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autore |
FRANCOISE CHOAY |
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titolo |
LA CITTA’. UTOPIE E REALTA’ |
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editore |
EINAUDI |
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luogo |
TORINO |
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anno |
2000 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale: L’urbanisme. Utopies et réalités , Editions du Seuil, Paris , 1965 |
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Argomento e tematiche affrontate |
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Nel momento stesso in cui la città del secolo XIX comincia
ad assumere una propria fisionomia, si apre un nuovo procedimento di osservazione
e di riflessione. La città appare ad un tratto come un fenomeno estraneo agli
individui che la abitano e che nei suoi confronti si trovano come di fronte
ad un fatto non familiare, straordinario. Lo studio della città assume allora
due aspetti assai differenti. Nel primo caso è uno studio descrittivo: si osservano i fatti con
distacco, si cerca di ordinarli secondo criteri quantitativi. A questa presa di posizione scientifica e distaccata si
oppone l'atteggiamento di quanti si sentono urtati dalla realtà delle grandi
città industriali. Per questi ultimi, l'informazione si integra nel quadro di
una polemica e l'osservazione non può che essere critica e normativa poiché la grande città viene
subita come un processo patologico. |
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Giudizio
Complessivo: 7 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Dario Carenzi |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2014/2015 |
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Autore Françoise Choay |
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Segue la filosofia studiata prima di essere un critico d'arte. Nel 1950, contribuisce a “The Observer in The Eye e Art de France”. Ha scritto diversi libri sulla storia dell'architettura e urbanistica, tra cui una critica del lavoro di Le Corbusier, poi una antologia critica sulla pianificazione urbana: “La città, utopie e realtà”. Un'antologia, cui editore fu Editons du Seuil nel 1965. Questo libro fornisce una base teorica per la sfida di urbanistica moderna poi attuato in Francia gollista. Nel 1970, è stata avvicinata da Merlin Stone, fondatore della sezione di pianificazione dell'Università di Vincennes, per insegnare. Nel 1978 è diventata insegnante e vi insegnò fino al 1990. Sulla teoria di architettura e urbanistica, approfondisce le sue fonti di analisi utopico. Si oppone a questa tradizione in maniera generica alla città sostenuta da Alberti, basato sul riconoscimento del desiderio, da regole generative e non dalla riproduzione sterile e alienante di un modello. “L’urbanistica di Haussmann” è per una illustrazione di successo di questo progetto generativo, basato su regole (template, via la distribuzione delle dimensioni degli spazi verdi). Più tardi, spinge i suoi studenti ad altri importanti testi di pianificazione urbana, come quelli di “Ildelfons Cerdà” e “Melvin Webber”. Nel 1994, il suo articolo "Il regno dell’ urbanistica e la morte della città" è pubblicato nel catalogo della mostra “La città, arte e architettura in Europa”, 1870-1993 per il museo Pompidou. Nel suo libro “L'Allegoria del patrimonio”, identifica i testi e le figure fondanti sia del museo e pratiche di conservazione archeologiche e urbane. Questo corpo di lavoro estende la sua critica di urbanistica e cerca di individuare le modalità di pianificazione territoriale rispettosa dell'uomo. Per il suo libro di antropologia dello spazio nel 2007, un gruppo di testi sparsi, costituisce una pietra miliare evidenziando la coerenza del suo percorso intellettuale. E’ stata eletta membro dell'Accademia delle Arti di Berlino nel 1991. Infine ha ricevuto il Premio Libro d'architettura del 2007 per il suo lavoro "Pour une anthropologie de l’espace". |
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Françoise Choay |
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Contenuto |
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Attraverso lo
studio di esempi significativi, Françoise Choay confronta teorie urbanistiche a partire dal XIX
secolo fino alla seconda guerra mondiale, che costituiscono il fondamento di
una nuova scienza, la pianificazione urbana. Queste teorie sono basate prima
su una lettura critica della città classica, illuminate dal nuovo ordine
economico emergente che è il capitalismo e il suo assistente cambiamento
sociale e territoriale: l'isolotto mono-funzionale, il quartiere degli
affari, la stazione, autovetture, ... La città classica
appare inadeguata. Questa nuova
tecnica ispira artisti ad una visione fantastica di un futuro migliore in un
territorio ideale; la città, il supporto e il prodotto dell'attività umana, è
un fatto culturale. Questa consapevolezza rivela il potenziale di tutti i
sogni, tutte le utopie, ma mostra anche lo stretto legame tra progetto urbano
e progetto sociale. Françoise Choay mostra la
natura teorica delle prime visioni della pianificazione urbana: l'inesattezza
dell'analisi diffusa della città classica disordinata che elimina il problema
del cambiamento di ordine, differenze e polemiche appaiono come
preoccupazione del progetto sociale e della sua organizzazione spaziale.
Questo lavoro, radicato nell’ astrazione di un ragionamento politico genera
solo modelli utopici senza esistenza reale, e progetti sociali, evacuando la
questione della forma. L'autrice
definisce due principali scuole di pensiero, persistenti ne
"l’urbanistica" : • La pianificazione
urbanistica progressiva (Charles Fourier, Robert Owen, Jean-Baptiste Godin, Tony Garnier,
Le Corbusier, Walter Gropius,
…): universale, si propone di migliorare l'uomo; la scienza dovrebbe
promuovere il benessere individuale. L'analisi funzionale struttura il
modello in unità autosufficienti giustapposte, create su un modello
simbolico; l’abitazione è al centro. Ma soffre di una mancanza di chiarezza;
imponendo un nuovo quadro territoriale sostenuto dall'idea di prestazioni;
infine, esplora piccole possibilità tecniche, basate su: la pianificazione
fantascientifica rimasta immaginaria; • La
pianificazione culturalista (William Morris, John Ruskin, Camillo Sitte, Ebenezer Howard, …) la città è una totalità culturale a
servizio del gruppo umano; si deve creare un proprio clima esistenziale per
sviluppare bisogni spirituali del gruppo, organizzati intorno agli edifici
della comunità. I suoi strumenti sono la storia, l'archeologia, la poesia; ha
fatto una campagna per la conservazione di una città polare, identificabile e
distinta dalla campagna. Purtroppo questa pianificazione si basa sulla
nostalgia ed ignora il progresso come fondatore della città. L'idea di città
sostituisce la presenza della città. La base
scientifica di pianificazione urbana è un illusione persistente :
"l’urbanistica" è un campo filosofico in cui i valori si scontrano
per o contro la società meccanizzata. Dubbi e difficoltà
dello sviluppatore rimangono, ma dispone di contributi teorici
contraddittori, strumenti operativi (statistiche, la sociologia, la storia,
la morfologia ...) salvaguardia dell'immaginario e tentazione demiurgica e
una lettura sensibile delle operazioni realmente effettuate. La città è un
oggetto socializzato che dialoga con la società, non con gli specialisti; è l'essenza
del progresso democratico. E non è riducibile alle funzioni vitali,
riproduzione cieca di una condizione esistente, o qualsiasi modello utopico.
