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Descrizione: 41IYJ4icjLL

 

autore

FRANCOISE CHOAY

 

titolo

LA CITTA’. UTOPIE E REALTA’

 

editore

EINAUDI

 

luogo

TORINO

 

anno

2000

 

 

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

 

Titolo originale: L’urbanisme. Utopies et réalités , Editions du Seuil, Paris , 1965

 

 

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

Descrizione: 41IYJ4icjLL

 

Nel momento stesso in cui la città del secolo XIX comincia ad assumere una propria fisionomia, si apre un nuovo procedimento di osservazione e di riflessione. La città appare ad un tratto come un fenomeno estraneo agli individui che la abitano e che nei suoi confronti si trovano come di fronte ad un fatto non familiare, straordinario. Lo studio della città assume allora due aspetti assai differenti. Nel primo caso è uno studio descrittivo: si osservano i fatti con distacco, si cerca di ordinarli secondo criteri quantitativi.

A questa presa di posizione scientifica e distaccata si oppone l'atteggiamento di quanti si sentono urtati dalla realtà delle grandi città industriali. Per questi ultimi, l'informazione si integra nel quadro di una polemica e l'osservazione non può che essere critica e normativa poiché la grande città viene subita come un processo patologico.
Fraçoise Choay, studiosa di urbanistica e critico d'arte dagli interessi filosofici e sociologici, ripercorre, attraverso una documentazione straordinariamente ricca e avvincente, questa duplice e contrastante reazione, che coinvolge pensatori politici, utopisti, architetti urbanisti, sociologi, filosofi, dalle metropoli della rivoluzione industriale alle città del futuro dei progettisti contemporanei. L'analisi strutturale e semiologica del quadro urbano è condotta attraverso i testi - spesso rari o introvabili - di trentasette autori: da Fourier a Wright, da Marx a Jane Jacobs, da Ruskin a Xenakis, da Gropius a Simmel.

  

Giudizio Complessivo: 7 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Dario Carenzi

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2014/2015

 

 

Descrizione: download

Autore Françoise Choay

Segue la filosofia studiata prima di essere un critico d'arte. Nel 1950, contribuisce a “The Observer in The Eye e Art de France”. Ha scritto diversi libri sulla storia dell'architettura e urbanistica, tra cui una critica del lavoro di Le Corbusier, poi una antologia critica sulla pianificazione urbana: “La città, utopie e realtà”. Un'antologia, cui editore fu Editons du Seuil nel 1965. Questo libro fornisce una base teorica per la sfida di urbanistica moderna poi attuato in Francia gollista.

Nel 1970, è stata avvicinata da Merlin Stone, fondatore della sezione di pianificazione dell'Università di Vincennes, per insegnare. Nel 1978 è diventata insegnante e vi insegnò fino al 1990. Sulla teoria di architettura e urbanistica, approfondisce le sue fonti di analisi utopico. Si oppone a questa tradizione in maniera generica alla città sostenuta da Alberti, basato sul riconoscimento del desiderio, da regole generative e non dalla riproduzione sterile e alienante di un modello. “L’urbanistica di Haussmann” è per una illustrazione di successo di questo progetto generativo, basato su regole (template, via la distribuzione delle dimensioni degli spazi verdi). Più tardi, spinge i suoi studenti ad altri importanti testi di pianificazione urbana, come quelli di “Ildelfons Cerdà” e “Melvin Webber”.

Nel 1994, il suo articolo "Il regno dell’ urbanistica e la morte della città" è pubblicato nel catalogo della mostra “La città, arte e architettura in Europa”, 1870-1993 per il museo Pompidou. Nel suo libro “L'Allegoria del patrimonio”, identifica i testi e le figure fondanti sia del museo e pratiche di conservazione archeologiche e urbane. Questo corpo di lavoro estende la sua critica di urbanistica e cerca di individuare le modalità di pianificazione territoriale rispettosa dell'uomo. Per il suo libro di antropologia dello spazio nel 2007, un gruppo di testi sparsi, costituisce una pietra miliare evidenziando la coerenza del suo percorso intellettuale.

E’ stata eletta membro dell'Accademia delle Arti di Berlino nel 1991.

Infine ha ricevuto il Premio Libro d'architettura del 2007 per il suo lavoro "Pour une anthropologie de l’espace".

Françoise Choay

 

Contenuto

Attraverso lo studio di esempi significativi, Françoise Choay confronta teorie urbanistiche a partire dal XIX secolo fino alla seconda guerra mondiale, che costituiscono il fondamento di una nuova scienza, la pianificazione urbana. Queste teorie sono basate prima su una lettura critica della città classica, illuminate dal nuovo ordine economico emergente che è il capitalismo e il suo assistente cambiamento sociale e territoriale: l'isolotto mono-funzionale, il quartiere degli affari, la stazione, autovetture, ...

La città classica appare inadeguata.

Questa nuova tecnica ispira artisti ad una visione fantastica di un futuro migliore in un territorio ideale; la città, il supporto e il prodotto dell'attività umana, è un fatto culturale. Questa consapevolezza rivela il potenziale di tutti i sogni, tutte le utopie, ma mostra anche lo stretto legame tra progetto urbano e progetto sociale.

Françoise Choay mostra la natura teorica delle prime visioni della pianificazione urbana: l'inesattezza dell'analisi diffusa della città classica disordinata che elimina il problema del cambiamento di ordine, differenze e polemiche appaiono come preoccupazione del progetto sociale e della sua organizzazione spaziale. Questo lavoro, radicato nell’ astrazione di un ragionamento politico genera solo modelli utopici senza esistenza reale, e progetti sociali, evacuando la questione della forma.

