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Descrizione: casamiller_stanza_190

autore

PIERLUIGI CERRI, GIANNI OTTOLINI

 

titolo

LA STANZA

 

editore

SILVANAEDITORIALE

 

luogo

MILANO

 

anno

2010

 

 

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

 

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

 Descrizione: casamiller_stanza_190

 

Casamiller è una collana di studi sulla cultura degli interni. La collana riguarda l’abitare nei suoi diversi aspetti e si vale, a ogni numero, di contributi originali di ricerca teorica, storica, critica e progettuale.

In questo primo numero il tema è quello della stanza, il quale non è visto solo come questione di storia e di critica, ma anche di progetto. Viene evidenziato anche il contributo importante che giunge dalle arti visive contemporanee, oltre che dalla sensibilità dei singoli progettisti.

 

  

Giudizio Complessivo: 8 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Giulia Godio

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3 a.a.2014/2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Descrizione: Pierluigi Cerri ritratto di Filippo Fortis

Pierluigi Cerri

Autori: Pierluigi Cerri e Gianni Ottolini

Pierluigi Cerri ( nato nel 1939 a Orta San Giulio) si laurea al Politecnico di Milano, nel 1974 è tra i fondatori e associati dello studio Gregotti e Associati con il quale ha vinto molti concorsi di Architettura, tra cui il Centro Culturale di Bélem a Lisbona, la trasformazione dell’area Pirelli alla Bicocca di Milano, la sistemazione dell’area per l’esposizione universale a Siviglia. Nel 1998 esce dallo studio Gregotti e fonda lo studio Cerri&Associati, con Alessandro Colombo: tra le realizzazioni più significatice dello studio vediamo la riqualificazione del quartiere Fiera a Bologna, la nuova Fondazione Arnaldo Pomodoro a Milano, i punti vendita Trussardi a Firenze, Bologna, Roma, Parigi. Ha collaborato anche alla definizione grafica di alcune riviste e collane editoriali, tra cui Casabella. Si è occupato anche di diversi allestimenti per numerose esposizioni, alla Triennale di Milano,  al Lingotto di Torino, al centro Georges Pompidou a Parigi, al Museo della Scienza di Londra.

 

Gianni Ottolini ( nato nel 1943, originario di un isola del lago Maggiore), si è laureato in Architettura al Politecnico di Milano, dove insegna come professore ordinario di Architettura degli Interni e Allestimento presso la facoltà di Architettura Civile. Dal 1996 al 2003 è stato direttore del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura. Nel 1994 ha vinto il Silver Prize al Concorso Internazionale di Design di Nagaoka in Giappone, con il progetto di “Una casa in una stanza” per la persona anziana. Negli anni Novanta ha curato, presso il Salone Internazionale del Mobile di Milano, due grandi mostre di modelli di architettura di interni, dal titolo “Civiltà dell’Abitare”.

 

 

Descrizione: ottolini1

Gianni Ottolini

 

Contenuto

Il libro è organizzato per capitoli scritti da diversi autori, ogni capitolo si occupa della particolare visione dell’elemento stanza, a partire dalla sua concezione nel passato fino ad oggi.

La stanza viene analizzata anche attraverso gli elementi che la compongono, finestre, arredo, diversità dei materiali, ma anche attraverso una concezione diversa della sua classica funzione:

Stanza isolata, stanza chiusa, stanza aperta, stanza finta (realizzata in teatro o per il cinema)…

 

CAPITOLI

Capitolo 0 – La stanza proiezione simbolica di chi la abita

La stanza è un’unità elementare, ma completa dell’architettura. Una stanza accoglie i gesti attivi e il riposo della persona. È fatta per ricevere la preziosità della persona umana, nelle situazoni di necessità una stanza equivale a una casa.

L’architetura moderna, con la sua ideà di continuità fra interno ed esterno e di fluidità degli spazi, è stata dirompente dell’idea e dell’assetto delle stanze come entità autonome.

  

Capitolo I – Stanza con finestra

Francesco Venezia fa una riflessione sull’elemento finestra: essa prendendo il ruolo della porta, rende la stanza inaccessibile. Attraverso la finestra ci si può solo affacciare all’interno della stanza, si è in un mondo rovesciato.

