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autore

ATTILIO PIZZIGONI

 

titolo

INGEGNERI E ARCHISTAR

 

editore

CHRISTIAN MARINOTTI

 

luogo

MILANO

 

anno

2011

 

 

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

 

Titolo originale: INGEGNERI E ARCHISTAR Dialogo sul moderno costruire fra miti e mode

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

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Nella forma del dialogo tra alcuni personaggi, vengono facilmente messi a confronto punti di vista diversi per la trasmissione di idee e di concetti complessi; e risulta più semplice al lettore entrare nel merito di un opinione e farsene un giudizio. L'architetto e l'ingegnere: due figure complementari e, talvolta, in storico contrasto. Figura del mondo dell'arte l'uno; di quello della tecnica l'altro, almeno secondo l'opinione comune. Addetto all'involucro della costruzione e dunque alla sua immagine il primo; progettista delle strutture, dunque di ciò che non si vede all'esterno, il secondo. Attilio Pizzigoni, dopo i saggi su Brunelleschi e Le Corbusier e quello su Aldo Rossi, si confronta oggi con un nodo cruciale e quanto mai attuale della cultura del progetto che impone una riconsiderazione della figura e del ruolo dell'ingegnere, già soggetto paradigmatico del XIX secolo e, talvolta, del XX. Verità della costruzione e bellezza della forma storicamente erano i valori di un'architettura pensata secondo i canoni della Geometria. Oggi piuttosto agisce un'ideologia dell'Utile fondata sull'impiego di tecnologie flessibili da tempo proiettate oltre i dogmi del Movimento moderno. Culture diverse quelle con cui nel XXI secolo si confrontano le imprese acrobatiche degli architetti di grido, i cosiddetti archistar che, grazie all'uso di tracciati grafici, eseguiti con il computer, osano immaginare qualsiasi tipo di ardimento, fatto salvo il momento della verifica o semplicemente dell'intervento decisivo dell'ingegnere con le sue equazioni matematiche, capaci di dominare trazioni e compressioni. L'unità architettura-ingegneria appare un traguardo da raggiungere nei rispettivi campi disciplinari: più arte agli ingegneri, più scienza agli architetti

 

  

Giudizio Complessivo: 8 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Marco Mercutello

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2014/2015

 

 

 

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ATTILIO PIZZIGONI

 

Allievo di Aldo Rossi al Politecnico di Milano, è docente di Composizione architettonica presso la Facoltà di Ingegneria dell’ Università di Bergamo. Architetto, critico e storico dell’ arte ha pubblicato numerosi articoli e alcuni libri tra cui: Immagine/Idea (Pescara 1986), Brunelleschi (Bologna 1989), Le Corbusier (Rimini 1992), Il fiore azzurro (Bergamo 2000). Una raccolta di sue lezioni universitarie è pubblicata in L’ Architettura dell’ Architettura – Aldo Rossi e il primato della realtà (Bergamo 2007).

Attilio Pizzigoni

 

Contenuto

Il dialogo avviene nell’ arco di 10 giorni, contenuto del dialogo:

-        Giorno 1: VERITA’ E BELLEZZA

-        Giorno 2: ARTE E SCIENZA

-        Giorno 3: INGEGNERIA E ARCHITETTURA

-        Giorno 4: AUGUSTE

-        Giorno 5: CECIL, ALVARO E LA TENDA SUL TAGO

-        Giorno 6: FORMA E STRUTTURA

-        Giorno 7: STORIA E STORIE

-        Giorno 8: IL COLOSSO

-        Giorno 9: L’ ARCHITETTURA DEL CIELO

-        Giorno 10: DECAMERON

 

CAPITOLI

Verità e bellezza (Giorno 1)

Chi l’ ha detto che una costruzione efficiente ed economica debbe per forza essere brutta?

La Bellezza non ha un costo!