L'autrice definisce due principali scuole di pensiero, persistenti ne "l’urbanistica" :

• La pianificazione urbanistica progressiva (Charles Fourier, Robert Owen, Jean-Baptiste Godin, Tony Garnier, Le Corbusier, Walter Gropius, …): universale, si propone di migliorare l'uomo; la scienza dovrebbe promuovere il benessere individuale. L'analisi funzionale struttura il modello in unità autosufficienti giustapposte, create su un modello simbolico; l’abitazione è al centro. Ma soffre di una mancanza di chiarezza; imponendo un nuovo quadro territoriale sostenuto dall'idea di prestazioni; infine, esplora piccole possibilità tecniche, basate su: la pianificazione fantascientifica rimasta immaginaria;

• La pianificazione culturalista (William Morris, John Ruskin, Camillo Sitte, Ebenezer Howard, …) la città è una totalità culturale a servizio del gruppo umano; si deve creare un proprio clima esistenziale per sviluppare bisogni spirituali del gruppo, organizzati intorno agli edifici della comunità. I suoi strumenti sono la storia, l'archeologia, la poesia; ha fatto una campagna per la conservazione di una città polare, identificabile e distinta dalla campagna. Purtroppo questa pianificazione si basa sulla nostalgia ed ignora il progresso come fondatore della città. L'idea di città sostituisce la presenza della città.

La base scientifica di pianificazione urbana è un illusione persistente : "l’urbanistica" è un campo filosofico in cui i valori si scontrano per o contro la società meccanizzata.

Dubbi e difficoltà dello sviluppatore rimangono, ma dispone di contributi teorici contraddittori, strumenti operativi (statistiche, la sociologia, la storia, la morfologia ...) salvaguardia dell'immaginario e tentazione demiurgica e una lettura sensibile delle operazioni realmente effettuate.

La città è un oggetto socializzato che dialoga con la società, non con gli specialisti; è l'essenza del progresso democratico. E non è riducibile alle funzioni vitali, riproduzione cieca di una condizione esistente, o qualsiasi modello utopico. La città è una lingua viva, che deve essere comprensibile purché un altro modo sia possibile: il "naturalista" . La città di Frank Lloyd Wright si basa sul rifiuto ed è sviluppata in modo indipendente intorno al piacere dell’ individualismo e del rifiuto dei vincoli.

 

CAPITOLI

Per ogni capitolo sono stati presi in considerazione alcuni esempi.

 

Capitolo I – La preurbanistica progressista

ROBERT OWEN; Uomo nuovo, habitat nuovo: Per realizzare i principi che costituiscono la scienza sociale, sarebbe auspicabile stabilire vari nuclei o associazioni modello, contenenti dai cinquecento ai duemila abitanti, in edifici adatti a produrre e consentire una varietà di prodotti, e per crescere e dare ai bambini un’educazione idonea.

La pianta della New Harmony è formata da quadrati costituiti da edifici. Ogni quadrato può ospitare milleduecento persone ed è circondato da un terreno. All’interno dei quadrati si trovano gli edifici pubblici. L’edificio centrale contiene una cucina pubblica, refettori e tutto quanto può contribuire a un’alimentazione economica e gradevole.

Su un lato dell’edificio centrale, una costruzione il cui pianterreno è occupato dall’asilo, il primo piano da un salone per conferenze e una stanza destinata al culto. Sull’altro lato un edificio che comprende, al pianterreno una scuola per i bambini più grandi e un salone per i comitati, al primo piano una biblioteca e una sala di riunione.

Tre la ti di questi quadrati sono costituiti da abitazioni, destinate soprattutto alle persone sposate. Ogni casa contiene quattro appartamenti, di cui ciascuno è abbastanza grande per una famiglia composta da quattro membri. Il quarto lato è occupato da dormitori che ospiteranno tutti i bambini in più ai due ammessi per ciascuna famiglia. Nel centro di qiesto quarto lato si trovano gli appartamenti dei sorveglianti di dormitori. Al centro dei primi due lati, si trovano gli appartamenti dei sovrintendenti, astori, maestri di scuola, medico, ecc. mentre nel centro del terzo sono collocati i depositi.

All’esterno, dietro le case, intorno ai quadrati, si trovano giardini circondati da strade. Subito dietro ai giardini ci sono, da un lato gli edifici destinati alle attività meccaniche e industriali. Dall’altra parte si trovano i locali destianti al bucato e alla tintoria. Ancora più in là, si trovano gli insediamenti agricoli.

I bambini vanno a scuola fino all’acquisizione di tutte le conoscenze necessarie, mentre quelli più grandi vengono educati al giardinaggio e al lavoro industriale. Tutti gli uomini lavorano nel campo dell’agricoltura, in quello dell’industria o in qualsiasi altro settore utile alla comunità.

Questo piano permetterà di sopprimere le sovvenzioni accordate ai poveri, distruggendo radicalmente la povertà o qualsiasi degradazione di questo tipo.

CHARLES FOURIER; Il Falansterio: L’idea di base è quella di tracciare tre ordini di cinta: il primo contenente il centro città centrale, il secondo contenente i quartieri e le grandi fabbriche, il terzo contenente i viali e la periferia.

Lo spazio libero sarà il doppio nella seconda cinta, o zona dei quartieri, e triplo nella terza, chiamata periferia. Tutte le case devono essere isolate e formare una facciata regolare su tutti i lati. Il minimo distacco tra due edifici deve essere di almeno 6 tese (12 m). Dovrà essere maggiore e/o eguale a metà dell’altezza della facciata.Per evitare abusi sull’altezza reale, come mansarde o piani mascherati, si prenderà come altezza reale del muro tutto quanto superi l’angolo di 30 gradi, partendo dalla base della facciata. Le coperture devono formare un padiglione, salvo il caso di frontoni ornati sui lati. Sulla strada, gli edifici fino alla base della facciata, non possono superare in altezza la larghezza della strada. Le strade devono affacciarsi o su visuali campestri o su monumenti di qrchitettura pubblica o privata. Le piazze devono occupare almeno un ottavo della superficie. Il risultato da tenere presente è la proprietà insita in una tale città, di provocare l’associazione in tutte le classi, operaie, borghesi ed anche tra i ricchi.

