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autore |
MANFREDO TAFURI |
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titolo |
FIVE ARCHITECTS N.Y. |
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editore |
OFFICINA EDIZIONI |
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luogo |
ROMA |
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anno |
1976 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale: Les bijoux indiscrets, Five architects N.Y., Officina Edizioni, Roma, 1976 |
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Argomento e tematiche affrontate |
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Nel 1969, in un
dibattito organizzato presso il Museum of Modern Art di New
York, viene consacrata l'opera di cinque architetti (Peter Eisenman, John Hejduk, Michael Graves, Charles Gwathmey &
Robert Siegel e Richard Meier) come sostanzialmente
unitaria e di tendenza. La formula dei Five Architects si fa così strada, a designare un processo di
ripensamento formale, altamente intellettualizzato e a-ideologico, sulle vie
battute dalle avanguardie europee degli anni '20. Queste volume ripercorre le
prime fasi di formazione del gruppo, tentando di storicizzarne le ragioni all'interno
della situazione culturale statunitense, arrestandosi intorno al 1975/1976 al
momento del divergere delle tendenze soggettive dei cinque architetti. |
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Giudizio Complessivo: 9 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Stefano Albertario |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2014/2015 |
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Autore |
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Manfredo Tafuri (Roma, 4 Novembre 1935 – Venezia, 23 Febbraio 1994) é stato uno storico dell'architettura italiano. Assistente di Ludovico Quaroni a Roma, insegnò Restauro dei monumenti a Palermo (1966/1967) e dal 1968 Storia dell'Architettura a Venezia. La sua riflessione critico-ideologica, avviata su riviste come Comunità, Marcatrè e Contropiano, è espressa in Teoria e storia dell'architettura (1968) e Progetto e utopia (1973). Con spiccata inclinazione storico-analitica, raffinata alla luce della lezione di G.C. Argan, della scuola delle Annales, e di autori come E. Paci, T.W. Adorno, S. Freud, W. Benjamin, ha studiato il linguaggio architettonico contemporaneo e moderno. |
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Manfredo Tafuri |
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Contenuto |
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Dopo una breve introduzione in cui l'autore inquadra il pensiero architettonico statunitense, influenzato dagli studi di Louis Kahn e Robert Venturi, Tafuri introduce i Five Architects descrivendone i tratti caratteristici e le modalità che hanno contribuito ad accomunarli nello stesso gruppo. Successivamente l'autore si concentra singolarmente sugli architetti proponendo per ognuno una breve bibiografia, l'elenco di opere, la bibliografia e specifici progetti accompagnati da immagini esplicative di essi. |
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CAPITOLI |
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Capitolo 1 - Peter Eisenman: “A Rake's progress” |
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Peter D. Eisenman
è nato a Newark, New Jersey, nel 1932. Dal 1960 inizia la sua attività
professionale, dedicata soprattutto all'edilizia abitativa e all'urbanistica.
Notevole la sua attività di teorico della progettazione, esplicata in
pubblicazioni, conferenze e documenti. Dei “Five” Eisenman è inqualche modo
l'anima teorica e, indubbiamente, la figura più singolare. Egli definisce la
propria architettura come “Architettura di cartone”, cioè come ricerca di una
architettura come tale, immergendosi nuovamente nel clima dell'avanguardia.
Lo studio della forma presente in qualsiasi significato porta Eisenman a studiare, come i protagonisti della “Minimal Art”, la relazione fra sistemi di segni e
strutture profonde. House I (1967) e House II (1969) fanno
parte di un'unica ricerca tesa a neutralizzare ogni percezione realistica
degli edifici: la forma pura entra in conflitto con l'intersezione dei piani
e con la disposizione puntiforme dei pilastri. In tal modo effetti di
trasparenza e di svuotamento spaziale fanno di queste due architetture degli
elementi autonomi, esplorazione delle possibilità di trasformazione di figure
geometriche elementari. La griglia che definisce il prisma di
base della House III è la stessa delle precedenti, ma viene immesso un solido
geometrico ruotato di 45 gradi rispetto alla gabbia, che rimane svuotata;
questa rotazione del volume, per Eisenman, serve
solo a mettere in difficoltà lo stesso concetto di “composizione”, esibendo
il processo di estraneazione della forma rispetto a sé stessa. Il principio che lega Eisenman alle ricerche formaliste viene applicato quando “il lavoro sulla forma” viene considerato come “messa in luce del procedimento linguistico”.
