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autore |
CHRISTIAN NORBERG-SCHULZ |
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titolo |
ARCHITETTURA: PRESENZA, LINGUAGGIO E LUOGO |
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editore |
SKIRA |
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luogo |
MILANO |
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anno |
1996 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale: Christian Norberg Schulz, Architettura: presenza, linguaggio e
luogo, Skira,
Milano 1996 |
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Argomento e tematiche affrontate |
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Il libro vuole
dare all’architettura una base esistenziale, pertanto l’essere dell’uomo nel
mondo, e in particolare, la spazialità della sua presenza, è preso come punto
di partenza. Il primo capitolo tratta dell’essere dell’uomo nel mondo
attraverso uso, comprensione e realizzazione. Il capitolo successivo studia
le dimensioni del linguaggio sotto titoli, tipologia, morfologia e topologia.
L’ultimo capitolo illustra l’applicazione del linguaggio delle forme
nell’architettura vernacolare, stilistica e moderna e in particolare la
frattura con il passato, che spinge sempre di più alla “perdita di luoghi”. |
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Giudizio
Complessivo: 8 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Marco Mussella |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3
a.a.2014/2015 |
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Autore Christian Norberg-Schulz |
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Nato a Oslo nel
1926, Christian Norberg-Schulz si è laureato in
architettura al politecnico di Zurigo nel 1949. Ha studiato storia
dell’architettura alla Harvard University e a Roma, conseguendo la libera docenza nel
1964 prese parte nel 1950 al gruppo norvegese del CIAM di cui fanno parte,
tra gli altri, Sverre Fehn
e Jorn Utzon. Dal 1966 è
professore di architettura presso la facoltà di architettura di Oslo. Ha
ricevuto la laurea ad honorem a Hannover nel 1978 e la medaglia d’oro
dell’Accademia di Francia d’architettura. |
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Christian Norberg-Schulz |
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CAPITOLI |
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Capitolo I – La
Presenza (l’uso, la comprensione e la messa in opera) |
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L’autore spiega come l’integrazione nei contesti è stata avvertita come
un problema del progetto d’architettura con l’avvento della modernità. La
questione affonda però le radici in un cambiamento epocale nel rapporto tra
uomo e natura, avvenuto fin dal XVII secolo nella storia del pensiero, con le
scoperte del metodo scientifico nella comprensione del reale. I primissimi
riscontri di questa nuova condizione esistenziale si ritrovano nella storia
del pensiero, tradotti presto in atteggiamenti concreti che hanno coinvolto
anche l’organizzazione degli spazi per l’abitare. Essendo l’architettura
chiamata a soddisfare bisogni oggettivi e concreti, essa contribuisce,
tassello per tassello, alla costruzione di quell’immenso palinsesto, al tempo
stesso reale e immaginario, che chiamiamo paesaggio. Ciò significa che è
generatrice di sentimenti, allo stesso modo in cui risponde a delle necessità
di vita, e come tale si può considerare un’arte dei luoghi, oltre che una
tecnica, cioè espressione dell’appartenenza ad essi. La sensazione che allora suscita l’osservazione di luogo, è si data da
un procedimento di conoscenza, ma si può dire che derivi anche da
atteggiamenti e da modi di essere insiti nella natura umana, che
costituiscono quasi una forma di preconoscenza. Il progresso scientifico, basandosi su
assunti convenzionali, ci ha suggerito che si possono dare risposte oggettive
a tutti i problemi che riguardano il reale. Un approccio di conoscenza puramente
quantitativo e deterministico sembra
insufficiente per la comprensione di tutti quei molteplici aspetti
qualitativi che caratterizzano l’esistenza. Per la comprensione dei fenomeni
paesistici occorre dunque mettere tra parentesi la questione della soggettività
contrapposta a un metodo analitico e oggettivo, presupponendo una sorta di
conoscenza a priori di cose che hanno carattere «tipico o categoriale».