Il Falansterio dovrà essere costruito con materiali poveri: legno, tegole, ecc.

Il centro del Falansterio deve essere destinato alle funzioni distensive, alle sale da pranzo, di consiglio, di biblioteca, di studio, ecc. Una delle ali deve riunire tutte le officine rumorose. L’altra ala deve contenere il caravanserraglio conn i suoi bagni e le sue sale per le relazioni con gli estranei.

Il Falansterio, oltre agli appartamenti individuali, deve contenere molte sale per le pubbliche relazioni.

I fronti laterali delle due ali si prolungano per formare e racchiudere un gran cortile.

                                                                 Descrizione: falansterio

JEAN-BAPTISTE GODIN; Il Familisterio di Guise: Fondato sul modello del Falansterio di Fourier. Un dei vantaggi del Familisterio è che può ospitare fino a millecinquecento persone. La luce e lo spazio sono le prime condizioni per la pulizia e l’igiene. Per questo, tutto nel Familisterio è abbondantemente illuminato così come tutto è largamente provvisto di aria e di acqua.

L’educazione e l’istruzione nel Familisterio sono divise in sette classi: la Nourricerie, le Pouponnat, le Bambinat, la piccola scuola, la seconda scuola, la prima scuola, i corsi superiori, l’apprendistato.

Tra le risorse piacevoli dell’insegnamento che il Familisterio offre ai bambini, bisogna includere i giardini; vengono iniziati alla coltivazione ed alla cura dei giardini.

 

Capitolo II – La preurbanistica culturalista

JOHN RUSKIN; Elogio della diversità: La società è una totalità organica in cui tutti gli aspetti sono collegati tra loro, e indissociabili.

La città non è una collezione di unità. Non importa possedere una quantità di bei monumenti pubblici se poi non si armonizzano con l’insieme delle case.

Bisogna essere a favore della diverità perché la monotonia non porta interesse. Tutte le opere d’arte degne di essere eseguite, sono, una volta compiute, interessanti e attraenti. L’architettura è un arte che tutti dovrebbero apprendere, poiché interessa a tutti.

La natura stessa disprezza tanto l’eguaglianza quanto la similitudine. E’ proprio a questo concetto di asimmetria che la natura deve tutta la sua grazia, tutto il suo fascino.

Il piano di riforme pensato dallo stesso Ruskin non si può definire né romantico né utopistico. Non è utopistico perché consiglia di riprendere una tradizione che è stata seguita per secoli. Non è romantico perché si limita a consigliare di abitare in una casa più bella di quella attuale, sostituendo un tipo di decorazione a buon mercato ad una costosa.

L’idea che la bellezza in architettura si paghi molto cara è sbagliata. E’ la bruttezza che è rovinosa. Nell’architettura moderna, la decorazione costa somme enormi perché essa è mal collocata e mal eseguita.

L’architettura si differenzia dalla pittura perché è un’arte di tipo cumulativo. La decorazione che orna la casa del vicino può solo aumentare l’effetto che può produrre solamente la stessa sulla propria abitazione.

L’architettura può acquistare un fascino. Ruskin crede che le abitudini nomadi siano, più di qualsiasi altra carratteristica, la causa profonda dei vizi della nostra architettura. Noi consideriamo le nostre case solamente come alloggi temporanei.

La saggezza è stata la fonte della grande architettura del passato in Italia e in Francia. L’interesse delle città più belle di questi paesi proviene non dalla ricchezza isolata dei loro palazzi, ma dalla squisita e gelosa decorazione delle abitazioni; abitazioni costruite per durare e per essere belle.

L’idea di edificare città destinate alle future nazioni non è mai stata veramente riconosciuta dai culturalisti come un obiettivo da conseguire. Ciò non significa, sostiene lo stesso Ruskin, che essa non rientri nei compiti di tutti.

WILLIAM MORRIS; La comunità: Al contrario di Ruskin, conservatore, Morris propone alle classi lavoratrici che per lui costituiscono le forze nuove e reali della società, l’ideologia culturalista e nostalgica. Per lui il capolavoro, è l’espressione di una cultura completa che ha un senso solo a condizione di appartenere in prorpio alla classe lavoratrice. Quest’ultima però è alienata nel lavoro degradante del sistema industriale; è necessaria la sua liberazione.

Lo stile architettonico all’epoca delle industrie non testimonia un progresso. L’ultima casa costruita, sostiene Morris, è sempre la più volgare, la più brutta.

Nel Medioevo solo le dimensioni, e, in alcuni casi, i materiali distinguevano gli edifici umili da quelli importanti. Ed è soltanto quando questo genere di bellezza si insedierà nuovamente nelle città, che avremo di nuovo una vera scuola di architettura.

L’arte del passato non era soltanto una lavoro superiore per qualità a quello attuale, ma di un’altra natura. E’ l’arte popolare, l’arte che deriva dalla cooperazione di numerose menti, temperamenti, telenti diversi, dove ciascuno subordina la propria attività a quella della comunità, senza perdere la propria individualità.

La formazione di grandi città ha portato ad un affollamento di persone in spazi per alloggi, ristretti e l’espulsione dei centri manufatturieri. Dai qui in poi i minerali vengono estratti e mandati dove è necessario senza lasciare sporcizia nel centro della città e senza disturbare la quiete della gente che ci vive.

Nelle piccole città poco è stato distrutto, anche se si è molto ricostruito. I sobborghi sono scomparsi e hanno assunto la fisionomia del paese, e il loro centro ha guadagnato spazio e maggior sistemazione.

I villaggi sono quasi distrutti tranne là dove sono diventati semplici appendici dei distretti manufatturieri.

Gli uomini invasero i villaggi della campagna, e, si buttarono sulla terra liberata; in brevissimo tempo i villaggi furono ripopolati e s’ingrandirono rapidamente. La città invase la campagna; ma gli invasori cedettero all’influenza del loro ambiente e diventarono contadini, e, a loro volta, influenzarono gli abitanti delle città; in modo che la differenza tra città e campagna andò attenuandosi.