La città è una lingua viva, che deve essere comprensibile purché un altro
modo sia possibile: il "naturalista" . La città di Frank Lloyd
Wright si basa sul rifiuto ed è sviluppata in modo indipendente intorno al
piacere dell’ individualismo e del rifiuto dei vincoli. |
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CAPITOLI |
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Per ogni capitolo sono stati presi in considerazione
alcuni esempi. |
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Capitolo I – La preurbanistica progressista |
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ROBERT OWEN; Uomo nuovo, habitat nuovo: Per realizzare i principi che costituiscono la scienza sociale,
sarebbe auspicabile stabilire vari nuclei o associazioni modello, contenenti dai
cinquecento ai duemila abitanti, in edifici adatti a produrre e consentire
una varietà di prodotti, e per crescere e dare ai bambini un’educazione
idonea. La pianta della New Harmony è formata da quadrati costituiti da edifici.
Ogni quadrato può ospitare milleduecento persone ed è circondato da un
terreno. All’interno dei quadrati si trovano gli edifici pubblici. L’edificio
centrale contiene una cucina pubblica, refettori e tutto quanto può
contribuire a un’alimentazione economica e gradevole. Su un lato dell’edificio centrale, una costruzione il cui pianterreno è
occupato dall’asilo, il primo piano da un salone per conferenze e una stanza
destinata al culto. Sull’altro lato un edificio che comprende, al pianterreno
una scuola per i bambini più grandi e un salone per i comitati, al primo
piano una biblioteca e una sala di riunione. Tre la ti di questi quadrati sono costituiti da abitazioni, destinate
soprattutto alle persone sposate. Ogni casa contiene quattro appartamenti, di
cui ciascuno è abbastanza grande per una famiglia composta da quattro membri.
Il quarto lato è occupato da dormitori che ospiteranno tutti i bambini in più
ai due ammessi per ciascuna famiglia. Nel centro di qiesto quarto lato si
trovano gli appartamenti dei sorveglianti di dormitori. Al centro dei primi
due lati, si trovano gli appartamenti dei sovrintendenti, astori, maestri di
scuola, medico, ecc. mentre nel centro del terzo sono collocati i depositi. All’esterno, dietro le case, intorno ai quadrati, si trovano giardini
circondati da strade. Subito dietro ai giardini ci sono, da un lato gli
edifici destinati alle attività meccaniche e industriali. Dall’altra parte si
trovano i locali destianti al bucato e alla tintoria. Ancora più in là, si
trovano gli insediamenti agricoli. I bambini vanno a scuola fino all’acquisizione di tutte le conoscenze
necessarie, mentre quelli più grandi vengono educati al giardinaggio e al
lavoro industriale. Tutti gli uomini lavorano nel campo dell’agricoltura, in
quello dell’industria o in qualsiasi altro settore utile alla comunità. Questo piano permetterà di sopprimere le sovvenzioni accordate ai
poveri, distruggendo radicalmente la povertà o qualsiasi degradazione di
questo tipo. CHARLES FOURIER; Il Falansterio: L’idea di
base è quella di tracciare tre ordini di cinta: il primo contenente il centro
città centrale, il secondo contenente i quartieri e le grandi fabbriche, il
terzo contenente i viali e la periferia. Lo spazio libero sarà il doppio nella seconda cinta, o zona dei
quartieri, e triplo nella terza, chiamata periferia. Tutte le case devono
essere isolate e formare una facciata regolare su tutti i lati. Il minimo
distacco tra due edifici deve essere di almeno 6 tese (12 m). Dovrà essere
maggiore e/o eguale a metà dell’altezza della facciata.Per evitare abusi
sull’altezza reale, come mansarde o piani mascherati, si prenderà come
altezza reale del muro tutto quanto superi l’angolo di 30 gradi, partendo
dalla base della facciata. Le coperture devono formare un padiglione, salvo
il caso di frontoni ornati sui lati. Sulla strada, gli edifici fino alla base
della facciata, non possono superare in altezza la larghezza della strada. Le
strade devono affacciarsi o su visuali campestri o su monumenti di
qrchitettura pubblica o privata. Le piazze devono occupare almeno un ottavo
della superficie. Il risultato da tenere presente è la proprietà insita in
una tale città, di provocare l’associazione in tutte le classi, operaie,
borghesi ed anche tra i ricchi. Il Falansterio dovrà essere costruito con materiali poveri: legno,
tegole, ecc. Il centro del Falansterio deve essere destinato alle funzioni
distensive, alle sale da pranzo, di consiglio, di biblioteca, di studio, ecc.
Una delle ali deve riunire tutte le officine rumorose. L’altra ala deve
contenere il caravanserraglio conn i suoi bagni e le sue sale per le
relazioni con gli estranei. Il Falansterio, oltre agli appartamenti individuali, deve contenere
molte sale per le pubbliche relazioni. I fronti laterali delle due ali si prolungano per formare e racchiudere un
gran cortile.
