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       Descrizione: cover

autore

CARLO RATTI

titolo

ARCHITETTURA OPEN SOURCE verso una progettazione aperta

editore

EINAUDI

luogo

TORINO

anno

2014

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

Titolo originale: Carlo Ratti, Architettura Open Source verso una progettazione aperta, Einaudi editore Torino/2014

 

Argomento e tematiche affrontate

        Descrizione: cover

 

Il libro presenta una critica molto aspra all'idea di autorialità in architettura a causa dell'avvento di internet e delle nuove forme di comunicazione orizzontale che esso permette. L'autore percepisce questa idea particolarmente legata al movimento moderno e soprattutto al più illustre dei suoi maestri, Le Corbusier. Questo libro si pone quindi contro l'idea stessa di copyright e di proprietà intellettuale per quanto concerne il mondo progettuale dell'architettura e dell'urbanistica e si dedica a sua volta a un'attenta ricostruzione storica, per quanto possibile essendo il fenomeno recente e in continuo sviluppo, delle tappe principali di questa "rivoluzione open source", non solo rispetto alla cibernetica ma anche per gli studi sulla progettazione spaziale. In parallelo vengono elencati alcuni tentativi di architetti del recente passato di lavorare in modo condiviso e non autoreferenziale al progetto.

 

 

  

Giudizio Complessivo: 9 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Alice Giorgia Beretta

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2013/2014

 

Descrizione: Unknown

 

Carlo Ratti (Torino, 7 gennaio 1971) è un architetto e ingegnere italiano. È partner di uno studio con sede a Torino e insegna al Massachusetts Institute of Technology, dove dirige il MIT Senseable City Lab, da lui fondato nel 2004 che è un gruppo di ricerca che esplora le "real-time city" studiando il crescente sviluppo di sensori e di dispositivi elettronici portatili, insieme alle loro relazioni con l'ambiente. La formazione di Ratti è avvenuta anche all'estero, ha infatti conseguito la doppia laurea europea in Ingegneria presso il Politecnico di Torino e l'Ecole Nationale des Ponts et Chaussées

 di Parigi. Successivamente ha ottenuto un Master of Philosophy e un PhD in Architettura all'Università di Cambridge. Ratti ha firmato oltre 100 pubblicazioni accademiche. Una di queste, pubblicata sulla rivista Environment and Planning B nel 2004, ha stimolato un acceso dibattito di studiosi sui meriti della Space Syntax.

Carlo Ratti

 

Contenuto

In ogni capitolo del libro viene trattato un argomento differente ma con un filo conduttore di base che può essere rappresentato dalla presentazione di una storia dei metodi di progettazione. Si parte infatti dalla presentazione dell’architettura vernacolare il cui successo si basò sulla collaborazione di persone accomunate da stessi interessi, per poi passare alla progettazione come atto di un singolo architetto il cui scopo fondamentale è quello di arricchire e aumentare la propria fama.

Attualmente di stanno diffondendo una serie di metodi in molti ambiti che si basano su una progettazione aperta a tutti e dove chiunque può intervenire in un progetto per migliorarlo o comunque per contribuire al suo sviluppo. Sembra tuttavia che l’ambito architettonico sia l’unico dove questa spinta non riesca a farsi sentite nella giusta misura. Viene presentato il concetto di open source portando una serie di esempi dove questo modello di collaborazione ha avuto e sta avendo successo.

CAPITOLI

CapitoloI– L’architetto prometeico: un eroe modernista

Il capitolo inizia parlando di Le Corbusier e della presentazione del suo progetto : Ville Contemporaine di cui si spiega quale fosse il concetto di base ovvero la volontà di cancellare da Parigi le incrostazioni abitative del passato. Successivamente i progressi della tecnologia avrebbero inaugurato un’epoca di edifici funzionali ed efficienti, pronti a migliorare le condizioni di vita dell’umanità. Nella restante parte del capitolo vengono presentati i tentativi fatti nelle varie epoche e da vari architetti di influenzare, partendo dal progetto architettonico, i vari aspetti della vita umana. Sarà questa l’essenza del movimento moderno che si occupò, per esempio, di reinventare la società stessa.

L’idea di orchestrare la società per mezzo di un ambienta progettato in ogni sua parte risale a Ledoux nel XVIII secolo e nel suo progetto per le saline di Chaux. L’archetipo di società autonoma fu portato avanti da Fourier nel Falansterio. L’idea comune era quella di creare un’architettura di derivazione sociale dove tutto poteva e doveva essere progettato. Era questo lo spirito con il quale fu fondato in Germania, da Gropius, il Bauhaus: la casa del costruire.