L’architettura è le meravigliose costruzioni che l’uomo edifica nelle quali può mostrare quanto ha dentro di sé, ed esprime il proprio spirito e la propria anima nel lavoro manuale.

 

Capitolo III – La preurbanistica senza modello

FRIEDRICH ENGELS; In attesa della rivoluzione: Il problema delle grandi città è stato affrontato da Engels in due modi: da una parte, con un’analisi critica basata su un’inchiesta sociologica; dall’altra parte, con un attaccamento non più sulla situazione di fatto ma alle soluzione suggerite per porvi rimedio. Engels si schiera a favore di soluzioni provvisorie e pratiche: l’alloggio non è altro che un aspetto parziale di un problema globale da cui non può essere dissociato e che solo l’azione rivoluzionaria permette di risolvere. Engels dunque rifiuta i modelli dei socialisti utopisti il cui pensiero è da lui paragonato a quello dei capitalisti che sfruttano il proletariato. Non accoglie neppure il metodo generale dei modelli.

L’agglomerazione di uomini in città ha incrementato la forza produttiva di essi.

Ma è solo a seguito che si scopre quanti sacrifici sia costato tutto ciò. Sacrificare parte delle forze latenti delle città, rimaste inattive e soffocate affinchè alcune poche potessero svilupparsi più compiutamente e moltiplicarsi mediante l’unione con quelle di altri.

Ogni città ha uno o più “quartieri brutti”, nei quali si ammassa la classe operaia. Composti da lunghe file di costruzioni in mattoni a uno o due piani, possibilmente con cantine abitate, e quasi sempre disposte irregolarmente. Queste casette di tre o quattro stanze con cucina sono chiamate cottages.

Per porre fine a questa crisi dell’alloggio, esiste un unico mezzo: eliminare puramente e semplicemente lo sfruttamento e l’oppressione della classe lavoratrice da parte di quella dominante. Quello che oggi si intende con crisi dell’alloggio, è il particolare aggravarsi delle cattive condizioni in cui abitano i lavoratori in seguito al brusco afflusso della popolazione verso le grandi città; è quindi un enorme aumento nei fitti.

La risposta per risolvere il problema dell’alloggio non sta tanto nello stabilire gradualmente un equilibrio economico tra l’offerta e la domanda, quanto nella soppressione dell’opposizione tra città e campagna. Non bisogna costruire dei sistemi utopistici per organizzare la società futura.

La questione delle abitazioni potrà essere risolta soltanto in seguito a rivolgimenti sociali di portata tale da permettere di affrontare l’eliminazione dell’antitesi fra città e campagna, che è stata portata al suo culmine dalla società capitalistica. Owen e Fourier avevano visto correttamente la questione: nei loro modelli l’antitesi fra città e campagna non esisteva più; non è che la soluzione della questione delle abitazioni porti con sé la soluzione della questione sociale, ma al contrario soltanto la soluzione della questione sociale, cioè l’abolizione del modo di produzione capitalistico, renderà possibile la soluzione della questione degli alloggi.

KARL MARX; La città come degradazione: Lo stesso bisogno dell’aria aperta cessa di essere un bisogno nell’operaio; l’uomo ritorna ad abitare nelle caverne, la cui aria però è ormai viziata, e a cui possono essere sottratte ogni giorno se non paga. La casa luminosa non esiste più per l’operaio. La luce, l’aria ecc., la più elementare pulizia, di cui anche gli animali godono, cessa di essere un bisogno dell’uomo. La sporcizia diventa per l’operaio un elemento vitale.

Marx descrive la situazione di Londra così: la città è un concentramento di alloggi sovraffollati e inadatti all’uomo. A Londra vi sono una ventina di colonie, ognuna composta da migliaia di persone, la cui miseria supera quella dell’intero paese, e questa situazione è quasi esclusivamente il risultato della cattiva sistemazione degli alloggi; il grado di affollamento e rovina delle case è di gran lunga peggiore di quello che era negli anni precedenti. Anche la parte della classe operaia che sta meglio, insieme ai piccoli bottegai e ad altri elementi della piccola classe media viene colpita sempre più dalle indegne condizioni dell’alloggio.

Quando gli operai vengono cacciati sulla strada dalla distruzione delle loro vecchie case, cercano di trovare casa il più vicino possibile ai luoghi di lavoro. Conseguenza; invece che a due stanze, tocca a una sola stanza accogliere la famiglia.

Il risultato di questo cambiamento è stato non soltanto un aumento enorme della popolazione urbana, ma le vecchie cittadine sovraffollate sono ora centri circondati da tutti i lati da costruzioni in cui l’aria non entra neanche in un punto.

  

Capitolo IV – L’urbanistica progressista

TONY GARNIER; Una città industriale: Une cité industrielle ha per principi conduttori l’analisi e la separazione delle funzioni urbane, l’esaltazione degli spazi verdi che svolgono il ruolo di elementi isolanti, l’utilizzazione sistematica di nuovi materiali, in particolare il cemento armato.

Città industriale perché la maggior parte delle nuove città che verranno fondate da ora in poi dovranno questa loro fondazione a ragioni di ordine industriale. La ragione determinante dell’assetto di una tale città può essere la prossimità delle materie prime, oppure l’esistenza di una forza naturale suscettibile di essere utilizzata per il lavoro. La fabbrica principale è situata nella pianura, di fronte al torrente e al fiume. Una ferrovia passa tra la fabbrica e la città, essendo questa situata molto più in alto, su di un altopiano. Ancora più in alto sono situati gli edifici sanitari. Ciascuno di questi principali elementi è isolato in modo da rendere possibile l’estensione in caso di necessità.

