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autore |
PETER EISENMAN |
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titolo |
LA FINE DEL CLASSICO |
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editore |
MIMESIS EDIZIONI |
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luogo |
MILANO |
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anno |
2009 |
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lingua |
ITALIANO |
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Argomento e tematiche affrontate |
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Si
tratta di una raccolta di alcuni tra i primi saggi teorici di Eisenman, che
però sono già carichi di tutti i principi caratterizzanti della sua
architettura senza origine né fine, senza oggetto né ragione e di conseguenza
perfettamente arbitraria. Il
tema principale è la necessità per l’architettura di proporsi come
raffigurazione di se stessa e di risultare come un vero e proprio “testo”,
per cui sottoponibile ad analisi ed eventuali differenti interpretazioni. L’architettura non è una semplice immagine,
un puro strumento della visione, non più una rappresentazione priva di
ragione, bensì è paragonabile ad un vero e proprio testo scritto tale che la
ricerca dei significati dell’opera diventi potenzialmente senza fine ed
eventuali aggiunte o modifiche non facciano che generare nuove possibili
interpretazioni. “Qui
l’architettura non chiude né unifica, ma piuttosto apre e disperde, frammenta
e destabilizza, non solo come condizione del proprio essere, ma come
esplorazione della propria riverberazione con le mutevoli concezioni di
natura e fatica umana.” |
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Giudizio
Complessivo: 8 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Martina Caruso |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3
a.a.2014/2015 |
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Autore Peter Eisenman |
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Peter
Eisenman ( 1932, Newark, New Jersey, USA) ha disegnato una vasta gamma di
progetti fra cui piani residenziali e urbanistici, istituzioni educative e
una serie di innovative abitazioni private. I riferimenti alle strategie
retoriche, alle alienazioni sociali e alle forme architettoniche esistenti
che caratterizzano il suo lavoro teorico dimostrano una buona conoscenza e
una profonda adesione alle teorie di Friedrich Nietzche,
Noam Chomsky e Jacques Derrida. Egli è stato il
leader del gruppo “The New York Five”, creato con
John Hejduk, Michael Graves,
Charles Gwathmey e Richard Meier. Nel 1967 fonda
l'Istituto per l'Architettura e gli Studi Urbanistici (IAUS), una sorta di
raccoglitore internazionale di idee per l'architettura, dove rimane come
direttore fino al 1982. Ha visitato l'Italia per la prima volta nell'estate
del 1961, periodo in cui insegnava architettura all'Università di Cambridge.
Durante quel viaggio, ha avuto modo di conoscere l'opera di Palladio, Scamozzi, Vignola,
Giulio Romano, e Terragni, architetti che lo avrebbero fortemente
influenzato. Oltre che a Cambridge, Eisenman ha insegnato a Princeton, Yale,
Harvard, allo IAUV di Venezia, all'ETH di Zurigo e, attualmente, a Yale. Tra
i suoi edifici premiati ricordiamo il Wexner Center for
the Visual Arts e la Fine Arts Library della Ohio State University a Columbus, nonché l'edificio della sede
centrale della Koizumi Sangyo Corporation a Tokyo, che ha ricevuto vari
National Honor Awards for Design dall'American Institute
of Architects. Anche il progetto di edilizia
popolare al Checkpoint Charlie,
lungo il Muro di Berlino, ha ricevuto un National Honor Award ed è stato
riprodotto in un francobollo della Germania occidentale emesso per
commemorare i 750 anni della Città di Berlino. La sua figura è, oggi,
considerata emblematica del trapasso del Modernismo e della sua crisi. |
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Peter Eisenman |
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SAGGI |
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SAGGIO I -
POST-FUNZIONALISMO |
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I segni dell’avvento del Post-Modernismo sono
sostanzialmente due: la mostra alla Triennale di Milano dedicata all’architettura razionale (1973) e la mostra al MOMA di New York sulla
école des beaux arts (1975). La prima
mostra, partendo dal presupposto che l’architettura moderna fosse soltanto un
funzionalismo antiquato, dichiarò che
l’architettura può essere prodotta soltanto attraverso un ritorno a se
stessa, mentre la seconda, considerando l’architettura moderna un formalismo
ossessivo, dichiarò che il futuro è paradossalmente contenuto nel passato,
teoria perfettamente inserita nell’ideologia storicista del periodo. In tutte le teorie dell’architettura che possono essere
definite umanistiche c’è sempre
stata una forte opposizione dialettica tra programma/funzione (intesi come tentativo di trovare una
ragionevole organizzazione interna) e tipo/forma
(intesi come volontà di articolare dei temi ideali nella forma). Queste due
esigenze erano sempre considerate come due poli della stessa esperienza. Questo equilibrio si è spezzato con l’industrializzazione, che portò ad un
sempre più complessa articolazione di funzioni e ad un progressivo
disinteresse nella pura forma/tipo. Negli ultimi 50 anni infatti diversi
architetti hanno considerato il progetto come un prodotto della formula “form-follows-function”. Il Funzionalismo può essere anche
descritto come una forma di Positivismo caratterizzato da un’ambizione
idealistica di creare un’architettura generatrice di forme eticamente
costruite, in sostanza di forme radicalmente spoglie della produzione
tecnologica tanto da apparire come un
profondo atto di rottura con il passato pre-industriale.