JEAN-BAPTISTE GODIN; Il Familisterio di Guise: Fondato sul modello del Falansterio di Fourier. Un dei vantaggi del Familisterio
è che può ospitare fino a millecinquecento persone. La luce e lo spazio sono
le prime condizioni per la pulizia e l’igiene. Per questo, tutto nel
Familisterio è abbondantemente illuminato così come tutto è largamente
provvisto di aria e di acqua. L’educazione e l’istruzione nel Familisterio sono divise in sette
classi: la Nourricerie, le Pouponnat, le Bambinat, la piccola scuola, la
seconda scuola, la prima scuola, i corsi superiori, l’apprendistato. Tra le risorse piacevoli dell’insegnamento che il Familisterio offre ai
bambini, bisogna includere i giardini; vengono iniziati alla coltivazione ed
alla cura dei giardini. |
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Capitolo II – La preurbanistica culturalista |
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JOHN RUSKIN; Elogio della diversità: La società è una totalità organica in cui tutti gli aspetti sono
collegati tra loro, e indissociabili. La città non è una collezione di unità. Non importa possedere una
quantità di bei monumenti pubblici se poi non si armonizzano con l’insieme
delle case. Bisogna essere a favore della diverità perché la monotonia non porta
interesse. Tutte le opere d’arte degne di essere eseguite, sono, una volta
compiute, interessanti e attraenti. L’architettura è un arte che tutti
dovrebbero apprendere, poiché interessa a tutti. La natura stessa disprezza tanto l’eguaglianza quanto la similitudine.
E’ proprio a questo concetto di asimmetria che la natura deve tutta la sua
grazia, tutto il suo fascino. Il piano di riforme pensato dallo stesso Ruskin non si può definire né
romantico né utopistico. Non è utopistico perché consiglia di riprendere una
tradizione che è stata seguita per secoli. Non è romantico perché si limita a
consigliare di abitare in una casa più bella di quella attuale, sostituendo
un tipo di decorazione a buon mercato ad una costosa. L’idea che la bellezza in architettura si paghi molto cara è sbagliata.
E’ la bruttezza che è rovinosa. Nell’architettura moderna, la decorazione
costa somme enormi perché essa è mal collocata e mal eseguita. L’architettura si differenzia dalla pittura perché è un’arte di tipo
cumulativo. La decorazione che orna la casa del vicino può solo aumentare
l’effetto che può produrre solamente la stessa sulla propria abitazione. L’architettura può acquistare un fascino. Ruskin crede che le abitudini
nomadi siano, più di qualsiasi altra carratteristica, la causa profonda dei
vizi della nostra architettura. Noi consideriamo le nostre case solamente
come alloggi temporanei. La saggezza è stata la fonte della grande architettura del passato in
Italia e in Francia. L’interesse delle città più belle di questi paesi
proviene non dalla ricchezza isolata dei loro palazzi, ma dalla squisita e
gelosa decorazione delle abitazioni; abitazioni costruite per durare e per
essere belle. L’idea di edificare città destinate alle future nazioni non è mai stata
veramente riconosciuta dai culturalisti come un obiettivo da conseguire. Ciò
non significa, sostiene lo stesso Ruskin, che essa non rientri nei compiti di
tutti. WILLIAM MORRIS; La comunità: Al contrario di
Ruskin, conservatore, Morris propone alle classi lavoratrici che per lui
costituiscono le forze nuove e reali della società, l’ideologia culturalista
e nostalgica. Per lui il capolavoro, è l’espressione di una cultura completa
che ha un senso solo a condizione di appartenere in prorpio alla classe
lavoratrice. Quest’ultima però è alienata nel lavoro degradante del sistema
industriale; è necessaria la sua liberazione. Lo stile architettonico all’epoca delle industrie non testimonia un
progresso. L’ultima casa costruita, sostiene Morris, è sempre la più volgare,
la più brutta. Nel Medioevo solo le dimensioni, e, in alcuni casi, i materiali
distinguevano gli edifici umili da quelli importanti. Ed è soltanto quando
questo genere di bellezza si insedierà nuovamente nelle città, che avremo di
nuovo una vera scuola di architettura. L’arte del passato non era soltanto una lavoro superiore per qualità a
quello attuale, ma di un’altra natura. E’ l’arte popolare, l’arte che deriva
dalla cooperazione di numerose menti, temperamenti, telenti diversi, dove
ciascuno subordina la propria attività a quella della comunità, senza perdere
la propria individualità. La formazione di grandi città ha portato ad un affollamento di persone
in spazi per alloggi, ristretti e l’espulsione dei centri manufatturieri. Dai
qui in poi i minerali vengono estratti e mandati dove è necessario senza
lasciare sporcizia nel centro della città e senza disturbare la quiete della
gente che ci vive. Nelle piccole città poco è stato distrutto, anche se si è molto
ricostruito. I sobborghi sono scomparsi e hanno assunto la fisionomia del
paese, e il loro centro ha guadagnato spazio e maggior sistemazione. I villaggi sono quasi distrutti tranne là dove sono diventati semplici
appendici dei distretti manufatturieri. Gli uomini invasero i villaggi della campagna, e, si buttarono sulla
terra liberata; in brevissimo tempo i villaggi furono ripopolati e
s’ingrandirono rapidamente. La città invase la campagna; ma gli invasori
cedettero all’influenza del loro ambiente e diventarono contadini, e, a loro
volta, influenzarono gli abitanti delle città; in modo che la differenza tra
città e campagna andò attenuandosi. L’architettura è le meravigliose costruzioni che l’uomo edifica nelle
quali può mostrare quanto ha dentro di sé, ed esprime il proprio spirito e la
propria anima nel lavoro manuale. |
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Capitolo III – La preurbanistica senza modello |
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FRIEDRICH ENGELS; In attesa della rivoluzione: Il problema
delle grandi città è stato affrontato da Engels in due modi: da una parte,
con un’analisi critica basata su un’inchiesta sociologica; dall’altra parte,
con un attaccamento non più sulla situazione di fatto ma alle soluzione
suggerite per porvi rimedio. Engels si schiera a favore di soluzioni
provvisorie e pratiche: l’alloggio non è altro che un aspetto parziale di un
problema globale da cui non può essere dissociato e che solo l’azione
rivoluzionaria permette di risolvere. Engels dunque rifiuta i modelli dei
socialisti utopisti il cui pensiero è da lui paragonato a quello dei
capitalisti che sfruttano il proletariato. Non accoglie neppure il metodo
generale dei modelli. L’agglomerazione di uomini in città ha incrementato la forza produttiva
di essi. Ma è solo a seguito che si scopre quanti sacrifici sia costato tutto