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Capitolo 2 – John Hejduk: “L'evento interrotto” |
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John
Hejduk è nato a New York nel 1929. Durante
la sua carriera è stato insegnante presso l'University
of Texas, la Cornell University,
la Yale Graduate School of Design e la Scuola di Architettura della Cooper
Union. La sua attività personale è rivolta soprattutto alla casa singola, in
cui sviluppa la sua capacità di teorico della progettazione. Considerato il più empirico e il meno
intellettualistico dei “Five”, nel 1966 progetta la
sua opera forse più programmatica, l'House 10. Si basa su forme geometriche
sezionate secondo regole elementari; figure planimetriche semplicemente
accostate, vengono ritagliate per ¼ e aggregate alle estremità del lungo
percorso su cui si attestano. Hejduk sceglie forme
assolutamente banali e le deforma secondo regole arbitrarie ma ugualmente
elementari. Per lui lo spazio è un campo neutro; il percorso fra le due testate
della House 10 potrebbe allungarsi fino all'infinito, non essendo il
protagonista della composizione. Dal Project A al Project C, il Diamond
Field è assunto al fine di esplorare effetti di suddivisione o compressione
dello spazio: strutture planari e strutture curvilinee in campo diagonale si
rivelano complementari nel dimostrare i limiti di manipolabilità
del segno elementare. Protagonista della Bye House è la lama muraria che separa il blocco residenziale dal volume curvilineo dello studio; quel muro è l'elemento più irreale ed onirico della composizione perchè libero da ogni funzione; da esso le forme si liberano, non più forme geometriche elementari, ma complesse.
Bye House |
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Capitolo 3 – Michael Graves: “L'immagine e il suo doppio” |
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Michael Graves
è nato a Indianapolis nel 1934. Durante la sua attività professionale, spesso
in collaborazione con Eisenman, Graves
ha realizzato progetti di vario genere, fra cui opere di edilizia privata e
pubblica, musei, centri sanitari e piani urbanistici. Graves immerge le sue architetture nello spazio della
finzione; lo spazio si sdoppia, proiettando la propria realtà su superfici
dipinte, che contribuiscono a far lievitare immagini senza corpo e senza
radici. Ciò è evidente nella Hanselmann House
(1967): un puro prisma lacerato da tagli accidentali, relazionato con
l'ambiente circostante tramite una serie di artifici formali: l'accesso al
piano primo tramite una scala esterna che porta ad un percorso sospeso, uno
schermo trasparente tra la scala e la passerella, il rapporto tra area
costruita e area scoperta. Spazio virtuale e spazio reale si scambiano
vicendevolmente le loro valenze. Questa casa accoglie in pieno l'assunto
delle ville lecorbusiane degli anni '20 e '30 nel porsi come frammenti finiti
di uno spazio omogeneo. Nella Rockefeller House (1969) è
particolarmente evidente l'influenza della pittura Cubista e Purista nelle
opere di Graves: dietro lo schermo sospeso dal
terreno, si snodano percorsi e spazi definiti da superfici mistilinee. Il Gunwyn
Office (1971/1972) può essere considerato un vero e proprio quadro Purista
proiettato nello spazio. I suoi tre livelli vengono ritagliati, modellati,
frazionati fino al paradosso; lo spazio è fluido, i colori tenui accentuano
l'instabilità delle forme. I pieni e i vuoti, le superfici rettilinee e
quelle curve, gli elementi strutturali e quelli di raccordo si equivalgono in
una raffinata stimolazione visiva. La Benacerraf
Residence (1970) consiste in una aggiunta a un nucleo residenziale
preesistente. Il caratteristico gioco di transenne ostenta irrealismo, così come la cornice curvilinea che conclude
la terrazza superiore.
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Capitolo 4 – Charles Gwathmey (& Robert Siegel): “La distillazione formale” |
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Charles Gwathmey
è nato a Charlotte nel 1938. Dal 1964 è docente di progettazione
architettonica e ricopre cariche di responsabilità presso la Yale University, la Princeton University,
la Columbia University, la Harvard University e la University of
California. Nel 1966 si è unito in società con Robert Siegel,
avente la volontà comune di considerare l'architettura come il processo
risolutivo di una serie di problemi: preoccuparsi delle specifiche esigenze
del cliente e della destinazione finale dell'opera, dedicare la priorità alle
richieste programmatiche, alle limitazioni imposte dall'area, alla
considerazione dei costi e dei tempi. Lo studio Gwathmey-Siegel
Architects offre un servizio completo nel campo
dell'urbanistica, dell'architettura del paesaggio e dell'arredamento. Nella Cogan
House, nella Cohn Residence, nel Pearl's Restaurant e nelle
residenze studentesche dello State University
College, Gwathmey e Siegel
distillano composizioni basate sulla purezza dei solidi geometrici, su una
dialettica dei percorsi, su trasparenze e su volumi bloccati. Si tratta di
opere che “usano” una ricerca sperimentale, che ne saggiano la capacità di
compromettersi con lo spazio dell'esistenza. La Whig Hall potrebbe essere definita
un “montaggio per analogia”. Il tempietto neoclassico del 1893 di A. Page Brown, isolato nel campo della Princeton University, viene svuotato su un fianco in modo da farne
emergere un puristico assemblaggio di candidi volumi; il tempietto ionico e
la citazione purista sono complementari per forma e complanari nel tempo. Nel Gwathmey
Residence and Studio (1966) i tre blocchi adottano planimetricamente la
tecnica del solido geometrico sezionato, cara ad Hejduk.