Esso rappresenta nient’altro che una fase tardiva dell’Umanesimo, per cui non
si può definire come manifestazione diretta di ciò che è stato definito sensibilità modernista. Questa
sensibilità ha a che fare con un cambiamento di atteggiamento nei confronti
dei manufatti del mondo fisico e un progressivo allontanamento dai tratti
dominanti dell’Umanesimo. Astrazione, atonalità, atemporalità sono alcune
delle caratteristiche del Modernismo e suggeriscono tutte una volontà di
superare il tema della centralità dell’uomo. Egli non è più agente creatore e
gli oggetti sono idee indipendenti dall’uomo, per cui un autore non è più in
grado di stabilire un inizio o una fine del suo prodotto (atemporalità) e
neppure di inventarsi una forma (astrazione). Quello che oggi viene chiamato Post-Funzionalismo nasce
come un atteggiamento che riconosce nel Modernismo una nuova sensibilità, che
si manifesta in una nuova dialettica in contrasto con la vecchia opposizione
umanista di forma e funzione (anche tipicamente funzionalista). Questo nuovo
fondamento teorico trasforma l’equilibrio umanista di forma/funzione in una
vera e propria dialettica all’interno dell’evoluzione della forma stessa
secondo due tendenze prevalenti: una secondo cui la forma architettonica è la
riconoscibile trasformazione di un solito geometrico o platonico, la seconda
che considera la forma geometrica in modo atemporale e decomposizionale
come qualcosa che è la semplificazione di serie esistenti di entità spaziali.
Entrambi le tendenze, se considerate insieme, riescono a definire la natura
inerente all’oggetto in sé e per sé e la sua capacità di farsi rappresentare. |
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SAGGIO II - LE RAPPRESENTAZIONI DEL DUBBIO: NEL SEGNO DEL SEGNO |
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La prospettiva sostituisce per sua natura una
rappresentazione narrativa della realtà (oggetti tridimensionali disposti nello
spazio) e l’architettura rappresentò, fin dalla nascita della prospettiva,
uno strumento essenziale e lo sfondo più appropriato per questo tipo di
rappresentazione. Nacque un modo per rappresentare lo spazio in architettura,
cioè di rappresentare l’architettura tramite l’architettura stessa. Per gli
architetti del Rinascimento la prospettiva era una legge della natura, non
una sua rappresentazione, e mediava tra uomo e natura, tra colui che guarda e
ciò che egli guarda. Per Palladio la prospettiva non era rappresentazione di
una legge naturale bensì serviva per mostrare le mutate condizioni
dell’oggetto prodotte dalla prospettiva stessa. Il Modernismo era impegnato ad allontanarsi dalla
rappresentazione dell’ordine naturale delle cose, privilegiando l’oggetto in
sé. Gli ordini classici e le facciate rinascimentali non sono altro che
rappresentazioni delle condizioni naturali rispettivamente di “colonna” e
“facciata”, mentre le astrazioni del Modernismo (colonna priva di ornamenti o
facciata spoglia) rappresentano le condizioni elementari dell’architettura. I
segni del Classicismo espressi negli ordini e nelle loro proporzioni
rappresentavano l’armonia naturale e il corpo umano, in questo modo il
soggetto leggeva l’oggetto che, in quanto segno di qualcos’altro, manifestava
il proprio significato. Nel Movimento Moderno questo legame soggetto-oggetto
è rimasto invariato, visto che la colonna “astratta” è ancora segno della
tradizione classica, segno che il soggetto osservatore è tenuto a
decodificare. Un metodo di rappresentazione dell’architettura che nel
Rinascimento non è mai stato utilizzato
è il modello, che può mettere in discussione il rapporto
osservatore-oggetto. Eisenman cercò di affrontare questo tema attraverso una