ciò. Sacrificare parte delle forze latenti delle città, rimaste inattive e
soffocate affinchè alcune poche potessero svilupparsi più compiutamente e
moltiplicarsi mediante l’unione con quelle di altri. Ogni città ha uno o più “quartieri brutti”, nei quali si ammassa la
classe operaia. Composti da lunghe file di costruzioni in mattoni a uno o due
piani, possibilmente con cantine abitate, e quasi sempre disposte
irregolarmente. Queste casette di tre o quattro stanze con cucina sono
chiamate cottages. Per porre fine a questa crisi dell’alloggio, esiste un unico mezzo:
eliminare puramente e semplicemente lo sfruttamento e l’oppressione della
classe lavoratrice da parte di quella dominante. Quello che oggi si intende
con crisi dell’alloggio, è il particolare aggravarsi delle cattive condizioni
in cui abitano i lavoratori in seguito al brusco afflusso della popolazione
verso le grandi città; è quindi un enorme aumento nei fitti. La risposta per risolvere il problema dell’alloggio non sta tanto nello
stabilire gradualmente un equilibrio economico tra l’offerta e la domanda,
quanto nella soppressione dell’opposizione tra città e campagna. Non bisogna
costruire dei sistemi utopistici per organizzare la società futura. La questione delle abitazioni potrà essere risolta soltanto in seguito a
rivolgimenti sociali di portata tale da permettere di affrontare
l’eliminazione dell’antitesi fra città e campagna, che è stata portata al suo
culmine dalla società capitalistica. Owen e Fourier avevano visto
correttamente la questione: nei loro modelli l’antitesi fra città e campagna
non esisteva più; non è che la soluzione della questione delle abitazioni
porti con sé la soluzione della questione sociale, ma al contrario soltanto
la soluzione della questione sociale, cioè l’abolizione del modo di
produzione capitalistico, renderà possibile la soluzione della questione
degli alloggi. KARL MARX; La città come degradazione: Lo stesso
bisogno dell’aria aperta cessa di essere un bisogno nell’operaio; l’uomo
ritorna ad abitare nelle caverne, la cui aria però è ormai viziata, e a cui
possono essere sottratte ogni giorno se non paga. La casa luminosa non esiste
più per l’operaio. La luce, l’aria ecc., la più elementare pulizia, di cui
anche gli animali godono, cessa di essere un bisogno dell’uomo. La sporcizia
diventa per l’operaio un elemento vitale. Marx descrive la situazione di Londra così: la città è un concentramento
di alloggi sovraffollati e inadatti all’uomo. A Londra vi sono una ventina di
colonie, ognuna composta da migliaia di persone, la cui miseria supera quella
dell’intero paese, e questa situazione è quasi esclusivamente il risultato
della cattiva sistemazione degli alloggi; il grado di affollamento e rovina delle
case è di gran lunga peggiore di quello che era negli anni precedenti. Anche
la parte della classe operaia che sta meglio, insieme ai piccoli bottegai e
ad altri elementi della piccola classe media viene colpita sempre più dalle
indegne condizioni dell’alloggio. Quando gli operai vengono cacciati sulla strada dalla distruzione delle
loro vecchie case, cercano di trovare casa il più vicino possibile ai luoghi
di lavoro. Conseguenza; invece che a due stanze, tocca a una sola stanza
accogliere la famiglia. Il risultato di questo cambiamento è stato non soltanto un aumento
enorme della popolazione urbana, ma le vecchie cittadine sovraffollate sono
ora centri circondati da tutti i lati da costruzioni in cui l’aria non entra
neanche in un punto. |
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Capitolo IV – L’urbanistica progressista |
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TONY GARNIER; Una città industriale: Une cité industrielle ha per principi
conduttori l’analisi e la separazione delle funzioni urbane, l’esaltazione
degli spazi verdi che svolgono il ruolo di elementi isolanti, l’utilizzazione
sistematica di nuovi materiali, in particolare il cemento armato. Città industriale perché la maggior
parte delle nuove città che verranno fondate da ora in poi dovranno questa loro
fondazione a ragioni di ordine industriale. La ragione determinante
dell’assetto di una tale città può essere la prossimità delle materie prime,
oppure l’esistenza di una forza naturale suscettibile di essere utilizzata
per il lavoro. La fabbrica principale è situata nella pianura, di fronte al
torrente e al fiume. Una ferrovia passa tra la fabbrica e la città, essendo
questa situata molto più in alto, su di un altopiano. Ancora più in alto sono
situati gli edifici sanitari. Ciascuno di questi principali elementi è
isolato in modo da rendere possibile l’estensione in caso di necessità. Nell’abitazione, le camere da letto
devono avere almeno una finestra a sud, abbastanza grande per dare luce in
tutta la stanza. I cortili, che servono per dare luce e arieggiare, sono
proibiti. Qualsiasi spazio deve essere ventilato dall’esterno. Nell’interno
delle case, i muri, i pavimenti, ecc. sono in un materiale liscio e hanno
spigoli arrotondati. Queste disposizioni valgono per gli edifici pubblici. Il
terreno edificabile nei quartieri d’abitazione viene diviso in isolati con
sempre un lato sulla strada. Una tale divisione permette una maggiore
utilizzazione del terreno, la superficie costruita deve sempre essere
inferiore alla metà della totale, formando il resto del lotto un giardino
pubblico. Il suolo della città è come un grande parco senza alcun muro di
cinta per limitare i terreni. Lo spazio tra due abitazioni è come minimo
almeno uguale all’altezza della costruzione situata a sud. La città comprende
una rete di strade parallele e perpendicolari. Nel centro dell’agglomerazione è
riservato un ampio spazio per la distribuzione degli stabilimenti pubblici:
servizi amministrativi e sale per assemblee; collezioni; edifici sportivi e
per gli spettacoli. Per tutti gli stabilimenti pubblici, la costruzione è
quasi interamente in cemento armato e vetro. In alcuni punti della città si
trovano le scuole elementari e medie. Una strada speciale, lavorata come un
giardino, separa le classi dei piccoli da quelle dei grandi e serve da luogo
ricreativo. Nelle vicinanze ci sono le abitazioni dei direttori e dei
sorveglianti. All’estremità della città ci sono le scuole superiori;
l’insegnamento che vi viene impartito risponde ai bisogni di una città
industriale, dedicati all’amministrazione e al commercio. Il quartiere della stazione è
riservato soprattutto alle abitazioni comuni in modo che il resto della città
venga liberato dalle costruzioni alte. Se la nostra struttura resta
semplice, senza ornamenti, è possibile poi disporre delle arti decorative
sotto tutte le forme.
