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autore |
SARAH ROBINSON |
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titolo |
NESTING. FARE IL NIDO: CORPO, DIMORA, MENTE |
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editore |
SAFARA’ EDITORE |
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luogo |
PORDENONE |
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anno |
2011 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale: Sarah Robinson, Nesting:
Body, Dwelling, Mind |
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Argomento e tematiche affrontate |
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“Il nostro
ambiente protegge la nostra vulnerabilità, ci offre un rifugio, nutre e
sostiene i nostri sogni. Questo bisogno, inciso com’è nei nostri circuiti,
rappresenta la dimensione più profonda dell’abitare. Dare veramente una casa
a sé stesso esprime e risponde a questo desiderio per un nido e un guscio.
<<Soltanto se siamo capaci di abitare, possiamo costruire>> ha
scritto Heidegger.” Nesting è un’intensa indagine filosofica, architettonica e
scientifica sul solco del sentiero tracciato dalle scienze cognitive,
dedicata al legame profondo tra gli edifici e le emozioni, la memoria e i
luoghi, in cui l’architettura si rivela essere la silenziosa e pervasiva
compagna della vita emozionale di ognuno di noi. |
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Giudizio
Complessivo: 7 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Raffaella De Marco |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3
a.a.2014/2015 |
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Autore Sarah Robinson |
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Sarah Robinson è un architetto che ha svolto la libera professione
nell’area della Baia di San Francisco nel corso degli ultimi 17 anni. I suoi
lavori hanno ricevuto riconoscimenti a livello nazionale e internazionale in
virtù della loro sensibilità verso le necessità umane ed ecologiche del
territorio. Ha conseguito la laurea in Filosofia Magna cum Laude presso la University of Winsconsin-Madison e presso l’Università di
Friburgo in Svizzera, progettando per la Art Students’ League di New York,
per poi approdare alla Frank Lloyd Wright School of Architecture dove ha
conseguito il suo M.Arch. E’ stata la fondatrice
della FLWSA Board of Trustees, di cui rimane
membro. Il suo libro Nesting: Body, Dwelling,
Mind (William Stout Publishers, San Francisco, 2011), è stato ispirato dai
suoi studi fenomenologici e dalla sua esperienza di architetto praticante. Le
ricerche per questo libro hanno contribuito alla realizzazione di “Minding Design: Neuroscience,
Design, Education and the Imagination”
un simposio internazionale da lei organizzato che ha riunito i più importanti
architetti e neuro-scienziati al fine di esplorare i modi in cui le nuove
scoperte nel campo delle neuroscienze ci permetteranno di progettare secondo
modalità che supportino le nostre menti e i nostri corpi, in armonia con
l’evoluzione culturale e sociale dell’uomo. Insieme a Juhani
Pallasmaa sta ultimando “Minding
Desing”, nato dalle questioni aperte durante il
simposio. È ora architetto a Pavia, dove si è trasferita nel 2012 con il marito
Paolo e i loro tre figli. |
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Sarah Robinson |
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Contenuto |
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Il libro analizza il profondo
legame tra progettazione e mondo sensoriale, a partire dalla percezione del
mondo sensibile fino al suo legame con l’intelletto. Contributo fondamentale
è dato dai risultati delle ricerche dell’ambito delle scienze
neuro-cognitive, che in tempi recenti hanno permesso di dimostrare attraverso
prove di carattere scientifico-biologico quelle che in precendenza erano
norme architettoniche dettate più da personale sensibilità e creatività che
da razionale intelletto. |
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CAPITOLI |
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Prefazione – Il nido umano, di Juhani Pallasmaa |
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La prefazione introduce la ricerca sottolineando
l’importanza della natura umana, in veste di emozioni e significati,
nell’ambito di ricerca architettonico, una disciplina all’origine nata da
bisogni puramente umani, e solo successivamente passata a considerazioni
tecnologiche, perdendo il suo carettere più strettamente legato all’indole
umana. L’architettura è il mezzo più significativo per
trasformare lo spazio e il tempo naturali in significati culturali e mentali,
trasformazione che avviene a livello inconscio e che si lega al manifestarsi