sequenza di disegni di case, di cui solo alcune furono realizzate, dalla Casa I alla Casa El Even Odd. La Casa I fu costruita come un vero e proprio modello, con
i punti di innesto tra travi e colonne che sembrano levigati con carta
vetrata e incollati a mano. Quelli che sembrano travi e colonne tuttavia sono
solo segno della struttura, ma non
hanno effettivamente funzione portante. Nella Casa II intelaiature, scossaline, soglie,
modanature scompaiono sotto un materiale siliconato che nasconde ogni
possibile traccia di individuazione di segni, secondo la tipica
semplificazione che si mette in atto nel costruire un modello. Il mutamento più significativo del rapporto tra soggetto e
oggetto in architettura (passaggio da un’architettura che imita la natura ad
una che rappresenta l’oggetto) fu indotto dallo studio per le abitazioni dell’uomo. L’abitazione, in
quanto oggetto prodotto dall’uomo per l’uomo, non può essere imitazione della
natura, ma deve rispecchiare il soggetto che ne usufruirà. Ma per il
Modernismo è impossibile rispecchiare il soggetto nell’abitazione, perché
l’abitazione diventerebbe contemporaneamente “abitazione” per l’uomo e
oggetto autorappresentativo, concetti che per il
Modernismo dovrebbero escludersi a vicenda. Quindi i modelli rappresentano
l’impossibilità di costruire abitazioni, la casa è tradizionalmente intesa
come segno costante della nostalgia dell’abitazione e l’assenza totale di
immagini e l’esemplificazione formale sono testimonianza dell’assenza della
dimora. L’apice di questa riflessione si ha con il disegno per la Casa El Even Odd,
che è rappresentazione/segno di se stessa e non rappresentazione dell’dea di
casa.
Casa VI
Modello Casa El Even
Odd |
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SAGGIO III - LE RAPPRESENTAZIONI DEL LIMITE. SCRITTO DI NON ARCHITETTURA |
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Come si fa a definire i limiti di una disciplina?
Generalmente, si parte dall’interno per poi rivolgersi all’esterno alla
ricerca dei confini. Ad esempio, le costruzioni di Lissitsky
e Schwitters erano provocazioni nei confronti del
limite in quanto metaforicamente trasgredivano le leggi della gravità. La
trasgressione delle convenzioni rappresenta i limiti raggiunti dall’interno.
Tuttavia, potrebbe essere possibile individuare i limiti dell’architettura
semplicemente individuando e studiando il suo complemento, cioè la non
architettura. Che cosa significa
leggere un disegno? Di solito noi leggiamo la scrittura e guardiamo i
disegni, ma se attribuissimo al disegno il privilegio di poter essere letto
allora potremmo separare i segni dagli oggetti, come è proprio della lettura.
Generalmente, nel disegno architettonico l’immagine non è concepita come
“agganciata” all’oggetto come lo è un segno al significato nella scrittura.
In un testo infatti di solito non è necessario un rapporto di immagine tra il
segno e il suo significato, mentre nel disegno architettonico questo non
accade poiché l’immagine è rappresentazione di un oggetto, ma non
necessariamente significante per esso e per la sua struttura interna.
Nell’interpretazione di un disegno architettonico, abbiamo bisogno di fare un
passaggio in più rispetto all’interpretazione di un testo, poiché i segni
vanno interpretati come elementi tridimensionali, che fanno parte di un
vocabolario convenzionale ben definito: finestre, porte, muri,.. e che non
sono semplicemente linee. |
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SAGGIO IV – LA CITTA’ DEGLI
SCAVI ARTIFICIALI |
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In questo capitolo Eisenman spiega le ragioni di un suo
progetto per Berlino nel 1983. Berlino può essere definita come luogo di un vuoto
storico, come un organismo a cui sono state sottratte parti di se stesso.
