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autore |
FRANCA SEMI |
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titolo |
A LEZIONE CON CARLO SCARPA |
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editore |
CICERO |
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luogo |
VENEZIA |
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anno |
2010 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale: Franca Semi, a lezione con Carlo Scarpa,
Cicero editore 2010 |
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Argomento e tematiche affrontate |
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Il libro
costituisce la trascrizione di alcune lezioni tenute da Scarpa presso lo IUAV
(Istituto Universitario di Architettura di Venezia), tra il 1975 e il 1976. Le lezioni trattano
diversi argomenti, dall’analisi dei progetti di Scarpa stesso, a quella di
altri illustri esempi, su tutti Frank Lloyd Wright, per cui Scarpa aveva una vera adorazione,
mitigata poi dall’aver visto dal vivo le sue opere in America. Le tematiche affrontate
possono essere divise sostanzialmente in due gruppi, legati al tema dell’anno
a cui fanno riferimento le lezioni: -
i primi
capitoli (2-7), datati Gennaio-Marzo 1975,
si concentrano sulla progettazione degli interni e delle residenze,
essendo tema d’anno la riqualificazione di un palazzo veneziano; -
gli ultimi
capitoli (8-13), datati Gennaio-Aprile 1976, riguardano la tematica museale,
poiché il tema d’anno era la riqualificazione e riconversione in museo del
complesso della chiesa e dell’ex-convento di Santa Caterina a Treviso. |
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Giudizio
Complessivo: 9 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Martina Bruno |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3
a.a.2014/2015 |
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Autore: Franca Semi |
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Franca Semi
(Capodistria 16/05/1943) si laurea presso lo IUAV nel 1970 avendo come
relatore Carlo Scarpa. Collabora con lui in diversi progetti, come quello
della Fondazione Masieri. Nel 1988
vince un concorso nazionale per professore associato e ottiene la cattedra di
“Arredamento e architettura degli interni” presso lo IUAV, mantenuta fino al
2003. Svolge attività
professionale a Venezia e ha collaborato all’allestimento di grandi mostre
d’arte a Verona e Venezia. Ha pubblicato scritti sulla tipologia
dell’edilizia veneziana, su questioni di museografia e su Carlo Scarpa. |
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Gilles Clément |
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Contenuto |
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Le tematiche affrontate sono essenzialmente
indipendenti, essendo, appunto, lezioni frontali tenute durante il corso di
Composizione architettonica. Comunque, si notano due grandi argomenti a cui
fa riferimento Scarpa, ovvero i temi dei due corsi da cui sono state tratte
le lezioni: la riqualificazione di un palazzo veneziano e la conversione in
museo del complesso di Santa Caterina a Treviso. Nei diversi capitoli sono analizzati alcuni progetti di
Scarpa stesso, su tutti la tomba Brion (da lui stesso definita il suo
progetto preferito) a cui sono dedicati due interi capitoli, e altri
riferimenti per lui importanti (non
solo Frank Lloyd Wright, ma anche l’architettura giapponese e quella
dell’antica Grecia, che l’architetto riteneva esempi altissimi di “bella
architettura”). |
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CAPITOLI |
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Capitolo 0– Introduzione alle lezioni La didattica di Carlo Scarpa. Quel tempo e altro |
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L’autrice spiega come, dopo essersi laureata con Scarpa come relatore,
sia diventata sua assistente, sia nell’attività
professionale che presso lo IUAV.