del significato. Trasformazione che trova il suo culmine nella costruzione
della casa, nostra culla e “nido” nel mondo. Il “nido” implica familiarità ed intimità, è la diretta
proiezione del corpo, dei suoi movimenti e del suo riposo, la più perfetta
delle dimore. I nidi degli animali corrispondono alla massima spontaneità
dell’abitare e sono traguardo dell’evoluzione, cosa che spiega la naturale e
spontanea bellezza. La tecnologia, nel corso dei tempi, ha preso le distanze
dal corpo e dai processi del mondo biologico; separando corpo e mente, sono
stati recisi i principi naturali che operano verso l’equilibrio, la
perfezione e la bellezza. Il nido protegge e supporta il corpo, ma anche accentra
e organizza il mondo di chi lo occupa, così come le architetture più profonde
che rispondono alle richieste sia del corpo che della mente, rispondono ai
nostri bisogni, anticipano le nostre emozioni, orchestrano la nostra esperienza,
e in tal mondo coreografano gli atti della vita quotidiana. L’abitare
consiste in uno scambio e una fusione, e la casa è sia dispositivo che filtro
e rifugio. Lo sviluppo tecnologico dell’era moderna ha portato ad
un’eccessiva razionalità che ha distrutto la metafora del nido e del rifugio
per modelli di prestazione elettronica, e oggi la tendenza è invece verso un
recupero dell’immagine biologica originale. Recupero non semplice, per il
quale si cerca aiuto nel campo delle scienze neurobiologiche, per una maggior
conoscenza della mente verso un traguardo di ecologia mentale. |
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Capitolo I – Dei rifugi |
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La ricerca nasce attorno al concetto di “nido”, definito come riparo protettivo
ma aperto e libero, rifugio nel quale lasciare espandere la nostra libertà, e
legare ad esso la nostra vita e sogni. Il secondo termine degno di nota
diviene allora “limite”:
ricercandone le origini etimologiche si evidenziano i suoi significati di
confine, soglia, non oppressivi ma necessari. Come esprime Nietzsche, ogni vivente riesce a evolvere
solo all’interno di un orizzonte, di cui il più immediato risulta essere il
nostro corpo, per poi procedere a “gusci”
con ambiente e mondo. La casa o “nido” è così uno di questi gusci, quello
immediatamente seguente il nostro corpo, e risulta così plasmata sul corpo
stesso e forgiata dall’interno secondo le spinte della mente, non da
strumenti o altri attrezzi, così come un uccello forgia il nido con il suo stesso corpo, dandogliene le misure
e conferendogli forma dall’interno. Questa rappresenta la forma più profonda
dell’ “abitare”, il desiderio di un
nido e di un guscio, che secondo i significati propri del termine rappresenta
un pensiero interno così come un abito esterno. Lo sviluppo delle scienze e l’affermazione del prodotto
in serie hanno portato alla distruzione di quest’azione un tempo così
spontanea e personale, riducendo l’uomo ad uno standard e in tal modo
sopprimemendo parti della sua personalità in svariati ambiti, uno fra tutti
quello architettonico; oggi l’architettura cerca di impressionare e stupire,
piuttosto di accomodare ed evocare domesticità. Nel viaggio di ricerca dell’antica spontaneità del
progetto come nido, un ruolo fondamentale rivestono le moderne neuro-scienze cognitive, il
cui scopo è lo studio delle strutture e dei processi che sostengono le nostre
percezioni, il nostro pensiero e comportamento, e che quindi guidano la
genesi dei più semplici impulsi all’abitare. |
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Capitolo II - La mente della pelle |
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Il capitolo
si concentra sulla “pelle”, quale
fondamentale organo percettivo. Gli studi delle scienze cognitive parlano di
“incarnazione” per affermare come la mente non sia centralizzata nel
cervello, ma distribuita in modo complesso in tutti i nostri tessuti,
portando tutto il corpo a sviluppare nella sua interezza processi di
interazione e partecipazione con il nostro ambiente. Nonostante
questo, il pensiero occidentale nel corso della storia si è dimostrato sfavorevole
nei confronti della nostra realtà materica, cercando di negarla e punirla,
fino al culmine del pensiero della Rivoluzione scientifica, che ha
definitivamente scavato un solco tra corpo e mente. I nuovi studi si sono
contrati sul cielo, sull’infinito, allontanandosi dalla realtà umana,
predisponendo una nuova concezione dell’uomo che poneva come suo fino ultimo
la macchina; l’astrazione si impossessa del pensiero occidentale. Il culmine
segnato da Cartesio determinò l’esilio dell’umanità da parte dell’indagine
scientifica, secondo il semplice percorso di depurazione da ogni esperienza
sensoriale verso un sapere derivante dalla sola elaborazione scientifica.