WALTER GROPIUS; Il ruolo dell’industria: La forma di
una nuova costruzione deriva dall’essenza stessa dell’edificio e dalla
funzione cui esso deve adempiere. La ricerca dell’essenza si situa sulla
frontiera comune della meccanica, della statica, dell’ottica, dell’acustica e
delle leggi della proporzione. Un vero adeguamento dell’architettura allo
spazio e ai nuovi materiali, alle risorse dell’industria e dell’economia,
determina l’aspetto di tutti i complessi di una costruzione moderna. La standarizzazione non costituisce
un freno allo sviluppo della civiltà, ne è una delle condizioni immediate. Le
grandi epoche della storia permettono di verificare che l’esistenza di
standards è il criterio di ogni società civilizzata e ben ordinata. L’unificazione delle componenti
architettoniche dovrebbe contribuire a dare alle nostre città quella
omogeneità salutare che è il marchio di una cultura urbana superiore. Una
prudente limitazione ad alcuni tipi standard di edifici aumenta la loro
qualità. Il problema che più preoccupa
Gropius è dovuto alle dimensioni minime dell’alloggio per le classi
economicamente sfavorite: determinare la struttura necessaria per l’alloggio,
concependolo come un’unità economica completa. E al di là di questi problemi
sorge quello della forma da dare all’intera città, concepita come un organismo
pianificato. L’opinione resta sul tipo di
alloggio ideale per la maggioranza della popolazione: case individuali con
giardini; edifici con appartamenti di altezza media; o edifici dagli otto ai
dodici piani. Partendo da una distinzione delle
costruzioni tra orizzontali e verticali, Gropius sostiene che le prime
debbano essere limitate alle zone suburbane con debole intensità demografica,
mentre le seconde ai centri urbani molto popolati. I palazzi di altezza
intermedia non presentano i vantaggi di nessuno dei due tipi. Se la città
deve essere ridotta alla superficie minima, per conservare distanze minime
tra i diversi centri d’affari, una sola soluzione razionale permette di
assicurare più aria e più luce, e di aumentare lo spazio vitale: la
moltiplicazione dei livelli. I progressi della tecnica
trapiantano la civiltà urbana in campagna, e reciprocamente, reintroducono la
natura nel cuore della città. La decongestione delle città sarà
assicurata con il trasferimento di coloro che non vi hanno un impiego permanente.
Queste popolazioni verranno ridistribuite in nuove “città urbane”. L’antica città potrà cessare di
essere un’unità di amministrazione locale autonoma; essa diventerà parte di
un nuovo sistema amministrativo nel quale l’ “unità urbana” rappresenta
l’elemento ultimo. CHARLES-EDOUARD JEANNERET detto LE CORBUSIER;
L’urbanista re: Per Le Corbusier, architettura e urbanistica sono
indissociabili; una nuova architettura, che utilizzi le nuove tecniche di
costruzione e la nuova visione dello spazio, ha senso solo integrata in una
città moderna. Nella grande città è stato
soffocato il senso della geometria che l’animava. Sono diventate troppo dense
per la sicurezza degli abitanti, e tuttavia non lo sono abbastanza per
rispondere al fatto nuovo degli affari. Le condizioni di natura sono state
abolite. La moderna città industriale è concentrica-radiale. La rivoluzione
architettonica, segnata con l’impiego del vetro, dell’acciaio e del cemento
armato, ha permesso le necessarie soluzioni affinchè si compi la legge
naturale. Ricercare la scala umana, la
funzione umana, significa definire i bisogni umani. Questi bisogni sono
bisogni-tipo; abbiamo tutti bisogno di completare le nostre capacità naturali
con elementi che le rafforzino. Stabilire uno standard significa sondare
tutte le possibilità pratiche e attuabili, dedurre un tipo che sia
riconosciuto conforme alle funzioni, con un rendimento massimo, un impiego
ridotto al minimo. Se si curano le sezioni, è per cercare di ottenere
funzioni perfette. Lo spirito perfezionalista risplende dove regna la
perfezione geometrica. La vita di una città moderna è
tutta impostata, praticamente, sulla linea retta. La curva è faticosa,
pericolosa. L’angolo retto è predominante. L’attitudine ortogonale della
pianta del cemento armato è divenuta evidente, in uno spirito di purezza e
regolarità geometrica. I nuovi piani, assicurando una buona circolazione, una
sana distribuzione, la classificazione e l’ordine, facendo dell’insieme di un
edificio una vera e propria biologia, danno il sentimento dell’efficienza.