L’idea di casa, ad esempio, non deriva certo dall’osservazione dell’edificio‐abitazione,
ma è qualcosa di precedente all’osservazione, che nasce spontaneamente
nell’individuo a partire dall’infanzia, per il fatto stesso di vivere in quel
contenitore. E’ dunque la natura stessa dell’uomo che predispone la sua
conoscenza secondo alcune strutture intellettuali innate. Anche se si fonda sull’esistenza
di alcuni concetti a priori, la Fenomenologia non afferma però la validità di
un metodo di conoscenza aprioristico: concentrandosi sugli aspetti del reale
dal punto di vista qualitativo,è volta alla comprensione dei modi di essere,
che sono diversi da contesto a contesto, pur nell’unica totalità del mondo. Ipotizziamo di trovarci alle prime fasi dell’antropizzazione in un
determinato ambiente, con caratteri fisici e naturali propri. In esso l’uomo
si insedia operando delle trasformazioni‐ prima fra tutte la
costruzione di una casa con i materiali che l’ambiente propone ‐
secondo una coscienza spontanea del costruire. Attraverso il lavoro dell’uomo
l’ambiente diventa paesaggio, espressione di una cultura e di un modo di
vivere, in continua evoluzione. Il paesaggio si è così sempre modificato nel
tempo. Per tutta l’era preindustriale è facile constatare che l’azione
antropica non si è mai particolarmente curata degli effetti indotti sul
preesistente. Dal momento in cui le trasformazioni hanno subito
un’incredibile accelerazione, per via della meccanizzazione imposta dalla
sete di sviluppo economico, si è rivelato un aspetto distruttivo dell’uso del
suolo prima sconosciuto. Le scienze sociali hanno così evidenziato, tra i
presupposti del benessere, non più soltanto la necessità di sviluppo
economico, ma anche quella di abitare in luoghi “sani” nel rispetto di una
propria identità culturale. L’uso di
un luogo avviene attraverso un complesso di scelte e di gesti guidati da
stati dell’animo e da bisogni concreti, cioè si articola in diversi momenti,
ma non va inteso come somma di azioni umane separate e indipendenti. L’arrivo in un luogo richiede un precedente
momento di transito verso una meta (cioè verso un luogo già definito e
circoscritto). All’arrivo segue poi un incontro con la realtà del luogo, che
risponde alle aspettative dell’individuo o genera sorpresa, determinando
nell’io la consapevolezza dell’ingresso in un insieme chiuso. Da questa
consapevolezza può inoltre derivare la chiarificazione di un contesto cosmico
(il comprendere dove ci si trova dal confronto con altre realtà ed emozioni
custodite nella memoria). |
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Capitolo II - Il Linguaggio
(tipologia, morfologia e topologia) |
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L’architettura si serve del linguaggio come strumento per definire
l’identità del luogo attraverso la figura, la forma e lo spazio.
L’architettura fornisce risposte in termini di forma ai più diversi usi e
bisogni. Come dunque i momenti d’uso si servono di strutture e di elementi
fisici, allo stesso modo essi definiscono degli aspetti esistenziali, ai
quali corrispondono a loro volta diversi ambiti di lettura: determinare un
orientamento nello spazio è studio della topologia, tentare l’identificazione
di determinate forme spaziali è studio della morfologia, mentre riscontrare
nella memoria determinate figure tipiche è studio della tipologia. La stretta
analogia tra le strutture del linguaggio dell’architettura e quelle del
linguaggio verbale è un’ulteriore prova dell’afferenza a uno stesso mondo quotidiano di vita. Al campo di esperienza individuato
dallo spazio potremmo associare una proposizione grammaticale o
un’articolazione in periodi, all’essere umano potremmo associare il soggetto,
alle sue azioni i verbi, alle figure che compongono l’ambiente i sostantivi,
alle forme di queste gli aggettivi. Come rintracciare in una proposizione principale soggetto e verbo è, per
i linguisti, una delle prime operazioni di scomposizione della struttura di
un periodo, allo stesso modo è possibile comprendere il sistema di
interrelazioni tra l’osservatore e l’oggetto osservato, considerando entrambi con ruoli