Solo verso la fine del XIX secolo, con lo sviluppo delle teorie
evoluzionistiche, l’attenzione fu riportata al corpo e ai suoi processi
biologici, e ne fu sottolineato l’innegabile legame: emozioni e sostanza
fisica sono legati da segnali cellulari alla base della vita. La
separazione tra mente e corpo ha avuto conseguenze deleterie per l’ambiente
costruito. Trascurando sentimenti ed emozioni si sono trascurati anche i loro
importanti effetti sulla vita dell’uomo: l’esclusivo affidamento su
intelletto e ragione come facoltà umane supreme è responsabile della
creazione di edifici che esibiscono disprezzo per l’umanità, piuttosto che un
invito all’abitarvi. Il piatto scenario degli edifici modernisti è
assimilabile alla visione telescopica di Galileo: oggetti formali isolati
privi di presenza umana, macchine. Le
circostanze ambientali, e quindi l’esperienza e le emozioni che ne derivano,
risultano fondamentali per lo sviluppo dell’individuo; uomo e ambiente sono
esseri attivi e si modificano reciprocamente e continuamente. La conseguenza
più immediata risulta essere quella di pensare agli edifici come pelli,
membrane progettate per il corpo stesso, medium di comunicazione e prime basi
di contatto. |
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Capitolo III – Addio Cartesio |
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Il libro
sviluppa una ricostruzione storica delle considerazioni sui “sensi” del corpo
umano, dalla loro totale rinnegazione in favore della ragione ai tempi di
Cartesio, fino alla loro rivalutazione in tempi moderni, quali sistemi
recettori attivi in dialogo con l’ambiente. Tali capacità ci legano
all’ambiente in una costante evoluzione. Direttamente derivante dalle
percezioni sensoriali è anche l’importante concetto filosofico di “estetica”,
interpretato come impulso evolutivo. In campo
architettonico il fattore estetico, dovuto alle percezioni sensoriali,
permette una relazione più profonda tra corpi e ambiente non solo basata
sulla ragione, fondata attorno al “sistema di orientamento di base” quale
riferimento per tutti i nostri sensi, e alla “gravità” quale elemento
organizzatore della nostra esperienza. Gli
scienziati cognitivisti affermano come le nostre relazioni spaziali siano
plasmate sulle nostre esperienze corporee, a partire dal ritmo sonoro, troppo
spesso sacrificato a causa di una progettazione studiata principalmente per
l’occhio ma fondamentale nella scansione delle attività quotidiane, e dalla
sua diretta conseguenza dell’eco. Altra
fondamentale percezione è quella tattile, concepita nel suo senso più globale
di deformazione dei tessuti: abbandonando l’idea dello spazio assoluto
matematico, sarebbe meglio concentrarsi sullo spazio percettivo, pensato per
conivolgere la totalità dei corpi, a partire dal semplice atto del camminare.
Conscio di questa attenzione progettuale era Carlo Scarpa, che nell’usare
l’acqua come elemento progettuale dimostrava di comprendere questo equilibrio
tra tattilità ed evanescenza, portando ad una celebrazione multisensoriale;
anche il concetto dei giardini all’interno degli edifici mirava in origine al
conivolgimento sensoriale portando suoni e odori all’interno delle
architetture, così come le delle case da tè giapponesi, dove ogni elemento e
materiale è volto alla sinfonia dei sensi. Queste
stesse considerazioni risultano dal lavoro contemporaneo di Kazuyo Sejima e
SANAA: come dimostra la Biennale di architettura di Venezia del 2010 da lei
curata, il mezzo espressivo per eccellenza è il corpo, e gli edifici non sono
altro che contenitori sensibili per l’esperienza umana, mostrando il ricco
potenziale architettonico al di là della vista. Si dimostra
così come la teoria di Cartesio sia fallimentare: se considerati come sistemi
percettivi, occhio, cervello e corpo funzionano insieme e inseparabilmente;
fondamentale risulta l’apporto dovuto al movimento, che permette
un’architettura del disvelamento, resistente all’oggettivazione e progettata
su una pluralità di punti di vista. |
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Capitolo IV – La metafora: un’abitazione locale e un nome |
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Il capitolo analizza la figura di
Gaston Bachelard, filosofo francese sul cui pensiero si basa gran parte dell’opera