L’urbanista non è altro che l’architetto. Sul piano dell’attività creativa,
l’architetto e l’urbanista si equivalgono. La natura è stata di nuovo presa in
considerazione. La città è un grande parco. L’agglomerazione urbana è considerata
come una città verde. Gli edifici sono situati nella città, dietro la trina
di alberi. Gli alloggi raggruppati in altezza e concentrati, pur assicurando
una forte densità residenziale, occupano solo una piccola parte del suolo.
Una città del tipo “città radiosa”, costituita da unità di abitazione,
coprirebbe soltanto venticinque ettari, mentre una città tipo città-giardino
ne esigerebbe duecento. Il verde copre l’intera città mentre le torri sono
allineate in imponenti viali. Lo scopo è quello di arrivare a
formulare i principi base per un’urbanistica moderna. Il terreno piano è il
terreno ideale. Il fiume scorre lontano dalla città. Bisogna stabilire un
organo denso, scorrevole, concentrato: il centro; e un altro organo semplice,
esteso, elastico: la città-giardino. Indispensabile la presenza di una zona
di protezione ed espansione, zona vincolata, a boschi e prati. La nuova città
deve aumentare di densità aumentando in misura adeguata le aree verdi.
Bisogna costruire il centro città sviluppandolo in altezza. La strada moderna
è un organismo nuovo, una specie di fabbrica sviluppata in lunghezza,
magazzino aerato dove si raccolgono molti organi complessi e delicati. La
stazione è una sola. Si trova nel centro della città ed è un edificio
sotterraneo. |
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Capitolo V – L’urbanistica culturalista |
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CAMILLO SITTE; La lezione della storia: Una città
deve essere costruita in modo da dare agli uomini sicurezza e felicità.
Perché tutto ciò si consegua occorre che il costruire le città non sia soltanto
una questione tecnica, ma sia anche e specialmente un problema d’arte. Oggi
le piazze, raramente destinate a grandi feste collettive e sempre meno alla
vita quotidiana, servono principalmente a procurare più luce e più aria, a
rompere il monotono oceano delle case, a porre talvolta in valore un
importante edificio in un’architettonica cornice. Alla regola dell’antichità
classica, di porre i monumenti ai lati delle piazze, segue l’analoga regola
medievale di collocare i monumenti nei punti morti della circolazione. Si
deve evitare di porre i monumenti sull’asse di edifici o di porte riccamente
decorate perché nasconderebbero all’occhio architetture considerevoli. La
norma testè ricordata degli spazi liberi nel centro delle piazze, non
riguarda però soltanto i monumenti, ma vale anche per gli edifici. L’edificio
isolato è fra tutte le disposizioni la più sfavorevole, perché costringe a
completare architettonicamente con grande spesa le lunghe facciate
tutt’intorno. Uno spazio libero nell’interno di
una città deve principalmente il suo nome di piazza al fatto d’essere ben
delimitato e chiuso e individuato. Oggi invece viene liberamente chiamato
piazza anche l’isolato vuoto che sia attorniato da quattro strade e sul quale
si rinunci a costruire. Oggi è diventata regola corrente far convergere a
ogni angolo di piazza due strade che vi si tagliano perpendicolarmente; il
che porta come conseguenza che l’apertura verso la piazza viene allargata e
l’effetto d’insieme viene fortemente alterato, se non addirittura distrutto. Le irregolarità, anziché apparire
sgradevoli, muovono per contro il nostro interesse quanto più si avvicinano
alla naturalezza. Più cresce una città più le sue
strade e le sue piazze debbono ingrandirsi in tutti i sensi e i suoi edifici elevarsi
ed estendersi. L’urbanista quanto l’architetto debbono conformare i loro
piani alla scala delle grandi città di parecchi milioni d’abitanti. Il prezzo
elevato dei terreni spinge i costruttori alla loro massima utilizzazione
possibile. La moderna urbanistica ha raggiunto conquiste grandiose nel campo
dell’igiene al confronto di quella antica. E’ proprio nelle realizzazioni
urbanistiche che l’arte assume pienamente una funzione di primo piano. La banalità dei nostri quartieri
moderni porta a molte conseguenze importanti: l’uomo non prova alcun
godimento a viverci, non vi si adatta e non vi acquista alcun attaccamento
domestico. Le nostre case dovrebbero attorniare spazi verdi, situati a uguali
distanze gli uni dagli altri e il più possibile appartati dalle vie
movimentate e rumorose. Se i giardini debbono essere disseminati, gli
edifici, al contrario, debbono essere raggruppati. Qualora siano necessarie
più piazze converrà accostarle piuttosto che sparpagliarle. EBENEZER HOWARD; La città-giardino inglese: Nuova
utopia, in cui veniva esposta la teoria della garden-city, e che sarebbe
dovuta diventare realtà. In Howard si avverte una certa risonanza
progressista. Tuttavia, la cura del progresso è sempre stata subordinata
all’ideale di piccole comunità limitate nello spazio e dotate di uno spirito
comunitario. Si può considerare la città e la
campagna come due calamite, ciascuna protesa ad attrarre gli uomini verso se
stessa. La calamità città offre, in confronto alla calamita campagna, i
vantaggi dei salari più alti, delle occasioni di impiego, di attraenti
prospettive di avanzamento, ma questi sono ampiamente sbilanciati da canoni e
prezzi elevati. In campagna si godono meravigliosi panorami, parchi sontuosi,
boschi ombrosi, aria pura ed acque mormoranti. I canoni sono certamente
bassi, ma questi canoni esigui sono la naturale conseguenza dei bassi salari
agricoli piuttosto che un motivo di sostanziale benessere. Ma né la città né
la campagna interpretano a pieno i disegni ed i fini della natura. La società
umana e le bellezze della natura sono fatte per essere godute insieme. Il modello consiste in sei
magnifici corsi che attraversano radialmente la città, dividendola in sei
parti uguali. Al centro resta uno spazio circolare sistemato come un irrigato
giardino; ed intorno a questo giardino sorgono i principali edifici pubblici.