Introduce la figura di Scarpa professore, al di fuori dagli schemi
dell’epoca, non tanto per il suo modo schietto e diretto di relazionarsi con
gli studenti, quanto per la didattica, incentrata in tutto e per tutto
sull’importanza del disegno, dallo schizzo iniziale, fino agli elaborati
tecnici. Scarpa aveva un rispetto quasi religioso per il disegno,
testimoniato dall’estrema cura con cui sceglieva carta e matita adatte per
ogni suo schizzo. Le registrazioni si riferiscono a lezioni tenutesi negli anni ’70, anni
di grande fermento politico e sociale in Italia. La particolarità del periodo
si riflette sulle lezioni, in cui leggiamo diversi commmenti dell’architetto,
soprattutto sul “problema sociale delle opere”. Il tema era molto caro a
Scarpa, ma provava una tremenda ripulsa a parlarne, conscio del fatto che
molti nascondevano dietro il termine “sociale” il vuoto di chi non ha nulla
da dire in architettura. Altro tema caldo in quegli anni era l’istruzione, in
genere, e l’università, in particolare. Furono quelli gli anni in cui venne
aperto il numero degli iscritti (quelli dello IUAV passarono dalle poche
centinaia alle sette-ottomila unità in pochi anni), quindi la didattica, il
corpo docente, le strutture stesse furono sottoposte forzatamente ad una
grande, tesa, e spesso disordinata, trasformazione. |
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Capitolo I – Prolusione: sull’arredamento (prolusione di Carlo Scarpa per l’inaugurazione dell’anno accademico
1963-1964) |
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Arredare: provvedere del necessario (Dizionario della Crusca). Il termine deriva
dal gotico ga-redàn (aver cura) e dallo spagnolo arrear (adornare).
Ciò vuol dire, quindi, che gli arredi sono necessari, bisogna averne cura e
devono essere belli, giacchè la bellezza è un fatto insito da sempre
nell’uomo. La grande architettura è poco ornata, o non lo è affatto, ha una
semplicità ricca di contenuti, quindi l’ornamento e la decorazione, se
presenti, devono essere all’interno, sugli arredi. Ovviamente, non bisogna
esagerare con le decorazioni, per evitare tutte le superfetazioni, un esempio
negativo su tutti: il Neoclassicismo. L’arredamento non dev’essere necessariamente elaborato o costoso, per
costituire un valore e quindi un fatto architettonico, l’architettura si vede
nelle linee, nei contrasti, nei rapporti segreti. A tal proposito Scarpa cita l’esempio di
una capanna africana da lui visitata durante un viaggio: essa presentava un
arredo semplicissimo, ma molto plastico: solo il letto dei genitori, in
muratura, posto in un angolo e rivestito da coloratissime stoffe fatte a mano
e ben ripiegate. Nella sua semplicità questa capanna mostrava gli stessi
valori formali degli interni di Ercolano e Pompei. Il problema che l’architetto si pone è come dare al popolo una casa che
abbia un senso di bellezza oggi, che si è creato il nulla attorno alle cose.
Non basta la mobilia elegantissima, il nulla che è stato creato,
l’invisibilità di qualsiasi elemento strutturale sia all’interno che
all’esterno degli edifici è necessario, riflette il gusto contemporaneo, ma
non deve diventare arido. Negli
edifici di oggi non ci sono più superfici, forme da far vibrare con la luce,
ma, al contempo, dalla semplificazione possono nascere nuovi fatti spaziali,
come, ad esempio, l’abbandono della simmetria. |
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Capitolo II- Piccoli particolari, valori spaziali, riferimenti letterari (23 Gennaio 1975) |
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Il primo problema che un architetto si trova ad affrontare è
l’immaginazione dello spazio. Scarpa suggerisce ai suoi studenti di pensarlo
come un pieno da svuotare a seconda delle proprie necessità. Ovviamente è
importante svuotare questo pieno prestando sempre attenzione all’armonia tra
le parti, armonia che non si ritrova solo nel grande, grande non vuol dire