Essa mostra in tutte le sue parti il proprio passato e la propria esperienza
di storia interrotta. Il luogo del concorso era all’intersezione tra Friedrichstrasse e il muro di Berlino, luogo
paradigmatico della nozione di memoria
per la città, memoria che ha però una natura ambivalente: da una parte
memoria della prosperità dell’Illuminismo germanico prima della costruzione
del muro, dall’altra memoria di una profonda ferita all’interno della città.
Queste riflessioni portano al concetto di anti-memoria: diversa dalla memoria sentimentale o
nostalgica, poiché non ricerca né un passato né un futuro, questa non è puro
dimenticare, ma presuppone la creazione di un luogo che derivi il suo ordine
dall’oscurarsi del suo passato recuperato. Il progetto è ancorato alle
specificità del luogo: tre edifici sfregiati e il muro di Berlino
rappresentavano le preesistenze nell’area di progetto. Il progetto fu portato
avanti senza nostalgie né sentimentalismo, senza tentativi di recuperare o
rattoppare (tentativi che soffocano la memoria), ma per una via alternativa
che eleva la memoria per permettere di riconoscere le cancellature impresse
dall’anti-memoria. Lo strumento più importante per gli scavi è stato la Griglia di Mercator, schema universale
senza storia né specificità che lega Berlino al mondo. I tre edifici
esistenti forniscono frammenti di una griglia precedente e, affiancati ai
muri del XVIII secolo trovati grazie agli scavi e ai muri del XIX secolo,
riprodotti secondo una ricostruzione artificiale, contribuiscono a creare un
sistema con il Muro di Berlino, che diventa solo un altro muro in una città
di mura. Un progetto fondato su tracce stratificate di luoghi, riscoperti
tramite gli scavi. L’edificio appare come sollevato da un terreno
archeologico e le masse sembrano dei fossili fuoriusciti dal terreno che
lasciano incise le tracce della loro precedente esistenza.
Griglia dei muri di fondazione. Griglia
di Mercator
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SAGGIO V - LA FUTILITA’ DEGLI
OGGETTI. LA DECOMPOSIZIONE E I PROCESSI DELLE DIFFERENZE |
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La storia non è continua, ma è fatta di presenze e di assenze. Le prime si verificano quando la storia è vitale e
ininterrotta, mentre le assenze rappresentano una rottura della continuità.
Il Modernismo fu interpretato come una volontà di rottura dal Classico,
rottura portata avanti con un cambiamento nelle relazioni osservatore-oggetto
e con un cambiamento nel processo di composizione degli oggetti. Ma la vera e
propria rottura si ebbe nel 1945, rottura creata dalla storia nell’eclisse
dell’uomo. Questa rottura emerse non dalla scienza, dalla tecnologia o dalla
medicina moderna, bensì dalla potenziale estinzione di un’intera civiltà.
Questo frantumò la tradizionale fiducia nella continuità tra
passato-presente-futuro. Ora il presente contiene due poli senza relazioni:
una memoria del tempo precedente e un’immanenza, ovvero la presenza della
fine. Tuttavia, Classicismo e Modernismo condividono due idee
fondamentali, che possono testimoniare una certa continuità tra i due: la
capacità del significato ad essere proprio di una forma e la trasformazione
nell’idea del Tipo. Oltre al Modernismo ci sono stati altre correnti che hanno
manifestato una negazione dei modelli classici. Questo saggio rappresenta un
tentativo di tracciare alcuni aspetti di questo negativo della composizione
classico definito come decomposizione.