Tuttavia il desiderio di arte pura è incompatibile con la società: all’inizio di ogni leggenda c’è la storia di un uomo che si è ribellato e che ha scoperto un dono per i suo fratelli e per questo è stato straziato. Dopo la pubblicazione del libro “la fonte meravigliosa” si diffuse e consolidò l’idea che gli architetti dovessero educare la borghesia.

Le Corbusier diede avvio ad un processo di mediatizzazione dell’architetto. Tuttavia, anche se l’architettura determina il nostro modo di vedere il mondo e di interagire gli uni con gli altri, la professione dell’architetto è culminata nell’odierno architetto globale. L’architetto oggi è isolato, il “modus operandi” è sempre più quello di progettare edifici dotati di quanta più visibilità possibile senza affrontare le questioni alla base dell’abitare umano.  

  

Capitolo II- Architetture dal basso: un modo di costruire senza tempo

In questo capitolo viene proposta la storia di quello che è stato l’evolversi dell’architettura, inizialmente nata per rispondere problemi pratici e successivamete usata dagli architetti per aumentare la propria fama. In un certo senso viene presentato l’altro lato della medaglia rispetto all’architetto prometeico presentato nel precedente capitolo.

Le città italiane infatti sono tutte diverse tra loro ma hanno una caratteristica in comune ovvero la minuzia del dettaglio, unita alla sua infinita varietà. L’esperienza si è consolidata nell’arte, negli edifici e nelle piazze. La storia dell’abitare umano è una storia di architetture anonime: l’architettura vernacolare è l’espressione culturale dell’esigenza umana di avere non solo un riparo ma anche una posizione, un’identità e dei piaceri.. “azione di abitare e forma costruita sono una cosa sola”. La storia dell’architettura dimostra da sempre la validità del progetto dal basso. Tuttavia c’è stato un cambiamento nel modo di vedere la progettazione e questa evoluzione è stata plasmata non dagli architetti ma dalle forze economiche, politiche e tecnologiche. La storia delle città è stata la storia di un agire collettivo, in cui la socialità contribuisce allo slancio culturale più di quanto possa fare l’azione individuale. La cultura ha da sempre influenzato l’ambiente costruito tanto che si parla di urbs e civitas: carattere fisico distinto da aspetti culturali e religiosi. Il carattere della città è il risultato di una vivace architettura sociale fatta da un continuum di atti di progettazione.

A circa metà capitolo viene presentato, in ordine cronologico,il modificarsi del concetto di architettura portando ad esempio l’architettura gotica, quella degli anni 60 dove si sentiva sempre più la necessità di dare potere agli utenti fino ad arrivare all’idea di PLUG AND PLAY in cui l’architetto fornisce l’hardware e osserva poi gli utenti che vi sviluppano il proprio ambiente. Si sviluppò poi il movimento metabolista che basava le proprie idee sulle strutture mutevoli capaci di stare al passo con la società: non si parlerà più di masterplan ma si masterprogram in cui si inserisce anche una dimensione temporale.

Nella riflessione finale del capitolo si torna a parlare di Le Corbusier, esempio perfetto del così detto architetto prometeico che aveva proclamato il controllo assoluto sulla società e sulla progettazione. Viene presentato il suo progetto di alloggi a Pessac i cui fondamenti avrebbero dovuto essere la standardizzazione e la pianta libera. Tuttavia sarà proprio qui che verrà proclamato il trionfo dell’architettura collettiva nei confronti dell’idea dell’architetto che infatti era scomparsa sotto un palinsesto di vita quotidiana. Si era messa in atto la demolizione definitiva di Le Corbusier e dell’ideologia di cui era il rappresentante.

Essendo questo progetto risultato un grande successo di progettazione dal basso collaborativa, l’autore si chiede se sia possibile inserire questa flessibilità nel progetto fin dall’inizio.

  

Capitolo III- Perchè non ha funzionato: un cammello è un cavallo progettato da un assemblea.