Nell’abitazione, le camere da letto devono avere almeno una finestra a sud, abbastanza grande per dare luce in tutta la stanza. I cortili, che servono per dare luce e arieggiare, sono proibiti. Qualsiasi spazio deve essere ventilato dall’esterno. Nell’interno delle case, i muri, i pavimenti, ecc. sono in un materiale liscio e hanno spigoli arrotondati. Queste disposizioni valgono per gli edifici pubblici. Il terreno edificabile nei quartieri d’abitazione viene diviso in isolati con sempre un lato sulla strada. Una tale divisione permette una maggiore utilizzazione del terreno, la superficie costruita deve sempre essere inferiore alla metà della totale, formando il resto del lotto un giardino pubblico. Il suolo della città è come un grande parco senza alcun muro di cinta per limitare i terreni. Lo spazio tra due abitazioni è come minimo almeno uguale all’altezza della costruzione situata a sud. La città comprende una rete di strade parallele e perpendicolari.

Nel centro dell’agglomerazione è riservato un ampio spazio per la distribuzione degli stabilimenti pubblici: servizi amministrativi e sale per assemblee; collezioni; edifici sportivi e per gli spettacoli. Per tutti gli stabilimenti pubblici, la costruzione è quasi interamente in cemento armato e vetro.

In alcuni punti della città si trovano le scuole elementari e medie. Una strada speciale, lavorata come un giardino, separa le classi dei piccoli da quelle dei grandi e serve da luogo ricreativo. Nelle vicinanze ci sono le abitazioni dei direttori e dei sorveglianti. All’estremità della città ci sono le scuole superiori; l’insegnamento che vi viene impartito risponde ai bisogni di una città industriale, dedicati all’amministrazione e al commercio.

Il quartiere della stazione è riservato soprattutto alle abitazioni comuni in modo che il resto della città venga liberato dalle costruzioni alte.

Se la nostra struttura resta semplice, senza ornamenti, è possibile poi disporre delle arti decorative sotto tutte le forme.

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WALTER GROPIUS; Il ruolo dell’industria: La forma di una nuova costruzione deriva dall’essenza stessa dell’edificio e dalla funzione cui esso deve adempiere. La ricerca dell’essenza si situa sulla frontiera comune della meccanica, della statica, dell’ottica, dell’acustica e delle leggi della proporzione. Un vero adeguamento dell’architettura allo spazio e ai nuovi materiali, alle risorse dell’industria e dell’economia, determina l’aspetto di tutti i complessi di una costruzione moderna.

La standarizzazione non costituisce un freno allo sviluppo della civiltà, ne è una delle condizioni immediate. Le grandi epoche della storia permettono di verificare che l’esistenza di standards è il criterio di ogni società civilizzata e ben ordinata.

L’unificazione delle componenti architettoniche dovrebbe contribuire a dare alle nostre città quella omogeneità salutare che è il marchio di una cultura urbana superiore. Una prudente limitazione ad alcuni tipi standard di edifici aumenta la loro qualità.

Il problema che più preoccupa Gropius è dovuto alle dimensioni minime dell’alloggio per le classi economicamente sfavorite: determinare la struttura necessaria per l’alloggio, concependolo come un’unità economica completa. E al di là di questi problemi sorge quello della forma da dare all’intera città, concepita come un organismo pianificato.

L’opinione resta sul tipo di alloggio ideale per la maggioranza della popolazione: case individuali con giardini; edifici con appartamenti di altezza media; o edifici dagli otto ai dodici piani.

Partendo da una distinzione delle costruzioni tra orizzontali e verticali, Gropius sostiene che le prime debbano essere limitate alle zone suburbane con debole intensità demografica, mentre le seconde ai centri urbani molto popolati. I palazzi di altezza intermedia non presentano i vantaggi di nessuno dei due tipi. Se la città deve essere ridotta alla superficie minima, per conservare distanze minime tra i diversi centri d’affari, una sola soluzione razionale permette di assicurare più aria e più luce, e di aumentare lo spazio vitale: la moltiplicazione dei livelli.

I progressi della tecnica trapiantano la civiltà urbana in campagna, e reciprocamente, reintroducono la natura nel cuore della città.

La decongestione delle città sarà assicurata con il trasferimento di coloro che non vi hanno un impiego permanente. Queste popolazioni verranno ridistribuite in nuove “città urbane”.

L’antica città potrà cessare di essere un’unità di amministrazione locale autonoma; essa diventerà parte di un nuovo sistema amministrativo nel quale l’ “unità urbana” rappresenta l’elemento ultimo.

CHARLES-EDOUARD JEANNERET detto LE CORBUSIER; L’urbanista re: Per Le Corbusier, architettura e urbanistica sono indissociabili; una nuova architettura, che utilizzi le nuove tecniche di costruzione e la nuova visione dello spazio, ha senso solo integrata in una città moderna.

Nella grande città è stato soffocato il senso della geometria che l’animava. Sono diventate troppo dense per la sicurezza degli abitanti, e tuttavia non lo sono abbastanza per rispondere al fatto nuovo degli affari. Le condizioni di natura sono state abolite. La moderna città industriale è concentrica-radiale. La rivoluzione architettonica, segnata con l’impiego del vetro, dell’acciaio e del cemento armato, ha permesso le necessarie soluzioni affinchè si compi la legge naturale.

Ricercare la scala umana, la funzione umana, significa definire i bisogni umani. Questi bisogni sono bisogni-tipo; abbiamo tutti bisogno di completare le nostre capacità naturali con elementi che le rafforzino. Stabilire uno standard significa sondare tutte le possibilità pratiche e attuabili, dedurre un tipo che sia riconosciuto conforme alle funzioni, con un rendimento massimo, un impiego ridotto al minimo. Se si curano le sezioni, è per cercare di ottenere funzioni perfette. Lo spirito perfezionalista risplende dove regna la perfezione geometrica.