Per capire questo concetto, è necessario individuare tre categorie di
oggettualità: -
Prima categoria precompositiva
e riguarda sostanzialmente le variazioni di simmetria rispetto alle leggi
della natura, cioè aggiunte o sottrazioni a strutture simmetriche che possono
esprimersi si in pianta sia in alzato. -
Seconda categoria che riguarda il composito
più che in composto: gli edifici che vi appartengono sono il risultato della
sovrapposizione e dell’accavallarsi di
due tipi semplici mediante un processo di addizione, il risultato non è un
ordine stabile e definito, come nella prima categoria, bensì un ordine
instabile. -
Terza teoria extracompositiva
che sembra andare oltre ai margini dell’idea di composizione classica, per
cui non si ragiona in termini di unità e di simmetria bilaterale; le
possibili aggiunte o sottrazioni non sono dentro l’idea di completezza,
poiché una lettura di tipo ABAB è una lettura di unità seriali distinte, e
questa idea di successione suggerisce questa categoria del “non-classico!. La composizione classica presuppone che qualsiasi elemento
complesso in facciata o in pianta possa essere compreso attraverso qualche
modello, singolo o binario, ideale o naturale, cioè in generale attraverso
delle semplificazioni. Da qui, una lunga serie di esempi su trasformazioni e
composizioni applicate alla Casa del Fascio o alla casa Giuliani Frigerio a Como di Giuseppe Terragni. Se l’oggetto
classico è legato all’idea del Tipo, l’oggetto della decomposizione, come
negativo del classico, non si rifarà mai a questioni tipologiche e non può
mai essere riportato ad un modello conosciuto e riconoscibile. La linearità e
l’ordine dell’esperienza lasciano il posto alla casualità e
all’inconsapevolezza dell’esperire l’edificio, piuttosto che dall’inizio
verso la fine la decomposizione parte dalla
fine per andare verso l’inizio, cioè è il fare attraverso l’analisi, ma
non l’analisi formale classica. La decomposizione suppone che le origini, le
fini ed il processo stesso siano elusivi e complessi, piuttosto stabili,
semplici e puri, cioè classici e naturali.
Esempio di studio sulla Fabrica Fino |
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SAGGIO VI - LA FINE DEL CLASSICO. LA FINE DELL’INIZIO, LA FINE DELLA FINE |
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L’architettura dal XV secolo ad oggi è stata influenzata da
tre “fiction” (inteso come finzione, ma anche come racconto): la rappresentazione, la ragione e la storia. La rappresentazione doveva incarnare l’idea di
significato, la ragione l’idea di verità e la storia doveva recuperare l’idea
dell’eterno dall’idea di mutamento. Se prima del Rinascimento c’era una corrispondenza tra
linguaggio e rappresentazione, per cui il linguaggio era un valore apparente
reso all’interno della rappresentazione, gli edifici rinascimentali erano
simulacri (rappresentazione di rappresentazioni) di edifici antichi, come una
sorta di inconsapevole fiction dell’oggetto. Alla fine del XVIII secolo non
si pensava più che la verità risiedesse nella rappresentazione, bensì nei
processi della storia. L’architettura moderna ha preteso di modificare e liberare
se stessa dalla fiction di rappresentazione del Rinascimento, poiché ruolo
dell’architettura era semplicemente mostrare la propria funzione. Il processo
di astrazione fu un vero e proprio processo di riduzione atto a liberarsi
dagli ornamenti esterni dello stile classico, in un tentativo di
rappresentare la realtà stessa. Tuttavia le forme “oggettive” non hanno mai
abbandonato la tradizione classica, furono solo spogliate dalle forme
classiche. Per quanto riguarda, invece, la ragione, questa era una simulazione
del significato della verità attraverso il messaggio della scienza.
L’esigenza di ritrovare un’origine nell’architettura è la dimostrazione di
un’aspirazione per un’origine razionale di progetto. Mentre nel Rinascimento le origine erano ricercate
nelle fonti naturali o divine, nella geometria cosmologica o antropomorfa,
nell’Illuminismo si ricercava un processo razionali di progetto i cui fini
fossero un prodotto della ragione umana piuttosto che di un ordine divino. Le
origini naturali e divine sono sostituite da soluzioni razionali di problemi
organizzativi e costruttivi. Tuttavia, in entrambi i casi il valore
dell’architettura veniva ricercato in un qualcosa al di fuori di essa.