Tutt’intorno al Parco Centrale si sviluppa una larga galleria di vetro,
chiamata il “Palazzo di Cristallo”. Sul quinto viale si affacciano, con
fronte verso il Palazzo di Cristallo, una serie di case di ottima fattura,
ciascuna eretta su un proprio ampio terreno; le case sono per lo più
costruite in anelli concentrici, lungo i viali che convergono tutti verso il
centro città. Il “Grande Viale” crea una cintura verde lunga più di cinque
chilometri, che divide la parte della città, esterna al Parco Centrale, in
due fasce anulari. In realtà esso costituisce un parco complementare. In
questo speldido viale vi sono le scuole pubbliche, i giardini, i campi di
gioco e le chiese. Sull’anello esterno della città sorgono fabbriche,
depositi merci, caseifici, ecc., tutti prospicienti la linea ferroviaria
circolare. Tutte le macchine sono azionate elettricamente. La garden-city è la sola
proprietaria del terreno. La città si svilupperà edificando
un’altra città a qualche distanza, al di là della sua zona dei giardini o
della campagna, in modo tale che la nuova città possa possedere una sola
propria e differente zona dei giardini o della campagna. Queste altre città
saranno raggruppate attorno ad un’unica città centrale; e una linea
intercomunicipale le collegherà tutte.
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Capitolo VI – L’urbanistica naturalista |
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FRANK LLOYD WRIGHT; Broadacre: Ha una
concezione del piano libero, legato non a una indifferenziazione dello spazio
interno, ma al contrario, alla sua particolarizzazione. Questo è il concetto
di spazio organico che comprende l’organicità dello spazio, l’importanza dei
muri e delle superfici piene, il ruolo dei materiali grezzi naturali, il
rifiuto di qualsiasi genere di tipologia a favore di una grande diversità,
l’inserimento nel paesaggio. A questa architettura corrisponde una teoria
dell’insediamento umano che è una specie di antiurbanistica: è l’utopia di
Broadacre. L’ideale della natura costituisce
il nocciolo dell’architettura organica. Con la risorsa dell’architettura
organica, l’uomo è un elemento nobile, degno del proprio ambiente, elemento
integrale non meno degli alberi, i corsi d’acqua o le colline. Se
l’architettura organica deve servire all’architettura dell’umanità, si deve
avere a disposizione un’area spaziosa e che sia considerata elemento di
intrinseco valore. Broadacre City è basata sullo
spazio minimo di un acro per individuo, perché quando la democrazia edifica,
questa è la naturale città della libertà nello spazio, del riflesso umano. I caratteri architettonici di
qualsiasi pianta democratica del terreno per la libertà umana sorgono
naturalmente per, e dalla, topografia. Broadacre sarebbe in tal modo
veramente costruita in armonia alla natura onnipresente. Non ci saranno due tipi di case o
due tipi di giardini, nessuna delle fattorie sarà uguale, né complessi
agricoli che ricordano le fabbriche, e neppure due mercati che si
assomigliamano tra loro. Gli edifici alti non sono esclusi,
ma sarebbero isolati in piccole zone verdi particolari, situati nella
campagna. Qualsiasi edificio può andare
all’interno e l’interno andare all’esterno quando ciascuno è considerato come
parte dell’altro ed una parte del paesaggio. La casa campagna ha qualità non
meno del maniero, della fabbrica o della fattoria. Il povero, su una base di
eguaglianza, è ora fornito quanto il ricco della stessa qualità. Gli uffici delle molte categorie e
qualità di professionisti dovrebbero venir costruiti specificamente per il
loro lavoro e trovarsi in genere collegati al luogo dove sorgono le loro
dimore. Qualsiasi centro culturale chiamato
scuola nella città universale deve essere situato in un parco naturale nel
posto più bello dell’intera regione. Gli edifici stessi dovrebbero essere
progettati in maniera che il piccolo possa venir ancora suddiviso in corpi
minori. Edifici costruiti in metallo e in vetro o in altri materiali del
luogo.
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Capitolo VII – Tecnotopia |
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IANNIS XENAKIS; La città cosmica: La città
vi è oggettivata in un modello purissimo: il realismo e la conoscenza
tecnologica sono subordinate ad una visione utopista. La storia contemporanea crea concentrazioni urbane, aumenta la densità e
la dimensione delle città. I grandi centri favoriscono le espansioni e i
progressi di ogni genere. Al contrario, il decentramento porta a una
dispersione dei centri, all’aumento della lunghezza delle vie e della durata
degli scambi, all’estrema specializzazione delle collettività, e a uno stato
di caos socio-culturale. L’ortogonalità ha già dimostrato di essere impotente di fronte ai
problemi più semplici, quali la costruzione di nuove città. E’ in effetti
impossibile nello stato attuale di formazione di urbanisti e architetti che
gli individui possano risolvere i problemi della nascita, della costruzione e
dello sviluppo di una città. Questa carenza fa sì che le soluzioni
urbanistiche sulla carta non siano altro che povere combinazioni di linee
rette e di rettangoli, sistemati con spazi incongruamente curvi. Sotto la
tirannia di queste due linee di forza, una reale, l’altra mentale, si
decentra quindi creando città satelliti, città standardizzate o città
specializzate fornite di un’architettura cubica assurda. La “città cosmica verticale”: Necessità assoluta di ricercare le grandi concentrazioni della
popolazione; Una notevole concentrazione e l’enorme sforzo tecnico che essa comporta,
implicando un’indipendenza totale rispetto alla superficie del suolo e del
paesaggio. Questo porta alla concezione della città verticale; La forma che verrà data alla città dovrà eliminare, nella sua struttura,
gli sforzi antieconomici; La luce dovrà penetrare ovunque, e la vista degli spazi e sugli spazi
dovrà essere diretta; Poiché la città sarà verticale, la sua occupazione del suolo risulterà
minima. La liberazione del suolo e lo sviluppo tecnico di una tale città
porteranno al recupero di vari spazi; La ripartizione delle collettività dovrà costituire un miscuglio
