustizia e Libertà. Tornato in Europa nel 1943, partecipa alla lotta di liberazione nelle file del Partito d’Azione. Nel 1945, mentre esce il suo primo ibro, Verso un’architettura organica, promuove l’Associazione per l’architettura organica (APAO) e la rivista “Metron Architettura”. Saper vedere l’architettura risale al 1948; tradotto in dodici lingue e premio Cortina-Ulisse per la critica d’arte europea, questo libro ha raggiunto la quindicesima edizione italiana. Seguono la Storia dell’architettura moderna del 1950 (integralmente riscritta nel 1975), Architettura in Nuce del 1960, i saggi su Michelangelo architetto del 1964, Erich Mendelsohn: opera completa del 1970, Saper vedere l’urbanistica – Ferrara di Biaggio Rossetti, la prima città moderna europea del 1971, Spazi dell’architettura moderna del 1973; la più vasta documentazione esistente degli eventi architettonici dalla rivoluzione francese ad oggi; poi, la triade formata dal presente libro, da Poetica dell’architettura neo-plastica e da Architettura e storiografia del 1974. Escono successivamente Zevi su Bruno Zevi del 1977, Editoriali di architettura e Frank Lloyd Wright del 1979, Giuseppe Terragni del 1980, Erich Mendelsohn del 1982, Pretesti di critica architettonica del 1983. Dirige la rivista “L’architettura – cronache e storia” e cura una rubrica settimanale su “L’espresso”, i cui articoli sono raccolti nella serie Cronache di architettura. Professore ordinario di storia dell’architettura nelle Facoltà di Venezia e di Roma, è membro onorario del Royal Institute of British Architects e dell’American Institute of Architects, accademico di San Luca, vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Architettura (In/arch) e presidente del Comitato Internazionale dei Critici di Architettura (CICA).

 

                         Bruno Zevi

 

Contenuto

La prima di queste invarianti è l'elenco. Con questo nome Zevi indica la necessità, non solo dell'architettura, ma di qualsiasi altra attività umana, di azzerare la semantica dei segni e delle forme operando una operazione di risemantizzazione. Si tratta di un procedimento che porta alla riformulazione del rapporto tra forma e funzione - o tra forme e funzioni - per il quale un segno si svuota del suo significato originario e delle connotazioni che si sono aggiunte successivamente, per potersi nuovamente caricare di nuovi e più ricchi significati. In questo modo, una finestra non è più solo l'apertura rettangolare costruita secondo le regole classiche, ma può assumere qualsiasi forma, circolare, poligonale o altro, e qualsiasi proporzione si voglia ad essa attribuire. L’architettura moderna moltiplica le possibilità di scelta, mentre quella classica le riduce. La scelta crea angoscia, una nevrotica “ansia di certezza”.

azsqDescrizione: Metodologia dell'elenco nelle finestre

Esempio di classicismo antico (a sinistra), pseudo-moderno (al centro) e moderno (a destra).

 

La seconda invariante è l'asimmetria. Se la simmetria è infatti alla base del codice classico, l'asimmetria lo è di quello moderno. La simmetria è il procedimento più semplice e banale che si possa raggiungere, è la cosa più istintiva e immediata che molti progettisti fanno, ma è sbagliata. Si usa quando si ha bisogno di sicurezza, quando si ha paura della flessibilità, dell’indeterminazione, della relatività della crescita, insomma del tempo vissuto. Si evoca il passato greco- romano mitizzandolo, per nascondere l’instabilità del presente. E’ stato sempre cosi: la simmetria è la facciata di un potere fittizio che vuol apparire incrollabile. Gli edifici rappresentativi del fascismo, del nazismo e dell’Urss stalinista sono tutti simmetrici. La divisione in due in base ad un asse, generalmente verticale, di un edificio lo rende infatti assolutamente semplice da comprendere, esso immobilizza il movimento, non ha più altro da dire. Gli edifici asimmetrici sono generalmente più interessanti, più ricchi, più espressivi.

Descrizione: Come illuminare una stanza

Soluzioni simmetriche e asimmetriche.

 

La terza invariante dell'architettura moderna è la tridimensionalità antiprospettica. La prospettiva è una tecnica grafica volta a rappresentare una realtà tridimensionale su un foglio bidimensionale. Per agevolare il compito, indusse a squadrettare tutti gli edifici, riducendoli a prismi regolari. Di colpo un gigantesco patrimonio visuale composto di curve, asimmetrie, scarti, modulazioni, angoli diversi dai 90°, fu obliterato: il mondo divenne scatolare, e gli “ordini” servirono a distinguere le parti sovrapposte o giustapposte. La prospettiva avrebbe dovuto offrire gli strumenti per acquisire con maggiore consapevolezza la tridimensionalità. Invece l’anchilosò fino al punto da renderne la rappresentazione meccanica e quasi inutile. Però Zevi afferma che alcuni architetti del passato hanno affrontato la battagli antiprospettica come per esempio Biagio Rossetti, l’urbanista di Ferrara oppure Michelangiolo nella piazza del Campidoglio.