distinti, ma parti integranti dell’unica totalità dello spazio,
nell’attribuirvi un significato. Quanto esposto può però essere sufficiente a
riconoscere che ad una molteplicità di aspetti percettivi e di esperienza
corrispondono diversi piani di lettura degli oggetti. Per un edificio, concepito sia serialmente sia come organismo, non si
tratta solo dei caratteri misurabili da un punto di vista geometrico o
funzionale, che riguardano in particolare alcuni aspetti della progettazione,
ma anche di caratteri estetici e relazionali nei confronti del contesto, che
investono chiaramente la sfera emotiva dei fruitori. Così si possono considerare diversi ambiti descrittivi di
un’architettura: un ambito compositivo
geometrico che si esplica nell’individuazione di un impianto, di un tipo
o di un modulo alla base del disegno; un ambito estetico e percettivo che guarda all’articolazione di una
determinata forma con l’impiego dei materiali; uno fruitivo che comprende lo svolgimento di determinati usi,
attraverso la messa a punto di soluzioni tecnologiche e costruttive; infine
uno relazionale, che stabilisce un
rapporto con il paesaggio in termini non soltanto spaziali, ma anche
temporali, considerando gli sviluppi futuri dell’opera. |
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Capitolo III – Il Luogo (il costume, lo stile
e l’interazione) |
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Se la scienza insegna che il mondo sensibile è costituito da corpi che
interagiscono vicendevolmente, in cui ogni azione dell’uomo determina altri
eventi e trasformazioni la filosofia
riconosce tra due opposti ambiti, uno sensoriale, l’altro emotivo, l’unicità
dell’esperienza percettiva umana. Nel tumultuoso moto di ragione e sentimento, tale esperienza sempre si svela e si traduce in nuovi
comportamenti, nuove idee, nuove cose e consente la crescita di una civiltà. Secondo lo stesso duplice aspetto
il rapporto tra luogo e architettura muta continuamente nella storia.
Studiando le testimonianze del passato, occorre distinguere tra edifici cosid‐ detti “spontanei” ed edifici progettati. Per i primi è facile
riscontrare una più immediata aderenza ai bisogni umani e alle potenzialità
dei contesti con una certa continuità temporale, secondo un linguaggio che
ricalca le consuetudini di un costume
edilizio in una determinata regione. Per l’architettura considerata
“colta”, esito di un progetto o stampata nella trattatistica, si può notare
invece una sorta di distacco tra edificio e contesto a partire dalla fine del
Seicento. Per quanto riguarda lo stile, lo si ritrova ovunque. Gli stili,
sono dotati di mobilità e si rinnovano secondo lo spirito dell’epoca a cui appartengono. Lo stile tende a liberarsi di tipologie
legate al costume per manifestare un uso di validità generale, infatti non si
compone solo di figure complete, ma è un linguaggio di forme che può
adoperarsi per concretizzare totalità sempre nuove rendendo possibile la
presentificazione di una situazione generale.
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GLOSSARIO |
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Genius Loci
– spirito del luogo, considerato come quella realtà
concreta che l’uomo affronta nella vita quotidiana; che gli antichi
riconobbero come quell’opposto con cui l’uomo deve scendere a patti per
acquisire la possibilità di abitare. |
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Spazio esistenziale - comprende le relazioni fondamentali tra l’uomo e l’ambiente. |
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Fenomenologia – Percorso che ha come scopo l’accesso alle strutture e ai significati
della vita. |
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Architettura – incarnazione
dell’incontro tra il dentro e il fuori. L’architettura diviene quando un
ambiente completo si rende visibile; in generale questo significa
concretizzare il genius loci. |
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Perdita di
Luogo - il luogo ha
perduto e va perdendo d’identità sia nella demarcazione che nel carattere.
L’abitato è diventato sparso: non c’è più un dentro e un fuori, questo porta
così alla dispersione del paesaggio come sfondo unitario. |