Molti hanno cercato la bellezza lungo la strada della verità e dell’ utile. I due personaggi (Protarco e Filebo) nell’ interrogarsi sui temi dell’ ingegneria si pongono la stessa domanda: se tra i suoi obiettivi vi sia prima la bellezza del “vero” o quella dell’ “utile”, se essa sia una scienza che cerca la bellezza nella realtà delle cose o nell’ utilità di ciò che produce. La prospettiva della conoscenza scientifica starebbe nell’ integrazione tra il senso della “ bellezza” e quello della “verità”. La bellezza non garantisce automaticamente la verità ma ci aiuta a trovare la strada, mentre ciò che è falso non è mai bello. Il linguaggio della matematica ci guida ad una possibile definizione della bellezza come condizione necessaria, ma non sufficiente, per esprimere la verità. La bellezza di un’ opera, affermano i due, potrebbe stare nella chiarezza e nella verità dell’ idea che la sottende.

  

Arte e scienza (Giorno 2)

La strada che unisce la verità alla bellezza corre dunque parallela a quella tra arte e scienza. Esse hanno per oggetto un’ unica realtà e nell’ ingegneria l’ arte e la scienza contribuiscono pariteticamente alla messa a punto dell’ opera. I due personaggi si chiedono se sia la bellezza o la verità l’ oggetto primario di questa complessa disciplina del costruire: se sia nella bellezza delle forme, o nella messa a punto di un formulario scientifico che possiamo collocarne l’ azione produttiva e proiettiva. Se è vero che l’ arte giunge a rappresentare la bellezza attraverso un processo di imitazione della natura, mentre la scienza costruisce la sua verità nella deduzione razionale, allora possiamo anche dire che l’ architettura e l’ ingegneria sono arte quando pretendono di “scoprire” le forme, mentre sono scienza quando ritengono di “inventarle”. Le cose però non sono così semplici, e non è raro il caso di un pensiero astratto e matematico che giunge a “inventare” una forma, per poi “scoprire” che quella forma era già presente e molto diffusa nella natura (Es. “Modulor di Le Corbusier). Che l’ architettura si maniesti in un’ intuizione formale o nel prodotto di un raziocinio logico non ci sarà mai permesso di esprimerlo con certezza di una formula. La modernità, affermano, ci ha illuso nell’ idea che la scienza sia solo il regno del razionale e del cognitivo, capace di fornirci il “metodo” per conoscere la verità. Invece anche nella scienza, come nell’ arte, è grazie alla casualità, a illuminazioni improvvise, che avvengono i più grandi cambiamenti.

  

Ingegneria e architettura (Giorno 3)

I due personaggi quanto più si addentrano nella discussione, tanto più hanno dubbi e domande, ma ancora non hanno una risposta sulla natura dell’ architettura e dell’ ingegneria: se siano arte o scienza, se esse siano un sapere o un saper fare. Nel dialogo di questa terza giornata subentra un terzo personaggio dal nome Pitide che è il più antico architetto greco, autore del mausoleo di Alicarnasso nel IV sec. A.C., che cerca di dare delle risposte alle loro domande. Afferma che nella pratica gli architetti parlano solo di belle forme, di linguaggio e di stile, mentre gli ingegneri praticano la loro conoscenza solo per controllarne i processi costruttivi. Lui parla di alcune parole chiave della nuova disciplina delle costruzioni: Non-linearità, fluttuazione, strutture dissipative, auto-adattamento. Afferma che l’ obiettivo dell’ arhitettura e dell’ ingegneria classica era quello di descrivere ogni cosa, strutture, forme, simmetrie e spazi, in termini di leggi immutabili. Secondo Pitide noi vediamo dappertutto diversificazione, incremento della complessità. Vediamo il mondo che cambia in modo irreversibile, vediamo che la casualità assume un ruolo sempre più determinante nell’ evoluzione della conoscenza. Soprattutto, afferma, noi vediamo che non è più possibile parlare di discipline nei termini classici, sappiamo che non è più possibile accedere a quelle culture astratte e separate che ci hanno tramandato le Accademie. Dunque l’ ingegneria e l’ architettura dobbiamo leggerle all’ interno di una nuova sintesi. Come quando, in passato, furono già una cosa sola, quando, prima della rivoluzione industriale, l’ idea della macchina non costituiva ancora l’ unico modello di ispirazione. Infine Pitide cita Auguste Perret e lo definisce il costruttore che ha percorso lucidamente quella continuità poetica e tecnologica che unisce l’ ingegneria all’ architettura.

