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Descrizione: http://www.domusweb.it/content/dam/domusweb/it/notizie/2014/11/26/nesting_fare_il_nido/domus-02-nesting.jpg

autore

SARAH ROBINSON

 

titolo

NESTING. FARE IL NIDO: CORPO, DIMORA, MENTE

 

editore

SAFARA’ EDITORE

 

luogo

PORDENONE

 

anno

2011

 

 

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

 

Titolo originale: Sarah Robinson, Nesting: Body, Dwelling, Mind

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

Descrizione: http://www.domusweb.it/content/dam/domusweb/it/notizie/2014/11/26/nesting_fare_il_nido/domus-02-nesting.jpg

“Il nostro ambiente protegge la nostra vulnerabilità, ci offre un rifugio, nutre e sostiene i nostri sogni. Questo bisogno, inciso com’è nei nostri circuiti, rappresenta la dimensione più profonda dell’abitare. Dare veramente una casa a sé stesso esprime e risponde a questo desiderio per un nido e un guscio. <<Soltanto se siamo capaci di abitare, possiamo costruire>> ha scritto Heidegger.”

 

Nesting è un’intensa indagine filosofica, architettonica e scientifica sul solco del sentiero tracciato dalle scienze cognitive, dedicata al legame profondo tra gli edifici e le emozioni, la memoria e i luoghi, in cui l’architettura si rivela essere la silenziosa e pervasiva compagna della vita emozionale di ognuno di noi.

 

  

Giudizio Complessivo: 7 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Raffaella De Marco

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2014/2015

 

 

Descrizione: http://www.slowmuse.com/wp-content/uploads/2012/11/robinsonsarah.jpeg

Autore Sarah Robinson

Sarah Robinson è un architetto che ha svolto la libera professione nell’area della Baia di San Francisco nel corso degli ultimi 17 anni. I suoi lavori hanno ricevuto riconoscimenti a livello nazionale e internazionale in virtù della loro sensibilità verso le necessità umane ed ecologiche del territorio.

Ha conseguito la laurea in Filosofia Magna cum Laude presso la University of Winsconsin-Madison e presso l’Università di Friburgo in Svizzera, progettando per la Art Students’ League di New York, per poi approdare alla Frank Lloyd Wright School of Architecture dove ha conseguito il suo M.Arch. E’ stata la fondatrice della FLWSA Board of Trustees, di cui rimane membro.

Il suo libro Nesting: Body, Dwelling, Mind (William Stout Publishers, San Francisco, 2011), è stato ispirato dai suoi studi fenomenologici e dalla sua esperienza di architetto praticante. Le ricerche per questo libro hanno contribuito alla realizzazione di “Minding Design: Neuroscience, Design, Education and the Imagination” un simposio internazionale da lei organizzato che ha riunito i più importanti architetti e neuro-scienziati al fine di esplorare i modi in cui le nuove scoperte nel campo delle neuroscienze ci permetteranno di progettare secondo modalità che supportino le nostre menti e i nostri corpi, in armonia con l’evoluzione culturale e sociale dell’uomo. Insieme a Juhani Pallasmaa sta ultimando “Minding Desing”, nato dalle questioni aperte durante il simposio.

È ora architetto a Pavia, dove si è trasferita nel 2012 con il marito Paolo e i loro tre figli.

Sarah Robinson

 

Contenuto

Il libro analizza il profondo legame tra progettazione e mondo sensoriale, a partire dalla percezione del mondo sensibile fino al suo legame con l’intelletto. Contributo fondamentale è dato dai risultati delle ricerche dell’ambito delle scienze neuro-cognitive, che in tempi recenti hanno permesso di dimostrare attraverso prove di carattere scientifico-biologico quelle che in precendenza erano norme architettoniche dettate più da personale sensibilità e creatività che da razionale intelletto.

 

CAPITOLI

Prefazione – Il nido umano, di Juhani Pallasmaa

La prefazione introduce la ricerca sottolineando l’importanza della natura umana, in veste di emozioni e significati, nell’ambito di ricerca architettonico, una disciplina all’origine nata da bisogni puramente umani, e solo successivamente passata a considerazioni tecnologiche, perdendo il suo carettere più strettamente legato all’indole umana.

L’architettura è il mezzo più significativo per trasformare lo spazio e il tempo naturali in significati culturali e mentali, trasformazione che avviene a livello inconscio e che si lega al manifestarsi del significato. Trasformazione che trova il suo culmine nella costruzione della casa, nostra culla e “nido” nel mondo.

