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autore |
COLIN ROWE |
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titolo |
LA MATEMATICA DELLA VILLA IDEALE E ALTRI SCRITTI |
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editore |
ZANICHELLI |
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luogo |
BOLOGNA |
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anno |
1990 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale:
Colin Rowe, “The mathematics of the ideal villa and other essays” |
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Argomento e tematiche affrontate |
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Il motivo
principale dell'opera roweiana è la critica al movimento moderno in
architettura, che si profila come la trattazione del problema
dell'originalità teorica dell'architettura moderna. Ciò che emerge
complessivamente dalla lettura del volume è che non di fondamenti
o certezze è stato maestro Rowe, ma di affiancamenti tra
classico e moderno, di pensieri verificabili solo tramite una
coerenza maturata internamente al suo ragionamento, di manipolazioni e
“smontaggi” che preludono ad azioni progettuali. Lo scritto non
descrive le opere, ma le interpreta, le sottopone a inattese
comparazioni capaci di far scaturire risonanze tra architetture
distanti nello stile e nel tempo. Questo saggio
tesse una trama di relazioni tra edifici temporalmente e
stilisticamente lontani, individuando analogie tra le strutture
formali di tali manufatti e guardando la storia dell'architettura
come un campo di trasformazioni continue nel quale ogni opera
parla non solo di se stessa, ma anche di tutte le altre con le quali
si può correlazionare. |
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Giudizio
Complessivo: 7 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Federico Folino Gallo |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3
a.a.2014/2015 |
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Autore |
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Colin
Rowe
(Rotherham, 27 marzo 1920
– Contea di Arlington,5 novembre
1999) è stato un architetto e urbanista britannico naturalizzato
statunitense, storico dell' architettura e teorico dell' urbanistica. Gli
viene riconosciuta una grande influenza intellettule
sul mondo dell'architettura e dell'urbanistica nella seconda metà del
ventesimo secolo ed oltre, in particolare nei settori della pianificazione urbnistica, della rigenerazione e della progettazione
urbana. Ha
studiato presso la facoltà di architettura presso l'università di Liverpool e
storia dell' arte presso il Warburg Institute di Londra. Ha poi insegnato in varie scuole,
fra le quali l' Università di Austin e la Cornell University. Nel
1995 ha ricevuto la medaglia d' oro dal Royal Institute of British Architects. |
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Colin Rowe |
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Contenuto |
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Un conoisseur: in questo modo Paolo Berdini,
nell'introduzione à La matematica della villa ideale, definisce Colin Rowe.
Da tale scritto si evince che la principale caratteristica dell'autore è
rappresentata dalla sua particolare attenzione per la forma. Questa segna il
punto di partenza da cui muove e su cui si costruisce il metodo del quale fa
uso lo studioso. E' infatti attraverso l'uso sistematico della comparazione
delle forme che Rowe arriva a concludere che l'architettura moderna è una
stuttura formale con significati classici, intenzioni artistiche e un
vocabolario che non hanno a che fare con la prassi funzionalista. Per via di tale rapporto con la forma, l'attenzione
ricade sull'occhio come unico strumento conoscitivo utilizzato da Rowe. L'organo,
infatti, “si alimenta della varietà delle forme quasi fossero per lui un'
incessnte e quotidina necessità; una varietà […] che egli riesce a governare
grazie alle discipline stressanti del raffronto e dell'analogia”. Un metodo, quindi, che pone al centro l'analisi
comparativa. |
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CAPITOLI |
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Capitolo 1– La matematica della villa ideale |
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Da un lato Palladio, dall' altro Le Corbusier. Le architetture di
questi, comparate nel saggio costituiscono un caso emblematico: dittico “eretico” e confronto “a-temporale” insieme, che
affianca due coppie di opere lontane cinque secoli le une dalle altre. Rowe
istituisce una chiara relazione tra classico e moderno attraverso il
raffronto de La Rotonda e di Ville Savoye da una parte, di Villa Foscari e di
Villa Stein-de Monzie dall'altra. Lo scritto determina il sovvertimento di una delle questioni
fondamentali su cui si era basata
l'idea di originalità dell'architettura moderna, ovvero la sua assoluta indipendenza da ogni
tradizione stilistica precedente. I disegni e i diagrammi presenti nell'articolo costituiscono un livello
di lettura parallelo al testo, che rafforza il collegamento tra le due coppie
di ville. Rowe indaga insieme tradizione e modernità, utilizzando quello che per
lui era l'unico sistema con il quale poter dare un'analisi critica attraverso la comparazione di due