Ripartendo dalle tematiche trattate nel capitolo precedente di torna a riflettere sul tema della progettazione comunitaria sottolineando come questa aveva funzionato alla perfezione finché non erano entrate in campo troppe voci e idee incompatibili. In ogni progetto collaborativo infatti, la difficoltà sta nell’ottimizzare la partecipazione, preservando allo stesso tempo un ordine chiaro e un obiettivo unitario. Tra coloro che provarono a teorizzare questo metodo viene presentato Christopher Alexander e il suo “metodo costruttivo senza tempo”. Il suo scopo era quello di coinvolgere gli utenti usando un linguaggio non tecnico basato su un vocabolario condiviso di principi progettuali in modo tale che chiunque potesse progettare elementi singoli in conformità con la struttura morfologica comune. Come dice Giancarlo De Carlo “la partecipazione collettiva introduce una pluralità di obiettivi e di azioni i cui risultati sono imprevedibili e tra questi ci può anche essere l’autodistruzione del sistema stesso”. Una delle cause per cui il sistema proposto da Alexander fallì fu, infatti, l’indifferenza della comunità.

L’unica alternativa tra l’anarchia e l’ indifferenza sembra essere la trasformazione della partecipazione in un software che permetta lo scambio di conoscenze attraverso i nodi di un sistema cibernetico.

Tuttavia l’applicazione di questo modello all’architettura di dimostrò fallimentare poiché la soluzione ricercata era sempre una soluzione soddisfacente, che recava il minor danno al maggior numero di persone anziché risolvere problemi complessi. In questa direzione di architettura modificabile e rispondente alle diverse esigenze della società si mosse il movimento metabolista con la sua volontà di creare architetture dinamiche e progettare su grande scala. Nella maggior parte dei casi tuttavia, i risultati di questa progettazione furono mega strutture disumane che non ottennero nessun successo.

Gli architetti quindi cercano sempre di tornare al discorso della partecipazione ma la collaborazione si presenta come una base ingannevole su cui poggiare il processo di pianificazione e produce una serie di risultati che vanno dall’apatia all’anarchia.

  

Capitolo IV - Imparare dalla rete: paradigmi partecipativi nel mondo digitale.

Il capitolo inizia portando l’esempio di un software la cui creazione è stata possibile grazie ad un gruppo aperto e diffuso di partecipatori nell’idea di open source.

I metodi di comunicazione hanno influenzato notevolmente la società e le scoperte fatte nel tempo: nel corso della storia l’unità di misura standard dell’esperienza sociale collettiva è stata la città e la misura di tale esperienza dipendeva dal raggio di azione del contatto umano diretto. Tuttavia, all’inizio del secolo scorso la radio ha cambiato drasticamente la scala di tali contatti: l’umanità era diventata interconnessa ovunque senza vincoli spaziali. Però la radio non è adatta alla conversazione: o riceve o trasmette. La condizione di interconnessione che emerge con l’era di internet è diversa: corrisponde ad un ritorno alla dimensione originaria di villaggio. Internet consente uno scambio di idee, non solo una trasmissione. Internet può essere considerato un laboratorio per un nuovo genere di progettazione: una serie di teorie possono essere utilizzate per creare un prodotto finale. Le grandi aziende non sono rimaste indifferenti all’ondata di progetti open source. Internet ha risposto ad una delle necessità fondamentali dell’essere umano: essere in relazione con gli altri: lo spazio fisico si è dimostrato un contraltare di vitale importanza per l’esistenza digitale. Questo cambiamento radicale nel modo che le persone hanno di interagire e di socializzare ha coinvolto quasi tutti gli ambiti culturali tranne l’architettura.

La domanda che viene posta a fine capitolo è sul modo in cui i nuovi strumenti a disposizione dell’architetto possono avvicinare le persone, non solo nel senso di vivere insieme, ma di cambiare, ampliare e creare insieme l’ambiente che le circonda.

  

Capitolo V- L’open source diventa fisico: come le tecnologie per la collaborazione digitale sono diventate tangibili.

In questo capitolo si porta avanti il concetto trattato nel capitolo precedente di open source  facendo riferimento non solo all’ambito digitale ma anche a quello fisico: la collaborazione fisica tra più individui con lo scopo di creare un unico prodotto finale condivisibile da tutti. E’ di questo che si interessa il Fab Lab, un laboratorio per la fabbricazione digitale. I Fab Lab consentono al mondo di modificare o di Hackerare il mondo circostante, anziché assorbire informazioni o prodotti in modo passivo. La vera opportunità è quella di imbrigliare le potenzialità inventive del mondo, per progettare e produrre localmente le migliori soluzioni ai problemi locali. Tuttavia una cosa è far viaggiare lunghe linee di codice attraverso reti digitali, altra cosa è condividere la materia.