Il tracciato regolare dei tre volumi è assicurato da un irregolare disegno
dei viali e degli spazi aperti; i tre piccoli edifici possono essere
considerati come i frammenti di una esplosione ideale. E dei frammenti essi
infatti hanno l'irregolarità e la casualità.
Gwathmey
Residence and Studio |
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Capitolo 5 – Richard Meier: “La meccanica delle funzioni” |
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Richard
Meier è nato a Newark, New Jersey, nel 1934. Stabilito
il suo studio professionale a New York nel 1963, ha realizzato progettazioni
su vasta gamma: edilizia residenziale pubblica, universitaria ed ospedaliera,
impianti sportivi, edifici commerciali ed industriali, centri di assistenza
psichiatrica, case private e piani urbanistici. L'opera di Richard Meier si allontana
dall'assolutismo linguistico in cui si immergono Hejduk,
Eisenman e Graves. La Smith House (1965) e la Saltzman ouse (1967) sono due
ville a struttura stratificata in cui sono presenti relazioni tra consistenza
volumetrica e effetti di trasparenza. Le due ville evocano un'atmosfera quasi
“incantata” nel loro assoluto isolamento dal contesto. Nella Weinstein
House (1971) si può ritrovare quella “tonalità sospesa” riscontrabile nella
Whig Hall e nella Bye House; oltretutto nella sua articolazione in lunghezza
è dato riconoscere la memoria delle metafisiche distillazioni puriste degli
anni '30. La lunga rampa che collega i rarefatti volumi residenziali traspare
all'interno di una galleria vetrata a copertura semicircolare, evocazione
dell'architettura delle serre vittoriane. Meier non segue né il simbolismo lecorbusierano, né l'astrattismo di Hejduk.
Le strutture di circolazione, la chiarezza del sistema organizzativo, delle
strutture portanti e degli accessi sono per lui materiali di progettazione da
integrare fra loro in modo complesso, una volta analizzati singolarmente. Per Meier l'architettura è un
intreccio di varie aree linguistiche ma distinte , un “sistema di sistemi”.
Egli propone un metodo di controllo della progettazione, dove l'isolamento
iniziale delle componenti non ostacola i successivi momenti di sintesi; Meier
si può permettere una tacita critica alla riduzione concettualistica del rapporto segno-struttura operata da Eisenman. Non più il crudele incatenamento della
geometria alla sua allucinante silenziosità, ma l'articolarsi dei segni come
testimonianza della presenza di oggetti che espongono con evidenza assoluta
la loro funzione. Nell'Olivetti Residence a Terrytown (1973) vi è l'uso della planimetria a serpentina,
in cui lo snodarsi dei blocchi di testata e la concentrazione dei blocchi di
servizio e di collegamento verticale nei nodi in curva enunciano una sorta di
critica al modello aaltiano dei dormitori MIT a
Cambridge. La Douglas House (1973) utilizza un linguaggio
fatto di “opposizioni” di voluta dialettica fra l'assoluta trasparenza del
fronte e la superficie piana e frazionata del retro. Ma l'oggetto si allaccia
ostentamente all'ambiente, tramite le scale
esterne. Le due scale e la lunga passerella sospesa, che conduce alla
terrazza, formano un sistema autonomo di percorsi. La Douglas House imposta
così una dialettica fra l'autonomia dell'oggetto e lo spazio ambiente,
premessa ai progetti di housing urbano di Meier. Per i suoi interventi su scala urbana
si potrebbe parlare di un profondo “realismo critico”: lo dimostra il
complesso di Twin Parks Northeast.
La soluzione di Meier oscilla tra l'accettazione della maglia urbana
esistente e la sua deformazione, in funzione di una precisa definizione di
spazi socialmente fruibili.; il “realismo” di Meier trova in questo progetto
il suo massimo compimento. Sono state effettuate, però, delle rinunce
linguistiche a cui Meier ha contrapposto la rigorosa stringatezza delle
superfici; nessun neobrutalismo compiaciuto della
propria matericità, ma una rarefatta cadenza di
ritmiche bucature, in cui le minime variazioni servono ad accentuare la
compattezza del corpo murario. Questa riduzione linguistica ha alla sua base
un ulteriore modello, cioè il “less is more” di Mies.
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