opere: il metodo wolffliniano. Si era avvicinato tramite gli studi a tale sistema di analisi formale
che si basava sul dialettico confronto di oggetti attraverso coppie di
simboli visivi in contrapposizione (lineare – pittorico, forma chiusa – forma
aperta) e volto alla comprensione dei mutamenti delle forme nel tempo. |
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Altri scritti – Manierismo e architettura moderna |
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Villa Schwob a Le Chaux-de-Fonds (1916) non fa parte del Ouvre Complète di Le Corbusier, pur
essendo la sua prima opera di rilievo ad essere realizzata. Per Rowe la sua assenza è perfettamente comprensibile: essa manca di
sintonia con le successive opere, pur avendo una proporzione e una
monumentalità esemplari. Dopo una breve analisi dell’edificio le critica ricade sul prospetto
della facciata d’ingresso, costituito da tre riquadri. La “causa” di tale critica è il riquadro centrale che, incorniciato e
racchiuso da una superficie bianca cieca e priva di rilievo, infonde un senso
di nudità all’edificio. Vengono poi nominati due esempi nei quali il riquadro
fa un’ apparizione centrale in un prospetto così contenuto come quello di
Villa Schwob: Casa del Palladio a Vicenza e il Casino di Federico Zuccheri a
Firenze. Il Manierismo cinquecentesco sembra consistere nella consapevole
inversione della norma classica del Rinascimento. Affermando poi che il
Manierismo dipende dalla consapevolezza di un ordine preesistente, Rowe trova
un’ analoga e velata dipendenza nelle opere di Le Corbusier. |
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Altri scritti - Carattere e composizione |
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Gli scaffali di ogni biblioteca che si rispetti raccontano che negli
anni tra il 1900 e il 1930 l’interesse critico prioritario della professione
architettonica risiedeva nel chiarire i principi della composizione
architettonica. L’intento di tali scritti era dichiaratamente pedagogico. I
loro autori pur non avendo diretti legami col movimento moderno in campo
architettonico, non erano sempre isolati dagli sviluppi contemporanei e si
preoccupavano della sopravvivenza di certe norme di urbanità e ordine, oltre
che di certe idee accettate identificabili con la tradizione; ma il principale intento era quello di estrarre da precedenti storici e
da correnti una qualità comune identificata come una “composizione corretta”. Questi libri si trovano spesso
negli stessi scaffali con i manifesti del movimento moderno pubblicati negli
stessi anni. L’invito ad un’ analisi è dato da alcune evidenti differenze:
secondo le dichiarazioni dei grandi degli anni Venti l’esistenza dei principi
di composizione era irrilevante. Essi si ritenevano estranei a intenzioni
formali. L’architettura moderna ha quindi apertamente ripudiato la composizione. “Ho sempre avuto timore a usare il termine composizione” [J. Ruskin] Questo termine è entrato fermamente nel linguaggio architettonico inglese
a seguito di innovazioni formali nel Pittoresco, la cui ambizione era stata
quella di indurre certi stati d’animo per mezzo di stimoli visivi; tuttavia
quest’ultimo rischiava di essere considerato offensivo se privo di una
qualche necessità. Dal lato opposto il carattere
acquistava una nuova dimensione. “Non rammento alcun esempio di mancanza di carattere sacro o di
bruttezza particolarmente penosa, se ripenso alle chiese di campagna più semplici e goffamente costruite,
dove pietra e legno sono impiegati grezzi e nudi” [J. Ruskin] |
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Altri scritti – L’architettura dell’Utopia |
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Utopia e immagine della città sono
inseparabili. Le Utopie trovano le loro radici nel pensiero millenaristico degli
Ebrei e le prime a carattere architettonico erano presiedute dal volere di
una divinità platonica. L’architettura serve fini pratici
ma è anche foggiata di idee e fantasie, che essa è in grado di classificare e
rendere visibili. Talvolta questa cristallizzazione architettonica può
precedere quella letteraria, come mostrato dal fatto che il famoso libro di
Thomas More apparve nel 1516 mentre già da mezzo secolo il sistema utopico
nell’architettura italiana si era già ben affermato: ne è esempio Sforzinda
del Filarete (1460).
Secondo More “chi conosce una sola
città le conosce tutte, tanto sono interamente simili, per quel che consente la
natura del luogo” (la città ideale era generalmente circolare). Rowe rimane inorridito da tali
parole sostenendo che la città ideale non la si dovrebbe giudicare secondo
criteri visivi o pratici, poiché la sua ragion d’essere è cosmica e
metafisica. I riferimenti di un ipotetico
architetto Rinascimentale che si trovi a dover argomentare a favore di
disposizioni circolari, cadono tutti sulla forma ideale platonica del cerchio
come cornice naturale per la sede di uno stato ideale. Ma tale figura ha anche predisposizione
cristiana. Si dice sia una forma naturale che intende significare e
contribuire a una redenzione della società. “Che in natura prevalga la forma
circolare è manifesto da tutto ciò che nell’universo dura, si genera o si trasforma”
[Alberti]. |