La vita di una città moderna è tutta impostata, praticamente, sulla linea retta. La curva è faticosa, pericolosa. L’angolo retto è predominante. L’attitudine ortogonale della pianta del cemento armato è divenuta evidente, in uno spirito di purezza e regolarità geometrica. I nuovi piani, assicurando una buona circolazione, una sana distribuzione, la classificazione e l’ordine, facendo dell’insieme di un edificio una vera e propria biologia, danno il sentimento dell’efficienza. L’urbanista non è altro che l’architetto. Sul piano dell’attività creativa, l’architetto e l’urbanista si equivalgono.

La natura è stata di nuovo presa in considerazione. La città è un grande parco. L’agglomerazione urbana è considerata come una città verde. Gli edifici sono situati nella città, dietro la trina di alberi. Gli alloggi raggruppati in altezza e concentrati, pur assicurando una forte densità residenziale, occupano solo una piccola parte del suolo. Una città del tipo “città radiosa”, costituita da unità di abitazione, coprirebbe soltanto venticinque ettari, mentre una città tipo città-giardino ne esigerebbe duecento. Il verde copre l’intera città mentre le torri sono allineate in imponenti viali.

Lo scopo è quello di arrivare a formulare i principi base per un’urbanistica moderna. Il terreno piano è il terreno ideale. Il fiume scorre lontano dalla città. Bisogna stabilire un organo denso, scorrevole, concentrato: il centro; e un altro organo semplice, esteso, elastico: la città-giardino. Indispensabile la presenza di una zona di protezione ed espansione, zona vincolata, a boschi e prati. La nuova città deve aumentare di densità aumentando in misura adeguata le aree verdi. Bisogna costruire il centro città sviluppandolo in altezza. La strada moderna è un organismo nuovo, una specie di fabbrica sviluppata in lunghezza, magazzino aerato dove si raccolgono molti organi complessi e delicati. La stazione è una sola. Si trova nel centro della città ed è un edificio sotterraneo.

  

Capitolo V – L’urbanistica culturalista

CAMILLO SITTE; La lezione della storia: Una città deve essere costruita in modo da dare agli uomini sicurezza e felicità. Perché tutto ciò si consegua occorre che il costruire le città non sia soltanto una questione tecnica, ma sia anche e specialmente un problema d’arte. Oggi le piazze, raramente destinate a grandi feste collettive e sempre meno alla vita quotidiana, servono principalmente a procurare più luce e più aria, a rompere il monotono oceano delle case, a porre talvolta in valore un importante edificio in un’architettonica cornice.

Alla regola dell’antichità classica, di porre i monumenti ai lati delle piazze, segue l’analoga regola medievale di collocare i monumenti nei punti morti della circolazione. Si deve evitare di porre i monumenti sull’asse di edifici o di porte riccamente decorate perché nasconderebbero all’occhio architetture considerevoli. La norma testè ricordata degli spazi liberi nel centro delle piazze, non riguarda però soltanto i monumenti, ma vale anche per gli edifici. L’edificio isolato è fra tutte le disposizioni la più sfavorevole, perché costringe a completare architettonicamente con grande spesa le lunghe facciate tutt’intorno.

Uno spazio libero nell’interno di una città deve principalmente il suo nome di piazza al fatto d’essere ben delimitato e chiuso e individuato. Oggi invece viene liberamente chiamato piazza anche l’isolato vuoto che sia attorniato da quattro strade e sul quale si rinunci a costruire. Oggi è diventata regola corrente far convergere a ogni angolo di piazza due strade che vi si tagliano perpendicolarmente; il che porta come conseguenza che l’apertura verso la piazza viene allargata e l’effetto d’insieme viene fortemente alterato, se non addirittura distrutto.

Le irregolarità, anziché apparire sgradevoli, muovono per contro il nostro interesse quanto più si avvicinano alla naturalezza.

Più cresce una città più le sue strade e le sue piazze debbono ingrandirsi in tutti i sensi e i suoi edifici elevarsi ed estendersi. L’urbanista quanto l’architetto debbono conformare i loro piani alla scala delle grandi città di parecchi milioni d’abitanti. Il prezzo elevato dei terreni spinge i costruttori alla loro massima utilizzazione possibile. La moderna urbanistica ha raggiunto conquiste grandiose nel campo dell’igiene al confronto di quella antica. E’ proprio nelle realizzazioni urbanistiche che l’arte assume pienamente una funzione di primo piano.

La banalità dei nostri quartieri moderni porta a molte conseguenze importanti: l’uomo non prova alcun godimento a viverci, non vi si adatta e non vi acquista alcun attaccamento domestico. Le nostre case dovrebbero attorniare spazi verdi, situati a uguali distanze gli uni dagli altri e il più possibile appartati dalle vie movimentate e rumorose. Se i giardini debbono essere disseminati, gli edifici, al contrario, debbono essere raggruppati. Qualora siano necessarie più piazze converrà accostarle piuttosto che sparpagliarle.

EBENEZER HOWARD; La città-giardino inglese: Nuova utopia, in cui veniva esposta la teoria della garden-city, e che sarebbe dovuta diventare realtà. In Howard si avverte una certa risonanza progressista. Tuttavia, la cura del progresso è sempre stata subordinata all’ideale di piccole comunità limitate nello spazio e dotate di uno spirito comunitario.

Si può considerare la città e la campagna come due calamite, ciascuna protesa ad attrarre gli uomini verso se stessa. La calamità città offre, in confronto alla calamita campagna, i vantaggi dei salari più alti, delle occasioni di impiego, di attraenti prospettive di avanzamento, ma questi sono ampiamente sbilanciati da canoni e prezzi elevati. In campagna si godono meravigliosi panorami, parchi sontuosi, boschi ombrosi, aria pura ed acque mormoranti. I canoni sono certamente bassi, ma questi canoni esigui sono la naturale conseguenza dei bassi salari agricoli piuttosto che un motivo di sostanziale benessere. Ma né la città né la campagna interpretano a pieno i disegni ed i fini della natura. La società umana e le bellezze della natura sono fatte per essere godute insieme.