L’architettura non ha mai rappresentato la ragione, ma ha solo potuto
affermare il suo desiderio di farlo: non esiste un’immagine architettonica
della ragione. La terza fiction è la storia. Dal XV secolo cominciò ad
emergere l’idea del Passato e quindi
dell’esistenza di un’origine temporale, che cancellava l’idea del tempo come
ciclo eterno. All’inizio del XIX si fece avanti l’idea di Zeitgeist, o
spirito del tempo, con causa ed effetto radicati nel presente, in altre
parole un’aspirazione all’eternità del presente. Il Movimento Moderno
sostituì all’idea universale di Storia l’idea universale di pertinenza e di
conseguenza l’analisi del programma all’analisi della storia. Lo Zeitgeist
legava i modernisti alla storia presente con la promessa di liberarli dalla
storia passata. Anche la storia dello Zeitgeist è sottoposta ad una messa in
discussione della propria autorità, pertanto la storia non è più una fonte
obiettiva di verità e le origini e le fini perdono la loro universalità e
diventano fiction. Ciò che Eisenman propone è un’espansione oltre ai limiti
presentati dal modello classico per un’architettura come elemento
indipendente, libero da valori esterni. Un’architettura non classica non è più una simulazione di
storia, ragione o realtà, ma come una rappresentazione di se stessa, dei
propri valori e della propria esperienza interna. Il non classico
sostanzialmente propone una fine alla dominanza dei calori classici per
ricercare nuovi. Ma quando si è avuta la fine dell’Inizio? Inizio inteso
come una condizione precedente all’assunzione di un valore. Mentre le origini
classiche si pensava avessero origine in un ordine naturale o divino, le
origini non classiche possono essere considerate arbitrarie, cioè dei punti
di partenza senza valore, punti arbitrari nel tempo in cui inizia un processo
architettonico. Un esempio di punto di partenza artificiale è l’innesto, come
inserzione di un corpo estraneo dentro ad un corpo ospite, che non ha tanto
le caratteristiche dell’oggetto quanto quelle del processo. Oltre alla fine delle origini, un’altra caratteristica
dell’architettura non classica è la sua libertà da scopi e fini a priori: la
fine della fine. Il superamento di una fine può essere interpretato come un
effetto carico di valore del progresso o della direzione della storia. Con la
fine della fine, il processo di composizione o di trasformazione cessa di
essere una strategia casuale, ma diventa un processo di modificazione non
orientato verso un preciso scopo, può essere visto come una tattica a fine
aperto. La fine della fine riguarda anche la fine della rappresentazione
dell’oggetto come unico soggetto metaforico in architettura. |
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SAGGIO VII - L’INIZIO, LA FINE E ANCORA L’INIZIO |
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All’inizio del secolo gli approfondimenti di nuove
discipline, come la psicanalisi , e il crollo delle certezze in fisica hanno
portato all’idea che l’antropocentrismo fosse solo una fastidiosa illusione.
In architettura si ripropone di utilizzare un nuovo discorso che evita i
principi organizzatori antropocentrici di gerarchia, completezza e continuità
e che è invece caratterizzato da ricorsività, auto-somiglianza e
discontinuità. La prima è una semplice ripetizione di elementi uguali, ma
può essere intesa anche come insieme di proliferazioni non identiche ma
simili a se stesse. Il legame dell’auto-somiglianza con la ricorsività piuttosto
che confermare l’origine, la destabilizza. Per completare l’azione
destabilizzante della ricorsività auto-simile, è necessaria qualche forma di
discontinuità, espressa con l’introduzione di due condizione attive di
assenza: la memoria (traccia di assenza di una presenza precedente- assenza
della presenza) e l’immanenza (traccia
dell’assenza di una possibile presenza – presenza dell’assenza). Queste tre
caratteristiche destabilizzanti sono
usate per eliminare tre condizioni stabili dell’architettura, ovvero
programma, luogo e rappresentazione. Il programma non è più un valore di
origine, il luogo non è più una realtà originaria intesa come un tutto permanente e conoscibile,
infine la rappresentazione è da destabilizzare per creare un’architettura
come testo, in cui l’esperienza tridimensionale produce letture con un finale
aperto. “Qui l’architettura non chiude né unifica, ma piuttosto
apre e disperde, frammenta e destabilizza, non solo come condizione del
proprio essere, ma come esplorazione della propria riverberazione con le
mutevoli concezioni di natura e fatica umana.” |