in questione. È il fondatore del concetto di “rottura epistemologica”
per spiegare come la conoscenza scientifica lottasse per liberarsi dai
radicati modelli mentali ed abbracciare nuove strutture concettuali. Prodotti
diretti della conoscenza creativa sono le “metafore”: secondo il suo pensiero, sostenuto dagli odierni
neuroscienziati, le metafore sono il mezzo naturale con cui il nostro sistema
concettuale elabora e costruisce significati, radicate in esperienze corporee
ed incomprensibili senza questa loro base. Basandoci solo su una visione
oggettiva della realtà, ignorando le emozioni umane, si sopprimono le
metafore e di conseguenza le motivazioni e le percezioni che strutturano la
nostra esperienza del mondo. Prima fra tutte, la metafora della macchina è
stata l’elemento fondamentale nello sviluppo dell’architettura moderna,
perseguita da Fuller e in particolar modo dal pensiero di Le Corbusier
(metafora che nella sua natura più stretta sfuma e si evolve in quella di
metafora organica). L’architettura si basa in gran parte sulla capacità
collettiva di immaginazione di luoghi che si trovano al di là della massa di
fatti accomunati dalla razionalità. |
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Capitolo V – Quasi inconscio |
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Nell’ambito
del progetto e delle scienze cognitive, l’inconscio risulta essere un fattore
determinante. Non abbiamo consapevolezza di ciò che accade nelle nostre
menti, e i nostri pensieri prendono forma attraversoo strutture cognitive
delle quali siamo ampiamente incoscienti. Il puro pensiero razionale di
Cartesio è quindi impossibile, perché alla base dalla sua stessa concezione
risiede l’inconscio. I luoghi sono uno dei fattori su cui
inconsciamente sono modellati i pensieri. Allo stesso modo l’intelligenza
conscia nasce ed è strutturata dall’inconscio, ed in tali termini va
analizzata per essere compresa. Conoscendo
tale vasta sorgente, la progettazione dovrebbe allora occuparsi anche del non
visibile, evocando rifugi per l’illimitatezza dell’inconscio, racchiusi nel
più importante emblema della casa. Progettando per evocare la memoria, i
ricordi più sbiaditi rimangono ancora indelebili nelle loro percezioni di
olfatto e gusto, e si scontrano drasticamente con le attuali architetture
asettiche e mute: solo alcune opere, come Torqued Ellipses di Richard Serra,
sono pensate per una stimolazione anche olfattiva. È necessario pensare anche
alle memorie, non come elementi statici ma come esperienze assorbite che
cambieranno la qualità di quelle che seguiranno. Risvegliare ricordi crea
quel clima confortante nel quale è possibile iniziare a sognare. |
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Capitolo VI – L’oscurità conta |
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Il capitolo si concentra sul
ruolo della luce nelle nostre vite, da energia a fonte tecnologica fino al suo
ruolo fondamentale nell’architettura, e ai tentativi fatti nel tempo di
imprigionarla negli edifici come se non fosse mai abbastanza. La percezione
della luce nasce dal concetto di ombra, nonostante questo la loro sintesi
porta alla nebulosità del grigio: non la sintesi ma solo la loro
contrapposizione integrale risulta un mezzo di espressione. Di carattere più
scientifico, non è da dimenticare come gran parte dell’universo sia
costituito da materia oscura, e come solo in contrapposizione ad essa le stelle
e i pianeti che formano le nostre galassie risultino visibili. Anche a
livello architettonico sarebbe auspicabile una maggiore audacia ad
abbandonare l’appoggio di una fruizione totalmente visiva, e spingersi verso
concetto di spazio “oscuro”, che stimoli e motivi la multisensorialietà nella
progettazione. Le Corbusier si era addentrato in un simile tentativo nel suo
progetto non realizzato per il complesso di Saint-Baume, dove luce, colore,
suono e ritmo erano gli elementi pensati per suscitare un’esperienze di
iniziazione; parte di tali idee sopravvive nella realizzazione del complesso
di Ronchamp. Riflessione simile è contenuta nel progetto di Peter Zumthor di
terme a Vals, Svizzera, pensate quali grotte poco rischiarate dove
l’orientamento diventa necessario attraverso tutti i sensi tranne la vista.