Il modello consiste in sei magnifici corsi che attraversano radialmente la città, dividendola in sei parti uguali. Al centro resta uno spazio circolare sistemato come un irrigato giardino; ed intorno a questo giardino sorgono i principali edifici pubblici. Tutt’intorno al Parco Centrale si sviluppa una larga galleria di vetro, chiamata il “Palazzo di Cristallo”. Sul quinto viale si affacciano, con fronte verso il Palazzo di Cristallo, una serie di case di ottima fattura, ciascuna eretta su un proprio ampio terreno; le case sono per lo più costruite in anelli concentrici, lungo i viali che convergono tutti verso il centro città. Il “Grande Viale” crea una cintura verde lunga più di cinque chilometri, che divide la parte della città, esterna al Parco Centrale, in due fasce anulari. In realtà esso costituisce un parco complementare. In questo speldido viale vi sono le scuole pubbliche, i giardini, i campi di gioco e le chiese. Sull’anello esterno della città sorgono fabbriche, depositi merci, caseifici, ecc., tutti prospicienti la linea ferroviaria circolare. Tutte le macchine sono azionate elettricamente.

La garden-city è la sola proprietaria del terreno.

La città si svilupperà edificando un’altra città a qualche distanza, al di là della sua zona dei giardini o della campagna, in modo tale che la nuova città possa possedere una sola propria e differente zona dei giardini o della campagna. Queste altre città saranno raggruppate attorno ad un’unica città centrale; e una linea intercomunicipale le collegherà tutte.

                                                               Descrizione: gardencity

   

Capitolo VI – L’urbanistica naturalista

FRANK LLOYD WRIGHT; Broadacre: Ha una concezione del piano libero, legato non a una indifferenziazione dello spazio interno, ma al contrario, alla sua particolarizzazione. Questo è il concetto di spazio organico che comprende l’organicità dello spazio, l’importanza dei muri e delle superfici piene, il ruolo dei materiali grezzi naturali, il rifiuto di qualsiasi genere di tipologia a favore di una grande diversità, l’inserimento nel paesaggio. A questa architettura corrisponde una teoria dell’insediamento umano che è una specie di antiurbanistica: è l’utopia di Broadacre.

L’ideale della natura costituisce il nocciolo dell’architettura organica. Con la risorsa dell’architettura organica, l’uomo è un elemento nobile, degno del proprio ambiente, elemento integrale non meno degli alberi, i corsi d’acqua o le colline. Se l’architettura organica deve servire all’architettura dell’umanità, si deve avere a disposizione un’area spaziosa e che sia considerata elemento di intrinseco valore.

Broadacre City è basata sullo spazio minimo di un acro per individuo, perché quando la democrazia edifica, questa è la naturale città della libertà nello spazio, del riflesso umano.

I caratteri architettonici di qualsiasi pianta democratica del terreno per la libertà umana sorgono naturalmente per, e dalla, topografia. Broadacre sarebbe in tal modo veramente costruita in armonia alla natura onnipresente.

Non ci saranno due tipi di case o due tipi di giardini, nessuna delle fattorie sarà uguale, né complessi agricoli che ricordano le fabbriche, e neppure due mercati che si assomigliamano tra loro.

Gli edifici alti non sono esclusi, ma sarebbero isolati in piccole zone verdi particolari, situati nella campagna.

Qualsiasi edificio può andare all’interno e l’interno andare all’esterno quando ciascuno è considerato come parte dell’altro ed una parte del paesaggio.

La casa campagna ha qualità non meno del maniero, della fabbrica o della fattoria. Il povero, su una base di eguaglianza, è ora fornito quanto il ricco della stessa qualità.

Gli uffici delle molte categorie e qualità di professionisti dovrebbero venir costruiti specificamente per il loro lavoro e trovarsi in genere collegati al luogo dove sorgono le loro dimore.

Qualsiasi centro culturale chiamato scuola nella città universale deve essere situato in un parco naturale nel posto più bello dell’intera regione. Gli edifici stessi dovrebbero essere progettati in maniera che il piccolo possa venir ancora suddiviso in corpi minori. Edifici costruiti in metallo e in vetro o in altri materiali del luogo.

                                                            Descrizione: 19fel3zabkhbyjpg

   

Capitolo VII – Tecnotopia

IANNIS XENAKIS; La città cosmica: La città vi è oggettivata in un modello purissimo: il realismo e la conoscenza tecnologica sono subordinate ad una visione utopista.

La storia contemporanea crea concentrazioni urbane, aumenta la densità e la dimensione delle città. I grandi centri favoriscono le espansioni e i progressi di ogni genere. Al contrario, il decentramento porta a una dispersione dei centri, all’aumento della lunghezza delle vie e della durata degli scambi, all’estrema specializzazione delle collettività, e a uno stato di caos socio-culturale.

L’ortogonalità ha già dimostrato di essere impotente di fronte ai problemi più semplici, quali la costruzione di nuove città. E’ in effetti impossibile nello stato attuale di formazione di urbanisti e architetti che gli individui possano risolvere i problemi della nascita, della costruzione e dello sviluppo di una città. Questa carenza fa sì che le soluzioni urbanistiche sulla carta non siano altro che povere combinazioni di linee rette e di rettangoli, sistemati con spazi incongruamente curvi. Sotto la tirannia di queste due linee di forza, una reale, l’altra mentale, si decentra quindi creando città satelliti, città standardizzate o città specializzate fornite di un’architettura cubica assurda.