niente, c’è del grande, grandioso, anche negli spazi più piccoli. Egli li
incita a prestare attenzione a tutti gli elementi del progetto, anche i più
piccoli, come, ad esempio, un battiscopa. È importante progettare bene anche
la decorazione, come fanno Ruskin, che, pur affermando che l’architettura
fosse decorazione, aveva un pensiero moltorazione, o Loos, il quale sapeva
decorare in maniera perfetta (come nel Karntner Bar a Vienna). Scarpa, infine, consiglia agli studenti
due passi fondamentali da compiere prima di accostarsi alla
progettazione: -
fare la punta alla matita, per
preparare il proprio strumento alla perfezione -
trovare riferimenti letterari
(ad esempio Croce, De Sanctis, Longhi, Brandi, Fromentin, Argan, Baudelaire,
Leopardi) |
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Capitolo III – Temi del corso, l’ingresso IUAV, casa Ottolenghi (30 Gennaio 1975) |
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Viene descritto il tema del corso di Composizione architettonica: la
riqualificazione di un palazzo di campazzo dei Tolentini, di fronte all’ingresso
dello IUAV. Per Scarpa è l’occasione giusta per criticare una delle pratiche
più in voga in quegli anni, cioè la conservazione dei centri storici in toto,
senza valutare ogni singolo edificio criticamente. Anche in urbanistica ci
sono dei valori plastici da rispettare, quindi è impensabile non demolire
nulla. Secondo lui i centri storici possono essere recuperati bene solo
utilizzando gli stessi materiali dell’epoca, tagliati con gli stessi
strumenti dell’epoca, cosa ormai impensabile. Egli elogia il caratteristico coronamento con fiamme, tipico dei palazzi
veneziani. Questo permette alla luce di vibrare sui tetti, dando alla città
un aspetto quasi ridente. Al contrario, molti edifici moderni, come i
grattacieli, sono troppo rigidi e sembrano non avere mai fine, non avendo
alcun coronamento. |
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Capitolo IV- Giappone, giardini, Venezia (20 Febbraio 1975) |
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La lezione inizia
con una correzione dei primi elaborati degli studenti. Partendo da questa,
Scarpa passa ad elogiare i giardini giapponesi prima, e l’architettura
giapponese poi, mirabile esempio della finezza del saper usufruire di uno
spazio piccolissimo al meglio. Venezia, infatti, è nota per i suoi spazi
piccoli, stretti, ma anche per i suoi cortili e piccoli giardini, per questo
consiglia ai suoi alunni di riprendere tale tema, molto interessante da
sviluppare, come egli stesso fa nella fondazione Querini Stampalia. Passando
al commento della struttura progettata da un ragazzo, critica il suo non far
riferimento in maniera critica ai valori moderni dell’architettura,
quali la rottura dell’angolo, la variazione, “l’uso delle stesse parole
scambiandole come nessi sintattici in modo diverso e adoperando gli stessi
discorsi”. |
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Capitolo V– Masieri Memorial, Wright (6 Marzo 1975) |
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L’architetto americano era stato invitato a progettare la fondazione
creata in memoria di Angelo Masieri, figlio della famiglia Masieri, morto
durante il viaggio di ritorno dall’America, in cui si era recato proprio per
chiedere a Wright di progettare la propria casa. Probabilmente proprio a
causa di questa particolare concomitanza di situazioni, la fondazione
progettata da Wright esprime una grande monumentalità. Il progetto vide sia detrattori che sotenitori tra esperti, politici e
intellettuali veneziani, essenzialmente a causa della sua grande carica moderna. All’inizio
Scarpa stesso ne era un estimatore, ma, con un’analisi più attenta, giunse
alla conclusione che non poteva essere realizzato, perché non possedeva
l’elemento fondamentale di tutti gli edifici veneziani: la leggerezza.