statisticamente perfetto; L’archiettura interna della città cosmica dovrà orientarsi verso la
concezione di locali intercambiabili. L’architettura mobile sarà dunque la
caratteristica fondamentale della città; Poiché questa città sarà strutturata dalla tecnica universale, sarà
adatta ad alloggiare le popolazioni di qualsisi clima; La comunicazione sarà ottenuta secondo coordinate di grandi velocità; Le comunicazioni con trasporto di materiale dovranno essere assicurate
da nuove tecniche. Dunque, soppressione di ogni mezzo di locomozione
individuale su ruote; I trasporti aerei saranno favoriti da piste in cima alle città; La grande altezza della città, oltre alla densità molto elevata, avrà il
vantaggio di superare le nuvole e di mettere le popolazioni in contatto con i
vasti spazi del cielo e delle stelle; La trasformazione delle scorie industriali e domestiche in circuito
chiuso assumerà grande importanza; La città cosmica non teme le devastazioni della guerra, perché sulla
terra sarà stato raggiunto il disarmo. La forma e la struttura della città saranno un guscio vuoto con doppia
parete a maglia. |
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Capitolo VIII – Antropopoli |
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KEVIN LYNCH; Struttura della percezione urbana: Si è
concentrato essenzialmente sull’idea della coscienza che percepisce. Limitandosi
volontaraimente al campo visuale, ha studiato le basi della percezione
specifica della città. Come un’architettura, una città è
una costruzione nello spazio, ma di scala enorme, un artefatto che è
possibile percepire soltanto nel corsi di lunghi periodi di tempo. Il disegno
urbano è quindi un’arte temporale. La leggibilità del paesaggio urbano
è la facilità con cui le sue parti possono venir riconosciute e possono venir
organizzate in un sistema coerente. Nel processo di individuazione del
percorso, il legame strategico è rappresentato dall’immagine ambientale.
Quest’immagine è il prodotto sia della sensazione immediata, che della
memoria di esperienze passate. Un ambiente distintivo e leggibile,
non solo offre sicurezza emotiva, ma amplia la profondità e l’intensità
possibili all’esperienza umana. Un’immagine ambientale può venir
analizzata in tre componenti: identità, struttura e significato. Esse in
realtà compaiono sempre assieme. La figurabilità, cioè la qualità
che conferisce ad un oggetto fisico una elevata probabilità di evocare in
ogni osservatore un’immagine vigorosa, potrebbe venir denominata leggibilità
o visibilità in un significato più ampio. Elevare la figurabilità
dell’ambiente urbano significa facilitare la sua identificazione visiva e la
sua strutturazione. I percorsi costituiscono gli
elementi preminenti dell’immagine delle persone. La gente osserva la città
mentre si muove lungo di essi, e gli altri elementi ambientali sono disposti
e relazionati lungo questi percorsi. I margini benchè probabilmente meno
dominanti dei percorsi, per molti costituiscono importanti caratteristiche
nell’organizzazione. I quartieri sono zone della città
in cui l’osservatore entra mentalmente e sono riconoscibili in quanto in essi
è diffusa qualche caratteristica individuante. I nodi sono i punti, luoghi
strategici in una città, nei quali un osservatore può entrare, e che sono i
fuochi intensivi verso i quali e dai quali egli si muove. I riferimenti sono frequentemente
usati come indizi di identità e persino di struttura, e sembrano offrire
affidamento crescente, mano a mano che un itinerario diviene più familiare. Questi elementi sono semplicemente
le materie prime dell’immagine ambientale a scala di città. Il designer deve pertanto creare
una città che sia quanto più possibile riccamente dotata di percorsi,
margini, quartieri, nodi e riferimenti, una città che utilizzi non soltanto
una qualità formale o due, ma tutte. L’obiettivo finale di un simile piano
non è la forma fisica in se stessa, ma la qualità di un’immagine mentale. |
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Capitolo IX – Filosofia della città |
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VICTOR HUGO; La città è un libro: L’architettura è il gran libro
dell’umanità, la principale espressione dell’uomo nei suoi diversi stati di
sviluppo. Essa cominciò come qualunque altra scrittura. Fu dapprima alfabeto.
Si rizzava una pietra, ed era una lettera, ed ogni lettera era un
geroglifico. Più tardi, si fecero parole. Si sovrappose la pietra alla
pietra, si accoppiarono quelle sillabe di granito. Finalmente si fecero i
libri. Le tradizioni avevano generato dei simboli; tutti questi simboli
andavano cresendo, moltiplicandosi, incrociandosi, complicandosi sempre più.
Il simbolo aveva bisogno di espandersi nell’edificio. Allora l’architettura
si sviluppò di pari passo col pensiero umano; il pilastro che è una lettera,
l’arcata che è una sillaba, la piramide che è una parola, messi in moto
contemporaneamente da una legge geometrica e da una legge poetica, si
raggruppavano, si combinavano, si sovrapponevano sul suolo, si innalzavano a
piani nel cielo, fino a che non avessero scritto quei libri meravigliosi che
erano anche meravigliosi edifici. Il pensiero era libero soltanto in questo
modo, e per questo si poteva scrivere per esteso soltanto su quei libri
chiamati edifici. Nel secolo XV tutto cambia. Il
pensiero umano scopre un mezzo per perpetuarsi, che sia non soltanto più
duraturo dell’architettura ma anche più elementare e più facile. L’invenzione della stampa è il più
grande avvenimento della storia. L’architettura si disseca a poco a poco, si
atrofizza e si denuda. Tuttavia, dal momento in cui
l’architettura è ormai solo un’arte come un’altra, da quando essa non è più
l’arte totale, non ha più la forza di trattenere le altre arti. L’isolamento
ingrandisce tutto. La scultura diventa statuaria, l’iconografia diventa
pittura, il canone diventa musica. L’archiettura è morta, uccisa dal
libro stampato, uccisa perché dura di meno, uccisa perché costa di più. |
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