Il “nido” implica familiarità ed intimità, è la diretta proiezione del corpo, dei suoi movimenti e del suo riposo, la più perfetta delle dimore. I nidi degli animali corrispondono alla massima spontaneità dell’abitare e sono traguardo dell’evoluzione, cosa che spiega la naturale e spontanea bellezza. La tecnologia, nel corso dei tempi, ha preso le distanze dal corpo e dai processi del mondo biologico; separando corpo e mente, sono stati recisi i principi naturali che operano verso l’equilibrio, la perfezione e la bellezza.

Il nido protegge e supporta il corpo, ma anche accentra e organizza il mondo di chi lo occupa, così come le architetture più profonde che rispondono alle richieste sia del corpo che della mente, rispondono ai nostri bisogni, anticipano le nostre emozioni, orchestrano la nostra esperienza, e in tal mondo coreografano gli atti della vita quotidiana. L’abitare consiste in uno scambio e una fusione, e la casa è sia dispositivo che filtro e rifugio.

Lo sviluppo tecnologico dell’era moderna ha portato ad un’eccessiva razionalità che ha distrutto la metafora del nido e del rifugio per modelli di prestazione elettronica, e oggi la tendenza è invece verso un recupero dell’immagine biologica originale. Recupero non semplice, per il quale si cerca aiuto nel campo delle scienze neurobiologiche, per una maggior conoscenza della mente verso un traguardo di ecologia mentale.

Capitolo I – Dei rifugi

La ricerca nasce attorno al concetto di “nido”, definito come riparo protettivo ma aperto e libero, rifugio nel quale lasciare espandere la nostra libertà, e legare ad esso la nostra vita e sogni. Il secondo termine degno di nota diviene allora “limite”: ricercandone le origini etimologiche si evidenziano i suoi significati di confine, soglia, non oppressivi ma necessari.

Come esprime Nietzsche, ogni vivente riesce a evolvere solo all’interno di un orizzonte, di cui il più immediato risulta essere il nostro corpo, per poi procedere a “gusci” con ambiente e mondo. La casa o “nido” è così uno di questi gusci, quello immediatamente seguente il nostro corpo, e risulta così plasmata sul corpo stesso e forgiata dall’interno secondo le spinte della mente, non da strumenti o altri attrezzi, così come un uccello forgia il nido con  il suo stesso corpo, dandogliene le misure e conferendogli forma dall’interno. Questa rappresenta la forma più profonda dell’ “abitare”, il desiderio di un nido e di un guscio, che secondo i significati propri del termine rappresenta un pensiero interno così come un abito esterno.

Lo sviluppo delle scienze e l’affermazione del prodotto in serie hanno portato alla distruzione di quest’azione un tempo così spontanea e personale, riducendo l’uomo ad uno standard e in tal modo sopprimemendo parti della sua personalità in svariati ambiti, uno fra tutti quello architettonico; oggi l’architettura cerca di impressionare e stupire, piuttosto di accomodare ed evocare domesticità.

Nel viaggio di ricerca dell’antica spontaneità del progetto come nido, un ruolo fondamentale rivestono le moderne neuro-scienze cognitive, il cui scopo è lo studio delle strutture e dei processi che sostengono le nostre percezioni, il nostro pensiero e comportamento, e che quindi guidano la genesi dei più semplici impulsi all’abitare.

  

Capitolo II - La mente della pelle

Il capitolo si concentra sulla “pelle”, quale fondamentale organo percettivo. Gli studi delle scienze cognitive parlano di “incarnazione” per affermare come la mente non sia centralizzata nel cervello, ma distribuita in modo complesso in tutti i nostri tessuti, portando tutto il corpo a sviluppare nella sua interezza processi di interazione e partecipazione con il nostro ambiente.