Proprio percepire il nostro percorso nell’oscurità affina tutti gli altri
nostri sensi, e permette così una maggior comprensione di sé stessi e
dell’ambiente che ci circonda. |
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Capitolo VII – Il tempo è ritmo |
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Il discorso
di incentra sul tempo, sulle sue diverse concezioni storiche, sulla sua
suddivisione in passato presente e futuro, e sul suo ruolo fondamentale nella
scansione dei processi biologici umani e degli altri esseri viventi, dove la
sua influenza maggiore si riscontra nella scansione delle giornate con il
succedersi di giorno e notte. Proprio
questo continuo alternarsi di luce e buio genera “ritmi” su cui si
organizzano le attività umane, e su cui dovrebbe anche basarsi la progettazione
architettonica nelle sue fonti di luce naturale, piuttosto che sostituirle
con illuminazioni artificiali. Il ritmo è fondamentale per la risonanza e la
sincronia in architettura: attraverso la tessitura di luce e buio, esso
permette di scolpire ombre in consistenze, pieghe e ondulazioni, muovere
ritmicamente forme e superfici. Ritmo che si è andato perdendo nello sviluppo
industriale, dove i suoni delle macchine prevalgono su suoni più antichi,
soprattutto negli interni architettonici (musica d’ambiente, impianti di
climatizzazione…). L’architettura
non va pensata eterna: gli edifici dovrebbero accettare l’invecchiamento e il
decadimento invece di perseguire la forma perfetta e il tempo assoluto,
sfruttare le qualità positive dell’invecchiamento anche e soprattutto nei
materiali come punti di forza del progetto (ossidazione di metalli,
invecchiamento del legno…). Una testimonianza del passaggio del tempo che è
pratica comune nella cultura orientale, e che invece è rifiutata in quella
occidentale. La pietra per eccellenza, nella sua formazione, natura e uso
architettonico, incarna la sovrapposizione delle ere e la continuità del
tempo; così come calcestruzzo e gesso sono memoria perenne delle loro
casseforme. |
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Capitolo VIII – Il rituale: un frammento di tempo |
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Il tema del
fuoco in quanto “focolare” rappresenta la prima forma di spirito di
aggregazione della specie umana, e quindi il primo evento attorno al quale è
nato il concetto di architettura. Considerato come centro, punto focale che
radicava l’abitare alle forze della terra, soglia al luogo più intimo e
universale, appartiene ad un vero e proprio rituale, che in veste della sua
ripetitività struttura e trasmette la conoscenza. Proprio nell’immagine di
questo atto di riunione sono nate le dimore umane, a partire dall’atto
dell’abitare come separazione di uno spazio protetto; la centralità del
focolare simboleggia uno spazio rituale che genera l’impulso del vivere
collettivo. Oggi non si
può più parlare di una vera e proprio figura del focolare, ma il suo calore è
ora racchiuso nel concetto del cucinare e nell’ambiente fisico della cucina.
Preparare e condividere un pasto rimane il rituale delle nostre generazioni,
la centralità delle nostre case e una delle azioni che più rimarcano il senso
dell’abitare. |
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Capitolo IX – Il gioco dello scolpire |
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L’azione
del gioco risulta essere, più che un atto di svago, un vero e proprio
esercizio di sviluppo della nostra mente. Attraverso il gioco è possibile la nascita
di nuove combinazioni attingendo a repertori ormi fissi, provenienti da dati
di esperienze multisensoriali. Il gioco e quindi la sua composizione derivano
dall’esperimento, sia a livello di prima percezione cognitiva che di
rielaborazione di conoscenze verso nuovi risultati pratici. A livello storico
il Bauhaus è stata la prima fucina di idee ad operare in questo modo,
attraverso laboratori pratici che mettessero in atto tali accorgimenti. In
particolar modo, nel campo dell’architettura, accanto alle percezioni
puramente visive rivestono un ruolo fondamentale quelle di tipo tattile; la
mano è estensione diretta della mente, sia per la percezione di dati che per
la loro restituzione sotto forma di disegno. La
creatività non opera a livello selettivo, ma compone esperienze e conoscenze
provenienti dalle origine più diverse e dirette verso scopi inimmaginabili;
una persona creativa ha un accesso pieno a tutta la sua esperienza, si
conscia che inconscia, che manifesta poi sotto forma di metafore. La creatività
è così parte fondamentale dei processi biologici evolutivi della specie
umana, e il gioco un metodo di insegnamento primordiale sepolto sotto il
dominio dell’intelligenza, entrambi con origine nell’interdisciplinarietà
culturale che porta all’evoluzione di idee. |
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Capitolo X – Amare è prestare attenzione |