  

Auguste (Giorno 4)

Il quarto giorno Protarco e Filebo dialogano proprio con Auguste Perret citato in precedenza da Pitide. Perret afferma che la bellezza di un edificio consiste nel far cantare i punti d’ appoggio, ovvero il valore di un’ architettura è intimamente legato alle forme dei suoi elementi costruttvi. Continua dicendo che la tecnica espressa poeticamente ci porta all’ architettura e che sono permanenti le condizioni imposte dalla natura, mentre sono passeggere quelle imposte dall’ uomo. Afferma che colui il quale maschera una parte qualunque della struttura si priva del solo è più bel ornamento dell’ architettura, colui che maschera un pilastro commette un falso. Colui che fa un falso pilastro commette un crimine. Auguste infine racconta che esiste un disegno di Le Corbusier del 1941  rispecchia pienamente il suo insegnamento.

                                                       Descrizione: 10943556_10202226477023263_312335667_n

                                    Le Corbusier, L’rchitecte et l’ ingènieur, tratto dal volume La Maison des Hommes, 1941-43

 

Si nota come la figura dell’ ingegnere e quella dell’ architetto sono rappresentate in due sfere connesse tra loro da una serie di intrecci che sfumano l’ uno nell’ altro. <<Da un lato tutta la gamma dei bisogni dell’ uomo, dall’ altro la consapevolezza delle leggi fisiche e della natura. Sensibilità e tecnica devono figurare in proporzioni diverse, ma inseparabilmente>>. Didascalia che Le Corbusier ha scritto in calce a quell’ immagine. Dunque l’ architettura moderna nasce già profondamente segnata dalla contiguità tra pensare e costruire, e nella continuità tra tecnica e linguaggio.

Cecil, Alvaro e la tenda sul Tago (Giorno 5)

Questo diagolo del giorno 5 si svolge a Lisbona, davanti al padiglione portoghese progettato da Alvaro Siza per l’ Expo del 1998. Protarco e Filebo d’ avanti a questa architettura cercano  di capire quale sia stato il processo di rappresentazione o quale dispositivo tecnologico sia stato messo in atto per ottenere un tale risultato di leggerezza, pur utilizzando un materiale così pesante. Si chiedono dunque se nella concezione originaria di quest’ opera vi sia la capacità visionaria dell’ architetto o non piuttosto l’ invensione strutturale dell’ ingegnere.

                 Descrizione: PortugalPavillion1  

                                        

                                          Alvaro Siza architetto e Cecil Balmond ingegnere, Padiglione portoghese all’ Expo ’98, Lisbona

 

 

Sotto forma di dialogo vengono poi rielaborati i pensieri dei duo progettisti: Alvaro Siza e Cecil Balmond. Per Alvaro è più di una semplice forma-struttura. Il volo arcuato del suo segno indica un cerimoniale e ha la forza di un simbolo. Vel-ario, come un velo e come l’ aria in cui vola, un segno che sperimenta la vibrazione della leggerezza. Settanta metri di luce relizzati nello spessore di venti centimetri di calcestruzzo, senza alcun appoggio: un gesto privo di sforzo apparente, come un foglio di carta sollevato dal vento. Per i due progettisti serviva una magia per nascondere la pesantezza del calcestruzzo. Serviva la leggerezza. La risposta è arrivata applicando la strategia degli opposti: invece di eliminare un peso sono stati nascosti gli sforzi necessari per sostenerlo, allora il peso si è annullato in leggerezza. Trazioni e compressioni si annullano chiudendosi nell’ equilibrio strutturale: nel cielo rimane la linea tesa della vela e i contrasti delle forse svaniscono nel mistero delle fondazioni. Protarco e Filebo dopo aver ascoltato il discorso dei due progettisti sul progetto di Lisbona sembrano forse convincersi che la luce della scienza non si distingue più da quella dell’ arte.