Nonostante questo, il pensiero occidentale nel corso della storia si è dimostrato sfavorevole nei confronti della nostra realtà materica, cercando di negarla e punirla, fino al culmine del pensiero della Rivoluzione scientifica, che ha definitivamente scavato un solco tra corpo e mente. I nuovi studi si sono contrati sul cielo, sull’infinito, allontanandosi dalla realtà umana, predisponendo una nuova concezione dell’uomo che poneva come suo fino ultimo la macchina; l’astrazione si impossessa del pensiero occidentale. Il culmine segnato da Cartesio determinò l’esilio dell’umanità da parte dell’indagine scientifica, secondo il semplice percorso di depurazione da ogni esperienza sensoriale verso un sapere derivante dalla sola elaborazione scientifica. Solo verso la fine del XIX secolo, con lo sviluppo delle teorie evoluzionistiche, l’attenzione fu riportata al corpo e ai suoi processi biologici, e ne fu sottolineato l’innegabile legame: emozioni e sostanza fisica sono legati da segnali cellulari alla base della vita.

La separazione tra mente e corpo ha avuto conseguenze deleterie per l’ambiente costruito. Trascurando sentimenti ed emozioni si sono trascurati anche i loro importanti effetti sulla vita dell’uomo: l’esclusivo affidamento su intelletto e ragione come facoltà umane supreme è responsabile della creazione di edifici che esibiscono disprezzo per l’umanità, piuttosto che un invito all’abitarvi. Il piatto scenario degli edifici modernisti è assimilabile alla visione telescopica di Galileo: oggetti formali isolati privi di presenza umana, macchine.

Le circostanze ambientali, e quindi l’esperienza e le emozioni che ne derivano, risultano fondamentali per lo sviluppo dell’individuo; uomo e ambiente sono esseri attivi e si modificano reciprocamente e continuamente. La conseguenza più immediata risulta essere quella di pensare agli edifici come pelli, membrane progettate per il corpo stesso, medium di comunicazione e prime basi di contatto.

  

Capitolo III – Addio Cartesio

Il libro sviluppa una ricostruzione storica delle considerazioni sui “sensi” del corpo umano, dalla loro totale rinnegazione in favore della ragione ai tempi di Cartesio, fino alla loro rivalutazione in tempi moderni, quali sistemi recettori attivi in dialogo con l’ambiente. Tali capacità ci legano all’ambiente in una costante evoluzione. Direttamente derivante dalle percezioni sensoriali è anche l’importante concetto filosofico di “estetica”, interpretato come impulso evolutivo.

In campo architettonico il fattore estetico, dovuto alle percezioni sensoriali, permette una relazione più profonda tra corpi e ambiente non solo basata sulla ragione, fondata attorno al “sistema di orientamento di base” quale riferimento per tutti i nostri sensi, e alla “gravità” quale elemento organizzatore della nostra esperienza.

Gli scienziati cognitivisti affermano come le nostre relazioni spaziali siano plasmate sulle nostre esperienze corporee, a partire dal ritmo sonoro, troppo spesso sacrificato a causa di una progettazione studiata principalmente per l’occhio ma fondamentale nella scansione delle attività quotidiane, e dalla sua diretta conseguenza dell’eco.

Altra fondamentale percezione è quella tattile, concepita nel suo senso più globale di deformazione dei tessuti: abbandonando l’idea dello spazio assoluto matematico, sarebbe meglio concentrarsi sullo spazio percettivo, pensato per conivolgere la totalità dei corpi, a partire dal semplice atto del camminare. Conscio di questa attenzione progettuale era Carlo Scarpa, che nell’usare l’acqua come elemento progettuale dimostrava di comprendere questo equilibrio tra tattilità ed evanescenza, portando ad una celebrazione multisensoriale; anche il concetto dei giardini all’interno degli edifici mirava in origine al conivolgimento sensoriale portando suoni e odori all’interno delle architetture, così come le delle case da tè giapponesi, dove ogni elemento e materiale è volto alla sinfonia dei sensi.

Queste stesse considerazioni risultano dal lavoro contemporaneo di Kazuyo Sejima e SANAA: come dimostra la Biennale di architettura di Venezia del 2010 da lei curata, il mezzo espressivo per eccellenza è il corpo, e gli edifici non sono altro che contenitori sensibili per l’esperienza umana, mostrando il ricco potenziale architettonico al di là della vista.

Si dimostra così come la teoria di Cartesio sia fallimentare: se considerati come sistemi percettivi, occhio, cervello e corpo funzionano insieme e inseparabilmente; fondamentale risulta l’apporto dovuto al movimento, che permette un’architettura del disvelamento, resistente all’oggettivazione e progettata su una pluralità di punti di vista.