Descrizione: Tridimensionalità antiprospettica

Il palazzo Farnese a Roma (a sinistra). Come dovrebbe presentarsi (in alto), come si presenta realmente (in basso). Piazza capitolina, Michelangiolo rifiuta il parallelismo e il cannocchiale prospettico (seconda immagine a sinistra), rovescia il trapezio (a destra).

 

La quarta invariante è la scomposizione quadrimensionale. Dietro questo difficile etichetta si cela una delle più affascinanti operazioni artistiche del XX secolo: con Mondrian ed il gruppo De Stijl infatti la "scatola", intesa come spazio unitario viene frantumata nei suoi piani compositivi. Alla staticità del classicismo subentra una visione dinamica, temporalizzata o, se si vuole, quadridimensionale. Alcuni esempi di architetti moderni che scompongo i loro edifici sono: Wlter Gropius con il Bauhaus a Dessau e il massimo esponente della sintassi De Stijl, Mies Van Der Rohe con il suo padiglione tedesco all’esposizione di Barcellona del 1929. Con la scomposizione quadridimensionale, uno spazio semplice, chiuso, introverso, diventa estroverso, ricco, molteplice. Una stanza non è più un prisma rettangolare, ma un insieme di piani tra loro.

Descrizione: Sintassi della scomposizione quadridimensionale

Le varie fasi e soluzioni della scomposizione quadridimensionale.

 

La quinta invariante riguarda la possibilità di costruire in maniera più ardita, al limite delle possibilità fornite dalla tecnica delle costruzioni moderne, strutture in aggetto, gusci, membrane, in materiali nuovi e con capacità strutturali che le antiche tecnologie classiche o neoclassiche non potevano conoscere. La rivoluzione tecnologica coincide con quella linguistica. Il computer permette di simulare la realtà architettonica non staticamente, come la prospettiva, ma in ogni aspetto visuale e comportamentistico. Sperimentiamo l’ambiente, le sue dimensioni, la luce, il calore, i percorsi. Grazie alla nuova tecnologia si possono costruire edifici che con la tecnologia del passato ovviamente non si potevano costruire.

Descrizione: Strutture in aggetto gusci e membrane

Strutture moderne.

 

 La sesta invariante è la temporalità dello spazio, ovvero la possibilità di esplorare finalmente un edificio in senso temporale, muovendosi. Un edificio classico è infatti noto a partire da un solo punto di osservazione, mentre un edificio moderno richiede di essere attraversato, dal dentro al fuori e dal fuori al dentro, sorvolato, compreso solo dinamicamente. Zevi dice che uno dei mezzi per capire come temporalizzare lo spazio è indicato da Louis Kahn, il quale distingue l’architettura di percorso dagli spazi di arrivo. Un corridoio: chi lo concepisce a pareti parallele, come un prisma statico, non intende l’abc dell’architettura. Statici non devono essere neppure gli spazi di arrivo, il soggiorno, lo studio, le camere da letto, onde favorire gli scambi, la tensione intellettuale, il risveglio dopo il torpore. Un altro modo per temporalizzare lo spazio è quello usato da Le Corbusier in villa Savoye, dove una rampa taglia il volume da terra fino al tetto-giardino. Le Corbusier l’ha denominata “promenade architecturale”: un’architettura per passeggiare, di percorso. Stesso concetto usa anche Wright nel Guggenheim Museum di New York.

Descrizione: Temporalità dello spazio

Architettura senza edifici: il progettista deve studiare a lungo le funzioni umane, senza preoccuparsi di come involucrarle (in alto). Deve comunque evitare di comprimerle in un prisma unitario o in una serie regolare di prismi (al centro). Il linguaggio moderno conforma gli spazi alle funzioni e ai percorsi (in basso).

 

La settima ed ultima - ma Zevi avverte che altre invarianti sono possibili - è la reintegrazione edificio-città-territorio.

Per quanto riguarda la reintegrazione dell’edificio, il primo a introdurla è stato Adolf Loos nel Raumplan. Lui incastrava gli ambienti a varie altezze moltiplicando la superficie abitabile, creando spazi fruibili, intimi, curiosi e accessibili con pochi gradini. Reintegrazione verticale e orizzontale, percorsi polidirezionati, curvilinei, obliqui, inclinati. Questo principio ci spinge oltre l’edificio, lo reintegra alla città. Fratto il volume in lastre poi riassemblate in senso quadridimensionale, le facciate tradizionali scompaiono, crolla ogni distinzione tra spazio interno ed esterno, tra architettura e urbanistica; dalla fusione edificio-città nasce l’urbatettura. Disintegratane la trama, il paesaggio viene reintegrato, l’urbatettura si dilata nel territorio, mentre squarci naturali penetrano nel tessuto metropolitano.

Descrizione: Reintegrazione edificio città terriorio

Raumplan e reintegrazione di attrezzature collettive, residenze, parchi, strade e rete dei trasporti.