Forma e struttura (Giorno 6)

Dopo aver discusso sul Progetto di Alvaro e Cecil, nel sesto giorno i due protagonisti parlano dunque di forma e struttura, ovvero se la responsabilità creativa dell’architetto si integra con quella inventiva dell’ ingegnere. Il processo di specializzazione disciplinare ha isolato da una parte gli architetti a curare l’ immagine e la comunicazione mentre dall’ altra gli ingegneri lavorano costretti nel ruolo di tecnici esecutivi. Da una parte gli architetti che producono un mondo virtuale della modellazione 3D, dei morphing e dei rendering, così amati dai media che subito ne fagocitano le immagini con l’ ingordigia delle mode, mentre per definire il ruolo degli ingegneri è stata persino coniata una nuova infelice parola: ingegnerizzazione. Così, a fianco di una collaborazione, spesso non fruttuosa perché non convinta, è nata la polemica tra l’ ingegnere e l’ architetto. Filebo a quel punto esterna che il progetto della tenda sul Tago potrebbe dimostrare il contrario, ma Protarco risponde dicendo che troppe volte la storia dell’ arte e dell’ architettura ha dimenticato il ruolo fondamentale che svolgono gli ingegneri, celebrando solo l’ immaginazione creativa degli architetti. Perché non dovremmo riconoscere la stessa dignità creativa che la critica dell’ arte riconosce agli architetti, anche ai protagonisti di quell’ immaginazione costruttiva che provengono dal mondo dell’ ingegneria? Possiamo evidenziare a questo punto una risposta molto umile di Eduardo Torroja, ingegnere strutturista spagnolo che afferma, dando una risposta molo forte su tale dibattito, che le risorse del calcolo serviranno soltanto ad affinare le dimensioni e a controllare se esse sono sufficienti. Tutto il resto non può ottenersi con metodi deduttivi. Dunque prevale l’ opinione che il calcolo debba determinare le forme e le dimensioni in modo unico e inappellabile. Tuttavia, data l’ impossibilità di valutare ogni altra influenza, il calcolo deve rappresentare solo una base per il costruttore il quale deve tenere nella dovuta considerazione anche tutte le altre influenze.

   

Storia e storie (Giorno 7)

Nel settimo giorno il dialogo è tra Filebo e Pitide, personaggio riscontrato nel Giorno 3, il quale racconta di come anche in passato la figura dell’ architetto era molto ben nota rispetto a quella dell’ ingegnere. Pitide a quel punto parla del progetto della cattedrale di Londra per la quale ci fu la collaborazione di un architetto e un ingegnere: rispettivamente Christopher Wren e Robert Hooke. Del primo tutti conosco la fama, mentre del contributo progettuale di Robert Hooke, la storia ha voluto quasi nasconderci le tracce, nonostante Robert sia il noto scienziato che addirittura anticipò alcune concezioni di Newton sulla gravità, che inventò il microscopio, perfezionò numerosi altri strumenti e diede il suo nome alla legge dell’ elasticità dei corpi. Ed è curioso dover rilevare che questo avvenne proprio nell’ epoca del primo grande sviluppo delle scienze, negli anni in cui vissero uomini come Newton e Galileo. Nel dialogo si fa riferimento all’ architettura gotica del XIII secolo in cui era impossibile separare la forma dalla struttura. Si possono togliere ad un monumento romano tutte le decorazioni, senza che ne derivi alcun pregiudizio alla struttura, e si può fare anche il contrario come è stato fatto  per il Pantheon a Roma, rivestendo una struttura romana con una forma che non ha nessun rapporto diretto con la struttura. L’ architettura del XIII secolo è concepita, per rispondere ai bisogni della costruzione. La sua forma non è il risultato di un capriccio: non è la decorazione di una struttura. ( Esempio di come l’ architetto non può fare a meno dell’ ingengere ).