La “città cosmica verticale”:

Necessità assoluta di ricercare le grandi concentrazioni della popolazione;

Una notevole concentrazione e l’enorme sforzo tecnico che essa comporta, implicando un’indipendenza totale rispetto alla superficie del suolo e del paesaggio. Questo porta alla concezione della città verticale;

La forma che verrà data alla città dovrà eliminare, nella sua struttura, gli sforzi antieconomici;

La luce dovrà penetrare ovunque, e la vista degli spazi e sugli spazi dovrà essere diretta;

Poiché la città sarà verticale, la sua occupazione del suolo risulterà minima. La liberazione del suolo e lo sviluppo tecnico di una tale città porteranno al recupero di vari spazi;

La ripartizione delle collettività dovrà costituire un miscuglio statisticamente perfetto;

L’archiettura interna della città cosmica dovrà orientarsi verso la concezione di locali intercambiabili. L’architettura mobile sarà dunque la caratteristica fondamentale della città;

Poiché questa città sarà strutturata dalla tecnica universale, sarà adatta ad alloggiare le popolazioni di qualsisi clima;

La comunicazione sarà ottenuta secondo coordinate di grandi velocità;

Le comunicazioni con trasporto di materiale dovranno essere assicurate da nuove tecniche. Dunque, soppressione di ogni mezzo di locomozione individuale su ruote;

I trasporti aerei saranno favoriti da piste in cima alle città;

La grande altezza della città, oltre alla densità molto elevata, avrà il vantaggio di superare le nuvole e di mettere le popolazioni in contatto con i vasti spazi del cielo e delle stelle;

La trasformazione delle scorie industriali e domestiche in circuito chiuso assumerà grande importanza;

La città cosmica non teme le devastazioni della guerra, perché sulla terra sarà stato raggiunto il disarmo.

La forma e la struttura della città saranno un guscio vuoto con doppia parete a maglia.

 

Capitolo VIII – Antropopoli

KEVIN LYNCH; Struttura della percezione urbana: Si è concentrato essenzialmente sull’idea della coscienza che percepisce. Limitandosi volontaraimente al campo visuale, ha studiato le basi della percezione specifica della città.

Come un’architettura, una città è una costruzione nello spazio, ma di scala enorme, un artefatto che è possibile percepire soltanto nel corsi di lunghi periodi di tempo. Il disegno urbano è quindi un’arte temporale.

La leggibilità del paesaggio urbano è la facilità con cui le sue parti possono venir riconosciute e possono venir organizzate in un sistema coerente.

Nel processo di individuazione del percorso, il legame strategico è rappresentato dall’immagine ambientale. Quest’immagine è il prodotto sia della sensazione immediata, che della memoria di esperienze passate.

Un ambiente distintivo e leggibile, non solo offre sicurezza emotiva, ma amplia la profondità e l’intensità possibili all’esperienza umana.

Un’immagine ambientale può venir analizzata in tre componenti: identità, struttura e significato. Esse in realtà compaiono sempre assieme.

La figurabilità, cioè la qualità che conferisce ad un oggetto fisico una elevata probabilità di evocare in ogni osservatore un’immagine vigorosa, potrebbe venir denominata leggibilità o visibilità in un significato più ampio. Elevare la figurabilità dell’ambiente urbano significa facilitare la sua identificazione visiva e la sua strutturazione.

I percorsi costituiscono gli elementi preminenti dell’immagine delle persone. La gente osserva la città mentre si muove lungo di essi, e gli altri elementi ambientali sono disposti e relazionati lungo questi percorsi.

I margini benchè probabilmente meno dominanti dei percorsi, per molti costituiscono importanti caratteristiche nell’organizzazione.

I quartieri sono zone della città in cui l’osservatore entra mentalmente e sono riconoscibili in quanto in essi è diffusa qualche caratteristica individuante.

I nodi sono i punti, luoghi strategici in una città, nei quali un osservatore può entrare, e che sono i fuochi intensivi verso i quali e dai quali egli si muove.

I riferimenti sono frequentemente usati come indizi di identità e persino di struttura, e sembrano offrire affidamento crescente, mano a mano che un itinerario diviene più familiare.

Questi elementi sono semplicemente le materie prime dell’immagine ambientale a scala di città.

Il designer deve pertanto creare una città che sia quanto più possibile riccamente dotata di percorsi, margini, quartieri, nodi e riferimenti, una città che utilizzi non soltanto una qualità formale o due, ma tutte.

L’obiettivo finale di un simile piano non è la forma fisica in se stessa, ma la qualità di un’immagine mentale.

   

Capitolo IX – Filosofia della città

VICTOR HUGO; La città è un libro:  L’architettura è il gran libro dell’umanità, la principale espressione dell’uomo nei suoi diversi stati di sviluppo. Essa cominciò come qualunque altra scrittura. Fu dapprima alfabeto. Si rizzava una pietra, ed era una lettera, ed ogni lettera era un geroglifico. Più tardi, si fecero parole. Si sovrappose la pietra alla pietra, si accoppiarono quelle sillabe di granito. Finalmente si fecero i libri. Le tradizioni avevano generato dei simboli; tutti questi simboli andavano cresendo, moltiplicandosi, incrociandosi, complicandosi sempre più. Il simbolo aveva bisogno di espandersi nell’edificio. Allora l’architettura si sviluppò di pari passo col pensiero umano; il pilastro che è una lettera, l’arcata che è una sillaba, la piramide che è una parola, messi in moto contemporaneamente da una legge geometrica e da una legge poetica, si raggruppavano, si combinavano, si sovrapponevano sul suolo, si innalzavano a piani nel cielo, fino a che non avessero scritto quei libri meravigliosi che erano anche meravigliosi edifici.

Il pensiero era libero soltanto in questo modo, e per questo si poteva scrivere per esteso soltanto su quei libri chiamati edifici.

Nel secolo XV tutto cambia. Il pensiero umano scopre un mezzo per perpetuarsi, che sia non soltanto più duraturo dell’architettura ma anche più elementare e più facile.

L’invenzione della stampa è il più grande avvenimento della storia. L’architettura si disseca a poco a poco, si atrofizza e si denuda.

Tuttavia, dal momento in cui l’architettura è ormai solo un’arte come un’altra, da quando essa non è più l’arte totale, non ha più la forza di trattenere le altre arti. L’isolamento ingrandisce tutto. La scultura diventa statuaria, l’iconografia diventa pittura, il canone diventa musica.

L’archiettura è morta, uccisa dal libro stampato, uccisa perché dura di meno, uccisa perché costa di più.