  

Capitolo IV – La metafora: un’abitazione locale e un nome

Il capitolo analizza la figura di Gaston Bachelard, filosofo francese sul cui pensiero si basa gran parte dell’opera in questione. È il fondatore del concetto di “rottura epistemologica” per spiegare come la conoscenza scientifica lottasse per liberarsi dai radicati modelli mentali ed abbracciare nuove strutture concettuali. Prodotti diretti della conoscenza creativa sono le “metafore”: secondo il suo pensiero, sostenuto dagli odierni neuroscienziati, le metafore sono il mezzo naturale con cui il nostro sistema concettuale elabora e costruisce significati, radicate in esperienze corporee ed incomprensibili senza questa loro base. Basandoci solo su una visione oggettiva della realtà, ignorando le emozioni umane, si sopprimono le metafore e di conseguenza le motivazioni e le percezioni che strutturano la nostra esperienza del mondo. Prima fra tutte, la metafora della macchina è stata l’elemento fondamentale nello sviluppo dell’architettura moderna, perseguita da Fuller e in particolar modo dal pensiero di Le Corbusier (metafora che nella sua natura più stretta sfuma e si evolve in quella di metafora organica). L’architettura si basa in gran parte sulla capacità collettiva di immaginazione di luoghi che si trovano al di là della massa di fatti accomunati dalla razionalità.

   

Capitolo V – Quasi inconscio

Nell’ambito del progetto e delle scienze cognitive, l’inconscio risulta essere un fattore determinante. Non abbiamo consapevolezza di ciò che accade nelle nostre menti, e i nostri pensieri prendono forma attraversoo strutture cognitive delle quali siamo ampiamente incoscienti. Il puro pensiero razionale di Cartesio è quindi impossibile, perché alla base dalla sua stessa concezione risiede l’inconscio. I luoghi sono uno dei fattori su

cui inconsciamente sono modellati i pensieri. Allo stesso modo l’intelligenza conscia nasce ed è strutturata dall’inconscio, ed in tali termini va analizzata per essere compresa.

Conoscendo tale vasta sorgente, la progettazione dovrebbe allora occuparsi anche del non visibile, evocando rifugi per l’illimitatezza dell’inconscio, racchiusi nel più importante emblema della casa. Progettando per evocare la memoria, i ricordi più sbiaditi rimangono ancora indelebili nelle loro percezioni di olfatto e gusto, e si scontrano drasticamente con le attuali architetture asettiche e mute: solo alcune opere, come Torqued Ellipses di Richard Serra, sono pensate per una stimolazione anche olfattiva. È necessario pensare anche alle memorie, non come elementi statici ma come esperienze assorbite che cambieranno la qualità di quelle che seguiranno. Risvegliare ricordi crea quel clima confortante nel quale è possibile iniziare a sognare.

   

Capitolo VI – L’oscurità conta

Il capitolo si concentra sul ruolo della luce nelle nostre vite, da energia a fonte tecnologica fino al suo ruolo fondamentale nell’architettura, e ai tentativi fatti nel tempo di imprigionarla negli edifici come se non fosse mai abbastanza. La percezione della luce nasce dal concetto di ombra, nonostante questo la loro sintesi porta alla nebulosità del grigio: non la sintesi ma solo la loro contrapposizione integrale risulta un mezzo di espressione. Di carattere più scientifico, non è da dimenticare come gran parte dell’universo sia costituito da materia oscura, e come solo in contrapposizione ad essa le stelle e i pianeti che formano le nostre galassie risultino visibili. Anche a livello architettonico sarebbe auspicabile una maggiore audacia ad abbandonare l’appoggio di una fruizione totalmente visiva, e spingersi verso concetto di spazio “oscuro”, che stimoli e motivi la multisensorialietà nella progettazione. Le Corbusier si era addentrato in un simile tentativo nel suo progetto non realizzato per il complesso di Saint-Baume, dove luce, colore, suono e ritmo erano gli elementi pensati per suscitare un’esperienze di iniziazione; parte di tali idee sopravvive nella realizzazione del complesso di Ronchamp. Riflessione simile è contenuta nel progetto di Peter Zumthor di terme a Vals, Svizzera, pensate quali grotte poco rischiarate dove l’orientamento diventa necessario attraverso tutti i sensi tranne la vista. Proprio percepire il nostro percorso nell’oscurità affina tutti gli altri nostri sensi, e permette così una maggior comprensione di sé stessi e dell’ambiente che ci circonda.