Si parla in questo caso di Autoprogettazione nella quale qualsiasi cosa è aperta a modifiche, ampliamenti e rielaborazioni.

E’ su questo che si basa il CREATIVE COMMONS che autorizza tutti a riutilizzare, accrescere e adattare qualsiasi oggetto purché il progettista originario sia nominato.

Attualmente lo scarto tra informazione e fisicità è quasi scomparso, il processo di progettazione, in tutte le sue fasi, è più influenzato dall’informazione comunicabile che dalla manualità e dalla fisicità.

Un progetto open source non presume mai una singola traiettoria, né i suoi risultati possono mai essere del tutto previsti ma tutti hanno qualcosa in comune: l’energia collettiva guida l’intero processo, è la forza motrice dell’evoluzione open source.

Le aziende hanno riconosciuto nell’incredibile energia degli hacker di tutto il mondo una risorsa rinnovabile.

Come già detto l’architettura sembra essere l’ultima disciplina in ordine di tempo a mostrarsi sensibile a questo fermento: nell’idea di open source sembra che si faccia strada la distinzione tra progettista e utente.

Viene poi presentato un esempio di open source ovvero l’OAN, una piattaforma online dove i progettisti possono contribuire al cambiamento degli spazi costruiti, in particolare nei paesi in via di sviluppo. Su queste piattaforme l’utente finale ha il potere di progettare o comunque di influenzare le decisioni progettuali.

In generale la produzione è diventata democratica: si tratta di una nuova cultura con nuovi mezzi di condivisione di idee (internet), nuovi metodi di tutele per gli autori (Creative Commons) e nuovi mezzi per realizzarli.

Se in tutti gli ambiti si è a lungo parlato e pubblicato di questi progetti condivisi, l’architettura si è tenuta aggrappata ai nomi e alle firme degli Archistar. In ogni caso l’architettura open source è presentata come un’innovazione ma in realtà si tratta del vernacolare con una connessione a Internet.

   

Capitolo VI - Costruire Armonie: verso un architetto corale

Il capitolo inizia con la lettere di una giornalista, Annie Choi che era stata chiamata a scrivere un articolo per una rivista annuale. In questa lettera la scrittrice si rivolgeva in modo scontroso e polemico a tutti gli architetti, accusati di non riflettere sulle persone per cui essi progettavano. Essa tuttavia riconosceva l’importanza dell’interazione tra edifici ed esseri umani ma, secondo il suo punto di vista, “le persone conoscono i propri bisogni e i propri desideri, eppure l’architettura finisce con il guardarsi l’ombelico”.

Si diffuse così una generale sensazione che l’architettura si fosse rivelata inadeguata e incapace di rispondere ai desideri dei suoi utilizzatori e che la progettazione dovesse passare alle mani dei residenti.

Questa questione sulla scarsa partecipazione degli utenti attraversa tutta la storia dell’architettura moderna: oggi le persone sono più lontane che mai dal percorso progettuale e modelli nuovi di approccio collaborativo open source potrebbe sortire effetti interessanti.

Ormai l’insoddisfazione dei residenti dovrebbe essere trasformata in proposte serie così che i cittadini possano riappropriarsi della città passando da un “fai da te” ad un “fai con gli altri”.

L’architetto quindi non dovrebbe fornire un progetto finito e tangibile ma dovrebbe determinare una serie di parametri utili a guidare una rosa pressoché infinita di architetture potenziali; si potrebbe parlare di architetto come programmatore. La sua figura dovrebbe essere legata all’attivazione dello spazio più che alla sua realizzazione: egli dovrebbe mettere a disposizione eventi, non forme.

Per riscoprire il percorso progettuale si dovrebbe cominciare a considerare l’ambiente costruito come un’entità autonoma così che un architetto, basandosi sull’esame e sull’analisi dell’ambiente, possa creare schemi entro i quali la progettazione realizzata dalle persone possa prosperare.

L’architetto dovrebbe quindi collaborare con gli abitanti e non limitarsi a consegnare un prodotto finito: egli ha la possibilità di partecipare all’evoluzione di un ambiente autonomo, attraverso la creazione di strutture progettate da chi le usa.