 

Il Colosso (Giorno 8)

Nel dialogo dell’ ottavo giorno subentra un’ altra figura, quella dell’ architetto Callia, che in passato commise tragici errori nel costruire macchine per la difesa di Rodi pensando che opere gigantesche potessero essere realizzate solo ingrandendo piccoli modelli. In questo dialogo appunto si cerca di capire l’ idea del “Colosso”. Per Callia il colosso è la metafora stessa del corpo umano, e , in tal senso, è l’ immagine del flusso di tutte le immagini del mondo. Nel passaggio di scala il corpo umano diventa “immagine delle immagini”. Nella concezione progettuale e compositiva dell’ architettura, l’ evidenza del corpo da immagine diventa immaginazione dell’ architettura stessa. Un colosso sta dentro ogni immagine. Per Filebo invece il colosso è il tema dell’ architettura, perché il colosso è la città stessa. Un colosso sta dentro ogni città. Protarco infine interviene dicendo che l’ idea del colossale costituisce nello stesso tempo un tema della composizione e una regola per il controllo formale dell’ opera, un “concept” e un linguaggio. Si arriva a pensare che questa colossalità sia lo stesso momento generativo, il “concept”, il tema concettuale a priori capace di informare compositivamente l’ intero progetto e la cui forza permane in ogni dettaglio della costruzione fino alla definizione tecnica di ogni sua parte. In questo senso possiamo pensare che il Colosso è il concept di ogni concezione compositiva. Dentro ad ogni idea concettuale c’ è un colosso.

   

L’ Architettura del cielo (Giorno 9)

Nel nono giorno i due protagonisti discutono sull’ architettura del cielo. La costruzione del cielo è l’ immagine di tutte le immagini, in essa si riflette quella colossalità di cui si è discusso poc’ anzi. La cupola ad esempio è un cielo artificiale che l’ uomo ha concepito per enfatizzare la propria presenza nella spazio e il suo rapporto di centralità con l’ universo. Le costruzioni moderne possono da sole garantire un tale salto di qualità grazie alle nuove tecnologie costruttive legate alla evoluzione produttiva dei cavi d’ acciaio, delle membrane tessili ecc.. Tutto ciò è possibile grazie ai nuovi software. Questi passaggi tecnologici e produttivi sono presenti nella memoria storica dell’ umanità con i simboli monumentali che hanno rappresentato la vicenda: dal Partenone al tempio romano di Minerva Medica, dalla Torre Eiffel alla Crown Hall di Chicago ecc. L’ ingegneria dell’ avvenire si esprimerà realizzando monumenti alla leggerezza, capaci di soddisfare livelli di efficienza strutturale e di durabilità del tutto impensabili nel passato. Un giorno forse potremo vivere in paradisi terrestri con climi controllati artificialmente. In questa prospettiva il problema dell’ integrazione tra forma e struttura diventerà sempre più centrale e determinante nell’ architettura e nell’ ingegneria. Ingegneri e architetti dovranno necessariamente operare congiuntamente, e anche la loro formazione dovrà essere ricondotta nel solco di una preparazione disciplinare comune.

 

Decameron (Giorno 10)

Siamo così giunti a questa decima giornata in cui i due protagonisti tentano una possibile sintesi su quanto analizzato. In sostanza si vorrebbe che gli ingegneri studiassero Shakespeare o suonassero il violino, ma allo stesso modo i laureati in architettura provassero imbarazzo per il fatto di non sapere nulla di scienza e di matematica, mentre inceve sembrano andarne orgogliosi. Bisogna dunque partire dalla scuola se si vuole cambiare qualcosa. Il mestiere è il principio disciplinare di ogni arte o tecnica, che infine abbiamo capito essere la stessa cosa. Queste parole tornano a darci importanza non tanto di una concordanza tra le Facoltà di Architettura e i Politecnici, quanto di una nuova scuola, o di un mediato ritorno alle scuole tecniche. L’ architettura e l’ ingegneria sono soprattutto un mestiere. Non affideremo dunque tutte le nostre speranze di superare la dicotomia tra le scienze “hard” e quelle “soft” ad un’ astratta concordatio oppositorum, quanto alla mediata rinascita di una nuova scuola, dove ogni disciplina possa raggiungere la sintesi di un pensiero complesso proprio dal contatto e dall’ integrazione con le più diverse forme della conoscenza.