Dagli schizzi poteva sembrare leggero e trasparente, ma non lo era affatto,
era un parallelepipedo in marmo piantato in mezzo a Venezia, dove il marmo
non c’è. Il progetto non fu mai realizzato, e, anni dopo, Scarpa venne
chiamato a restaurare il palazzo della fondazione. In questa lezione egli
descrive le ragioni del progetto e alcuni elementi particolari. Si concentra
molto sul perché i solai siano staccati dalla facciata che, per vincolo
prescrittivo, doveva rimanere integra e intonsa. All’interno si trovano degli
alloggi per studenti, moduli minimi triangolari disposti uno accanto
all’altro, per sfruttare al meglio il poco spazio a disposizione. Cerca di
descrivere chiaramente anche le scelte strutturali, affermando che: “ finchè
non ci sarà la comunione esatta di un costruttore di scienza delle
costruzioni più un architetto, non faremo mai architettura bene”. |
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Capitolo VI – Banca Popolare di Verona, le automobili sono dei cofani (13 Marzo 1975) |
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Il concetto della Banca Popolare di Verona è un grande tetto piano, una
piastra, retta da un sistema strutturale. Inizialmente Scarpa voleva che
l’edificio fosse coronato da una striscia di finestre nere, ma poi decise di
porvi sopra una putrella molto alta, dipinta di nero, decorata come con delle
metope: le lastre bullonate. Modificò anche l’aspetto dell’appoggio della
putrella, facendovi scavare due spazi sferici all’interno, completamente
dorati, per permettere alla luce di vibrare e diffondersi sulla facciata. Deciso a citare l’architettura antica,
riprese l’idea di capitello e basamento, realizzando il primo con un anello
al contorno dei pilastri (disposti sempre in coppia) e il secondo, giocando
con l’attacco a terra che divenne una sovrapposizione di piastre di frome
diverse. Per Scarpa è fondamentale
esaltare, valorizzare l’essenza dell’edificio, cioè la struttura, che
dev’essere la parte più costosa, cioè fatta meglio. Proprio per questa sua
idea egli si scaglia contro tutto ciò che è foderatura, come le auto,
semplici e, nella maggior parte dei casi, brutti cofani che nascondono motori
perfetti e bellissimi. |
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Capitolo VII- Frank Lloyd Wright (20 Marzo 1975) |
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Scarpa analizza le case più famose progettate da uno dei suoi principali
riferimenti, Wright. - Robie house: uno dei momenti più significativi dell’architettura
wrightiana. Quando Scarpa l’ha visitata era ridotta in uno stato di quasi
totale abbandono, poi, però, è stata recuperata perché trasformata in sede
della fondazione Adlai Stevenson (uno studioso di economia). La struttura è
sostanzialmente in legno e mattoni. La casa, il cui andamento orizzontale è
accentuato dalla posa dei mattoni, è caratterizzata da alcuni spazi enormi
che danno un effetto di grandiosità nell’insieme. Per Scarpa proprio questa
enormità dello spazio rende la casa inabitabile, secondo lo stile di vita
contemporaneo, e la espone, quindi, all’abbandono. Secondo lui molte opere di
Wright rischiano di subire questa sorte, a meno che non vengano trasformate
in fondazioni. - Jacob’s House: è la casa di un religioso, difatti è realizzata con gli
stessi materiali della chiesa vicina: legno e mattoni. Gli spazi sono non
immensi, ma ben dosati. L’ingresso è totalmente vetrato, al contrario della
zona retrostante più “chiusa”, anche a causa del terreno che sale quasi fino
alle pendici più alte delle stanze. - Fallingwater: Scarpa la definisce quasi miracolosa. All’interno si ha
la netta sensazione di essere sospesi nel vuoto, grazie ai grandi mensoloni
che, attaccati saldamente alla roccia, sopportano uno sbalzo notevole.
L’abitabile è reso nullo, rispetto ai terrazzi, ed è anche abbastanza in ombra (era
sicuramente una casa per l’estate), proprio a causa degli stessi. Gli unici
materiali sono la pietra, il cemento intonacato e il vetro. |
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Capitolo VIII –Musei: Santa Caterina a Treviso, Guggenheim a New York, Abatellis a
Palermo e altri (2 Gennaio 1976) |
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Scarpa presenta il tema d’anno: la riqualificazione della chiesa ed
ex-convento di Santa Caterina e la riconversione in Museo Civico cittadino. Secondo l’architetto, la prima cosa da conoscere, quando si progetta un
museo, è il materiale da esporre, per realizzare lo spazio più idoneo,
“l’architettura deve amare la verità, quindi conoscere le cose nel profondo”. Egli passa poi all’illustrazione di alcuni noti esempi di musei. Parte dal Guggenheim di New York di FLW,
definendolo così: “il Guggenheim non è un museo concreto, vero insomma; è un
exploit generoso da parte della concezione spirituale altissima di Frank
Lloyd Wright”. Questo è stato
costruito come museo destinato principalmente all’esposizione di arte
astratta e i quadri di questo tipo, all’epoca della costruzione, erano tutti
piuttosto piccoli, quindi venivano esposti poggiati sui parapetti. Ciò vuol
dire che si aveva una percezione totalmente diversa delle opere e del museo
stesso. Oggi, con l’aumento delle dimensioni dei quadri, sono stati spostati
sulle pareti, curve, quindi poco adatte ad ospitarli. Si è persa totalmente
la proporzione tra i quadri e il museo. Inoltre, essendo nella zona interna
del percorso, le opere non risultano ben illuminate con la sola luce
naturale, quindi si è dovuto provvedere anche al posizionamento di luci artificiali.