La prima responsabilità dell’architetto corale è quella di dare inizio e porre fine alla collaborazione altrimenti il progetto andrebbe avanti all’infinito: orchestrerà azioni e interazioni più che creare oggetti.

Nella storia dell’architettura, la mutazione dei progetti poteva avvenire solo tra una fase e quella successiva, oggi invece, il giudizio su un edificio può iniziare prima della sua realizzazione.

L’architetto corale si deve trovare a metà strada tra la voce autorevole di Le Corbusier e il cicaleccio diffuso di Internet, a metà strada tra un processo dall’alto e uno dal basso dove l’energia pura del secondo sarà incanalata per mezzo dello schema mirato del primo.

  

Capitolo VII- Tocca a te, progetta!

Viene presentato come questo libro sia nato ovvero da una collaborazione aperta tra una serie di personaggi autorevoli, per la volontà di portare a termine la scrittura di un manoscritto usando la metodologia trattata all’interno delle sue pagine.

A seguito dell'occasione offerta dalla rivista di architettura Domus di scrivere un editoriale sull'open source in architettura – rivista guidata nel 2011 da Joseph Grima – l'autore riprende i temi e la forma di quella prima stesura per ampliarli e affidarli a un medium più tradizionale e duraturo. Per la scrittura Ratti abbraccia la tecnica "aperta" di invitare alcuni critici a contribuire liberamente ai contenuti del testo, via posta tradizionale, Google Documents, email o videoconferenza. Figurano pertanto tra i co-autori o co-curatori anche Matthew Claudel, Ethel Baraona Pohl, Assaf Biderman, Michele Bonino, Ricky Burdett, Pierre-Alain Croset, Keller Easterling, Giuliano da Empoli, Joseph Grima, John Habraken, Alex Haw, Hans Ulrich Obrist, Alastair Parvin, Antoine Picon, Tamar Shafrir.

Il tutto è iniziato con un dibattito aperto su internet che portò alla stesura di un articolo pubblicato sulla rivista Domus nel giugno 2011. In questo articolo, diversamente da come succede sempre, non comparve la foto del progettista poiché l’articolo era il risultato di una collaborazione di più voci.

Da questo articolo poi si procedette alla stesura di una bozza di manoscritto per mano di Ratti e Claudel i quali poi passarono questa prima stesura ad altri invitati così che questi modificassero o criticassero il manoscritto.

Le risposte e i gradi di partecipazione furono differenti e fu difficile riconoscere il ruolo legato i singoli personaggi ma grazie a questa collaborazione il libro “Architettura Open Source” era diventato il ring di un incontro di differenti idee che, a quanto pare, potrebbe andare avanti all’infinito.

L'autore nega che il testo sia un libro, "piuttosto una nota a piè di pagina...", un lavoro aperto, forse incompleto, e dichiara che esso il risultato di uno scambio dinamico tra diversi autori che hanno riflettuto sulla stesso tema.

Nel tentativo di espandere una esperienza informale della rete attraverso un mezzo formale e antiquato quale il libro, Ratti si scontra con la difficoltà di «riuscire a immaginare le rete al di là delle dimensioni della tavola», ovvero di praticare qualcosa che ha una forma diversa dai media comuni rispettandone l'informità e la diversità.     

  

  

GLOSSARIO

Architetto corale – viene meglio tradotto nel libro come figura curatoriale – "un giardiniere" per riportare le parole dell'autore – a riprova della necessità ineludibile di un individuo o di un gruppo di individui che portino a compimento il processo progettuale.

Open source – condizione di interconnesione che emerge con l’era di Internet e che consente uno scambio di idee, non solo una loro trasmissione.

Fab lab –  fisicità dell’open source con lo scopo principale di sondare le potenzialità insite nell’ “insegnare costruendo” e di avvicinare varie comunità dal basso per mezzo della tecnologia

Copyleft – sistema in cui la normativa sul Copyright/diritto d’autore è alterata in modo da rendere qualsiasi opera libera a modifiche, ampliamenti e rielaborazioni.

Creative Commons – metodo progettuale che autorizza tutti a riutilizzare, accrescere e adattare qualsiasi oggetto purchè sia nominato il progettista

Architettura open source paradigma emergente che descrive i nuovi metodi per la progettazione, costruzione e funzionamento degli edifici caratterizzata da un approccio inclusivo alla progettazione degli spazi, dall’uso collaborativo dei software progettuali e dal funzionamento trasparente degli edifici e delle città durante il loro ciclo di vita.