 

Capitolo VII – Il tempo è ritmo

Il discorso di incentra sul tempo, sulle sue diverse concezioni storiche, sulla sua suddivisione in passato presente e futuro, e sul suo ruolo fondamentale nella scansione dei processi biologici umani e degli altri esseri viventi, dove la sua influenza maggiore si riscontra nella scansione delle giornate con il succedersi di giorno e notte.

Proprio questo continuo alternarsi di luce e buio genera “ritmi” su cui si organizzano le attività umane, e su cui dovrebbe anche basarsi la progettazione architettonica nelle sue fonti di luce naturale, piuttosto che sostituirle con illuminazioni artificiali. Il ritmo è fondamentale per la risonanza e la sincronia in architettura: attraverso la tessitura di luce e buio, esso permette di scolpire ombre in consistenze, pieghe e ondulazioni, muovere ritmicamente forme e superfici. Ritmo che si è andato perdendo nello sviluppo industriale, dove i suoni delle macchine prevalgono su suoni più antichi, soprattutto negli interni architettonici (musica d’ambiente, impianti di climatizzazione…).

L’architettura non va pensata eterna: gli edifici dovrebbero accettare l’invecchiamento e il decadimento invece di perseguire la forma perfetta e il tempo assoluto, sfruttare le qualità positive dell’invecchiamento anche e soprattutto nei materiali come punti di forza del progetto (ossidazione di metalli, invecchiamento del legno…). Una testimonianza del passaggio del tempo che è pratica comune nella cultura orientale, e che invece è rifiutata in quella occidentale. La pietra per eccellenza, nella sua formazione, natura e uso architettonico, incarna la sovrapposizione delle ere e la continuità del tempo; così come calcestruzzo e gesso sono memoria perenne delle loro casseforme.

   

Capitolo VIII – Il rituale: un frammento di tempo

Il tema del fuoco in quanto “focolare” rappresenta la prima forma di spirito di aggregazione della specie umana, e quindi il primo evento attorno al quale è nato il concetto di architettura. Considerato come centro, punto focale che radicava l’abitare alle forze della terra, soglia al luogo più intimo e universale, appartiene ad un vero e proprio rituale, che in veste della sua ripetitività struttura e trasmette la conoscenza. Proprio nell’immagine di questo atto di riunione sono nate le dimore umane, a partire dall’atto dell’abitare come separazione di uno spazio protetto; la centralità del focolare simboleggia uno spazio rituale che genera l’impulso del vivere collettivo.

Oggi non si può più parlare di una vera e proprio figura del focolare, ma il suo calore è ora racchiuso nel concetto del cucinare e nell’ambiente fisico della cucina. Preparare e condividere un pasto rimane il rituale delle nostre generazioni, la centralità delle nostre case e una delle azioni che più rimarcano il senso dell’abitare.

  

Capitolo IX – Il gioco dello scolpire

L’azione del gioco risulta essere, più che un atto di svago, un vero e proprio esercizio di sviluppo della nostra mente. Attraverso il gioco è possibile la nascita di nuove combinazioni attingendo a repertori ormi fissi, provenienti da dati di esperienze multisensoriali. Il gioco e quindi la sua composizione derivano dall’esperimento, sia a livello di prima percezione cognitiva che di rielaborazione di conoscenze verso nuovi risultati pratici. A livello storico il Bauhaus è stata la prima fucina di idee ad operare in questo modo, attraverso laboratori pratici che mettessero in atto tali accorgimenti. In particolar modo, nel campo dell’architettura, accanto alle percezioni puramente visive rivestono un ruolo fondamentale quelle di tipo tattile; la mano è estensione diretta della mente, sia per la percezione di dati che per la loro restituzione sotto forma di disegno.

La creatività non opera a livello selettivo, ma compone esperienze e conoscenze provenienti dalle origine più diverse e dirette verso scopi inimmaginabili; una persona creativa ha un accesso pieno a tutta la sua esperienza, si conscia che inconscia, che manifesta poi sotto forma di metafore. La creatività è così parte fondamentale dei processi biologici evolutivi della specie umana, e il gioco un metodo di insegnamento primordiale sepolto sotto il dominio dell’intelligenza, entrambi con origine nell’interdisciplinarietà culturale che porta all’evoluzione di idee.