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Nonostante
la vita moderna ci guidi verso la distrazione, la capacità di concentrazione
e attenzione rimane un elemento fondamentale di analisi e progetto, ed è alla
radice del giudizio, del potenziale e della capacità creativa. Si tratta in
ogni caso di uno strumento malleabile ed allenabile, coltivabile per mezzo di
sforzi di affinamento e sottigliezza della mente. A livello di ricerca
neuroscientifica è stato dimostrato che la concentrazione, in particolar modo
nella sua forma di meditazione, sviluppa reti di neuroni più dense nell’aree
del cervello che governano l’elaborazione sensoriale. Come sostiene Steven
Holl, con la concentrazione e la solitudine la nostra percezione si apre e
possiamo così penetrare il mondo segreto che ci circonda. L’atto di
prestare attenzione si manifesta nel momento in cui c’è amore per l’oggetto
di studio, evitando così di sfociare di ambiti di formalismo o funzionalismo;
alcune volte questa intesa nasce istantaneamete, altre necessita di un più
lungo tempo di dialogo con la materia in oggetto. Gli
scienziati cognitivisti classificano così i momenti di ozio come intervalli
fondamentali per la mente per estrarre dalle diverse esperienze schemi
latenti, e catalogare così ogni esperienza in vista di una futura sintesi
creativa. Come afferma Louis I. Kahn, la bellezza non è design ma emerge da
selezione, affinità, integrazione e amore. |
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Capitolo XI – Appartenere |
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Una delle parole d’ordine della
nostra quotidianità, la “sostituibilità”, basata sul riduzionismo a
componenti, si dimostra non applicabile nel caso di esseri viventi, che
funzionano e vivono come una sola unità. La minaccia più devastante è la
perdita di significato che può derivare dalla sensazione di essere
sostituibili; la considerazione indifferente verso i luoghi, pensata con uno
scopo di maggior organizzazione e libertà, ne cancella invece la personalità.
Il luogo, inteso come spazio vissuto di memorie, sentimenti e significati,
nasce da esperienze collettive specifiche che appartengono solo e soltanto a
quel luogo. Un sentimento molto forte, come si ritrova dall’esperienza dei
templi greci e dei luoghi dove sorgevano, fino alla più recente Taliesin West
di Frank Lloyd Wright: un sentimento di appartenenza e unità con il paesaggio
e le sue caratteristiche, di comprensione di significato e condivisione di
sensazioni, meglio rappresentato dal significato del genius loci. Rituali e cerimonie partecipano alla
comprensione del luogo, e ne rimarcano il concetto di appartenenza che in
modo così fondamentale va a definire il complesso rapporto tra corpo e
luogo. Il legame con luoghi
significativi è fondamentale per la definizione di una personalità, e la minaccia
di oggi risiede nella mancanza di progetto di nuovi elementi di questo genere
e nella progressiva scomparsa di quelli che ancora sopravvivono. |
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Capitolo XII – Abitare la possibilità |
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Il testo si
chiude con quello che è il suo incipit, l’immagine del nido quale riparo
esterno plasmato dalla nostra stessa interiorità, sia fisica che spirituale.
Le nostre abitazioni dovrebbero essere specchi, a riflettere la nostra vita e
le nostre azioni, e così anche gli altri edifici, mentre oggi essi tendono a
rappresentare più trappole nelle quali non riusciamo ad esprimere pienamente
noi stessi. Un’opera di
architettura ottiene il suo significato solo nel momento in cui viene vissuta
e popolata; quando si rimane all’esterno di un’opera non esiste che puro
formalismo. Il metodo di progetto dovrebbe basarsi di più sul tipo di vita
che sarà possibile condurre all’interno degli edifici e sulle possibilità che
racchiude, un luogo in cui le nostre vite possano essere scolpite
nell’esperienza del mondo. |
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GLOSSARIO |
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Nido – riparo protettivo ma aperto e libero, rifugio; la
diretta proiezione del corpo, dei suoi movimenti e del suo riposo, la più
perfetta delle dimore. |
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Neuro-scienze
cognitive – scienze che
studiano le strutture e i processi che sostengono le nostre
percezioni, il nostro pensiero e comportamento, e che quindi guidano la
genesi dei più semplici impulsi all’abitare. |
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Metafora – espressione cognitiva della
nostra esperienza vissuta nel mondo, mezzo naturale con cui la nostra mente
elabora significati sulla base di esperienze. Non rappresenta la realtà, ma
incarna la nostra ricca capacità immaginativa, definendo la nostra umanità
nella percezione dell’ambiente che ci circonda. |