Per Scarpa, tutti i musei dell’800, quali l’Alte Pinakothek di Monaco o
la National Gallery di Londra, sono ben disposti per quel che riguarda la
luce, ma non sono completi, manca qualcosa, le parti non funzionano. Tra i musei moderni elogia in particolar modo quello di Albini a San
Lorenzo, e afferma che ci sono edifici medioevali italiani che hanno
possibilità evocative strumentali per aiutare a possedere l’opera d’arte,
migliori degli stessi musei moderni. Questo perché l’opera d’arte, che non
era posta al loro interno in origine, viene costretta a starci, costruendo
una relazione molto particolare con l’ambiente. A tal proposito parla del proprio progetto a Palazzo Abatellis a
Palermo. L’elemento che più apprezza, di tutto il museo, è il posizionamento
del grandioso affresco di 5-6 m, “Il trionfo della morte”. Questo si trova al
di sotto di un portale, all’interno di una scala e, nonostante il luogo sia
di passaggio, l’affresco risulta effettivamente valorizzato, meglio che se
fosse stato posto nel salone grande. |
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Capitolo IX- Musei: Gipsoteca Canoviana a Possagno, Castelvecchio a Verona (23 Gennaio 1976). |
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Scarpa continua ad analizzare musei, per mostrare agli studenti diversi
approcci possibili. In questa lezione descrive due suoi progetti: la
Gipsoteca Canoviana a Possagno e il Museo di Castelvecchio a Verona. - Gipsoteca Canoviana: l’incarico
gli viene affidato con l’imperativo di sistemare bene un grande gruppo
scultoreo. Una volta progettata la grande aula che avrebbe dovuto ospitarlo,
egli decide di spostarlo, convinto che lì non sarebbe stato valorizzato, e si
limita a ridisporre meglio le statue presenti. Nel progetto dell’espansione,
Scarpa cerca di creare le condizioni di luce ideale per un museo di sculture
(il tipo di museo in cui la tipologia di luce e la modalità con cui questa
entra costituiscono l’elemento fondamentale del progetto). Non potendo avere
la completa luce naturale (le statue non possono essere sempre poste
all’aperto), evita quella zenithale, e disegna delle finestre angolari, in
cui il telaio è ridotto al minimo, per permettere anche al cielo di entrare
nell’ambiente. Egli stesso, però, si rende conto, dopo, del grande problema
costituito dalla pulizia di questi vetri che, se lasciati sporchi o rotti, perdono
la loro carica espressiva. Il gruppo scultoreo al cui posizionamento dedica la maggiore attenzione
è quello delle tre Grazie, situate in una stanza chiara con, di lato, una
vetrata a tutt’altezza, per permettere alla luce di colpire di taglio le figure,
in modo da evidenziarne al meglio le
forme, ma anche mettere in comunicazione l’espansione da lui progettata con
l’edificio preesistente. - Museo di Castelvecchio: il principale problema riscontrato da Scarpa fu
che il palazzo presentava molto parti non originali, frutto di ricostruzioni
e modifiche veneziane e francesi dei secolo successivi alla sua costruzione.