   

Capitolo X – Amare è prestare attenzione

Nonostante la vita moderna ci guidi verso la distrazione, la capacità di concentrazione e attenzione rimane un elemento fondamentale di analisi e progetto, ed è alla radice del giudizio, del potenziale e della capacità creativa. Si tratta in ogni caso di uno strumento malleabile ed allenabile, coltivabile per mezzo di sforzi di affinamento e sottigliezza della mente. A livello di ricerca neuroscientifica è stato dimostrato che la concentrazione, in particolar modo nella sua forma di meditazione, sviluppa reti di neuroni più dense nell’aree del cervello che governano l’elaborazione sensoriale. Come sostiene Steven Holl, con la concentrazione e la solitudine la nostra percezione si apre e possiamo così penetrare il mondo segreto che ci circonda.

L’atto di prestare attenzione si manifesta nel momento in cui c’è amore per l’oggetto di studio, evitando così di sfociare di ambiti di formalismo o funzionalismo; alcune volte questa intesa nasce istantaneamete, altre necessita di un più lungo tempo di dialogo con la materia in oggetto.

Gli scienziati cognitivisti classificano così i momenti di ozio come intervalli fondamentali per la mente per estrarre dalle diverse esperienze schemi latenti, e catalogare così ogni esperienza in vista di una futura sintesi creativa. Come afferma Louis I. Kahn, la bellezza non è design ma emerge da selezione, affinità, integrazione e amore.

 

Capitolo XI – Appartenere

Una delle parole d’ordine della nostra quotidianità, la “sostituibilità”, basata sul riduzionismo a componenti, si dimostra non applicabile nel caso di esseri viventi, che funzionano e vivono come una sola unità. La minaccia più devastante è la perdita di significato che può derivare dalla sensazione di essere sostituibili; la considerazione indifferente verso i luoghi, pensata con uno scopo di maggior organizzazione e libertà, ne cancella invece la personalità. Il luogo, inteso come spazio vissuto di memorie, sentimenti e significati, nasce da esperienze collettive specifiche che appartengono solo e soltanto a quel luogo. Un sentimento molto forte, come si ritrova dall’esperienza dei templi greci e dei luoghi dove sorgevano, fino alla più recente Taliesin West di Frank Lloyd Wright: un sentimento di appartenenza e unità con il paesaggio e le sue caratteristiche, di comprensione di significato e condivisione di sensazioni, meglio rappresentato dal significato del genius loci.  Rituali e cerimonie partecipano alla comprensione del luogo, e ne rimarcano il concetto di appartenenza che in modo così fondamentale va a definire il complesso rapporto tra corpo e luogo.  Il legame con luoghi significativi è fondamentale per la definizione di una personalità, e la minaccia di oggi risiede nella mancanza di progetto di nuovi elementi di questo genere e nella progressiva scomparsa di quelli che ancora sopravvivono.

 

Capitolo XII – Abitare la possibilità

Il testo si chiude con quello che è il suo incipit, l’immagine del nido quale riparo esterno plasmato dalla nostra stessa interiorità, sia fisica che spirituale. Le nostre abitazioni dovrebbero essere specchi, a riflettere la nostra vita e le nostre azioni, e così anche gli altri edifici, mentre oggi essi tendono a rappresentare più trappole nelle quali non riusciamo ad esprimere pienamente noi stessi.

Un’opera di architettura ottiene il suo significato solo nel momento in cui viene vissuta e popolata; quando si rimane all’esterno di un’opera non esiste che puro formalismo. Il metodo di progetto dovrebbe basarsi di più sul tipo di vita che sarà possibile condurre all’interno degli edifici e sulle possibilità che racchiude, un luogo in cui le nostre vite possano essere scolpite nell’esperienza del mondo.

  

GLOSSARIO

Nido – riparo protettivo ma aperto e libero, rifugio; la diretta proiezione del corpo, dei suoi movimenti e del suo riposo, la più perfetta delle dimore.

Neuro-scienze cognitive – scienze che studiano le strutture e i processi che sostengono le nostre percezioni, il nostro pensiero e comportamento, e che quindi guidano la genesi dei più semplici impulsi all’abitare.

Metafora – espressione cognitiva della nostra esperienza vissuta nel mondo, mezzo naturale con cui la nostra mente elabora significati sulla base di esperienze. Non rappresenta la realtà, ma incarna la nostra ricca capacità immaginativa, definendo la nostra umanità nella percezione dell’ambiente che ci circonda.