Inoltre, nel 1925 un ricercatore, direttore di museo, volle ricomporre le
case gotiche andate distrutte, così trasportò e collocò vari pezzi
all’interno del cortile, creando un effetto piuttosto sgradevole. Tutta la disposizione delle opere nel museo
è studiata in base al percorso del visitatore. Questo si capisce chiaramente
dalla posizione scelta per la statua di Cangrande della Scala, ben visibile
nel cortile su un supporto aggettante
dal pilastro di fondazione. |
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Capitolo X- Il Museo di Santa Caterina come tema, l’organo della basilica dei
Frari a Venezia. (4 Febbraio 1976) |
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All’inizio della lezione viene descritto lo stato del complesso
dell’ex-convento e dell’intorno e il tipo di collezione che il museo
ospiterà. Tra le varie opere spicca una vasta collezione di poster e
cartelloni pubblicitari. Parlando della chiesa, Scarpa si concentra
sull’importanza dell’organo, soprattutto laddove fosse trasformata in
auditorium. Egli stesso aveva progettato un organo per la basilica dei Frari,
ma non era stato realizzato, per problemi con la Sopraintendenza. |
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Capitolo XI- Giappone, Padiglione del Venezuela (5 Febbraio 1976) |
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La lezione si svolge con un ospite
giapponese, Hiroyuki Toyoda (autore, con Tadashi Yokoyama del numero
monografico su Carlo Scarpa della rivista giapponese “SD, Space Design”),
chiamato dall’architetto per parlare dell’architettura giapponese. Scarpa
insiste molto su un concetto: mentre nell’architettura occidentale la
struttura esiste come fatto matematico, poiché nasce dal teorema di Pitagora,
a cui fa continuo riferimento, nell’architettura giapponese e cinese, questo
non succede, la struttura non sussite come fatto matematico, ma è un semplice
criterio statico affidato al telaio, per questo vi è un continuo ricorso ad
archi e contrafforti, gli edifici non starebbero in piedi, in caso contrario. A prescindere da questo commento
egli è un grande esitmatore dell’arte e della cultura giapponese, del suo
rispetto per tutti gli ambienti della casa, a partire dal giardino, curato
nei minimi dettagli, per finire con la pavimentazione delle stanze, avente
come modulo il tatami, una piastra di 90x180 cm. |
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Capitolo XII- La tomba Brion (18 Febbraio 1976) |
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Il signor Brion
aveva comprato un terreno piuttosto grande vicino al cimitero esistente di San
Vito d’Altivole, per realizzare la tomba di famiglia, non tanto grande o
grandiosa, quanto con molto verde intorno, poiché era un amante della
campagna. La tomba vera e propria è posizionata nel punto topico, in
relazione con il cimitero esistente, anche grazie all’unico ingresso che
avviene proprio da qui. Questo ingresso è un portale su cui Scarpa ha voluto
porre degli abeti pendula che costituiscono quasi una tenda da scostare
all’ingresso. Nella tomba vi è un grande dinamismo plastico, volutamente accentuato.
I sarcofagi, realizzati in legno “per non sentire il freddo della morte”,
sono all’interno di un arcosolio decorato con mosaici d’oro. Vi sono anche
una chiesetta privata, progettata in modo che l’altare sia nel punto focale,
e una cappella riservata alla sepoltura dei preti (per un’usanza locale). Una delle poche pecche che Scarpa attribuisce a questo
progetto, il suo preferito (tanto che vi si è riservato una zona per la
propria sepoltura), è l’altezza del muro di cinta, calcolata in base alla
propria e rivelatosi, poi, troppo basso. Il suo obiettivo era quello di non
creare un muro eccessivamente alto, per non chiudere visivamente la tomba,
ma, allontanandosi, si vede troppo l’ambiente circostante. |
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Capitolo XIII- La tomba Brion, la Grecia (19 Febbraio 1976) |
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Scarpa elogia la
perfezione e la bellezza dell’Acropoli ateniese, in cui tutto è ben misurato
e la luce gioca un ruolo fondamentale. Passa poi alla descrizione di altri particolari della
tomba Brion, come lo specchio d’acqua accanto alla chiesa, le porte d’accesso
e quello che è il difetto principale dell’opera, dovuto ad un’incomprensione
con il capomastro: il disegno del sigillo del pozzo artesiano, posto in
maniera totalmente diversa rispetto a come era stato disegnato. |
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Capitolo XIV- Rapporto con tre studenti (29 Aprile 1976) |
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L’ultimo
capitolo è la trascrizione di una revisione svolta da Scarpa sui progetti di
tre studenti. |