La rifllessione nasce da un errore di percorso all’interno del palazzo ducale a Sabbioneta: la porta rimane nascosta e una finestra si apre su una sala inquadrando l’affesco sulla parete opposta che appare vicinissimo e irraggiungibile.

Lo stesso gioco si può notare  in un disegno di De Chirico, dove degli spettatori osservano il combattimento dei gladiatori attraverso una finestra che si apre in una stanza inaccessibile.

Esattamente come accade in una stanza di Villa Imperiale di Oplonti, la vegetazione è inquadrata da una finestra, ma questa è dipinta su un muro. Giardino segreto vicinissimo e lontanissimo.

 

Louis Kahn fece una riflessione riguardo al Pantheon: “questo ambiente non direzionato, riceve la luce unicamente dall’occhio sovrastante, la porta d’ingresso è l’unico neo. Così potente è stata la realizzazione  di uno spazio efficace, che ancora oggi quell’ambiente chiede di essere restituito alla sua libertà originaria”.

Kahn pone due questioni di estrema importanza nell’architettura:

-la prima è che bisogna darsi pena di lasciare a un elemento che caratterizza al massimo grado una stanza la sua sovranità assoluta, la sua solitudine. Il Pantheon non sopporta che il foro del grande occhio superiore sia insidiato dalla direzionalità dell’accesso.

-la seconda è che il mistero muove sovente dall’esclusione dei rapporti convenzionali tra le cose, da una sorta di “libertà originaria”.

 

A Gibellina la finestra solitaria nel grande muro del museo assume un duplice ruolo:

-cattura lo sguardo verso l’interno della stanza a cielo aperto della corte

-dirige lo sguardo, per via del gioco di apeture contrapposte, sull’esterno del paesaggio al di là della duplice galleria che mura la corte verso l’oriente

 

Dalla semplicità dei mezzi scaturisce ricchezza architetonica.

 

(scritto da Francesco Venezia)

  

Capitolo II- L’ intimità della stanza, fra Medioevo e Rinascimento

Nel medioevo non si concepiva la stanza individuale. La notte era popolata di pericoli veri o sognati, era dunque meglio dormire tutti insieme.

Nell’affresco di Giotto ad Assisi che rappresenta il sogno di Onorio III, un cubicularius assiste al sonno del Papa, pronto a soccorrerlo per qualsiasi emergenza. Lo stesso accade in un affresco di Piero della Francesca, qui il protaginista è Costantino, mentre dorme in una tenda in attessa di una battaglia, viene sorvegliato.

 

Nei musei dell’area alpina e dell’europa settentrionale sono spesso raccolte le Stuben, stanze realizzate in legno. L’utilizzo di questo materiale ha anche una funzione di isolamento termico. Letti di piccole dimensioni e il baldacchino erano ottime soluzioni per proteggersi dal feddo.

Il baldacchino diventa motivo centrale in molti dipinti fiamminghi, anche nel Ritratto dei coniugi Arnolfini è presente questo elemento.

Nell’annunciazione di Robert Campin, la stanza di Maria si trova al pian terreno e ha un accesso dal giardino murato. Al centro si trova un tavolo tondo, in una nicchia il lavabo, la lunga cassapanca è posta davanti al camino e sono presenti tre finestre, nulla nella composizione è lasciato al caso, ogni particolare allude alla purezza di Maria. Spicca l’essenzialità del mobilio, tipico nei dipinti fiamminghi, benche si tratti di articoli di lusso.

La semplicità della stanza di Maria nelle Annunciazioni dell’Angelico è estrema e raggiunge la nudità di una cella.

La cella è il più alto desiderio di privatezza. La cella singola fu utilizzata da molti ordini che nel medioevo vollero ristabilire forme addolcite di vita eremitica (Camaldolesi, Vallombrosiani, Certosini e in seguito anche i Benedettini).

 

L’affresco di Masolino in San Clemente a Roma ci insegna qualcosa: nella storia della morte di Sant’Ambrogio, il pittore distingue nettamente lo spazio in rapporto alle funzioni, la camera da letto è messa in comunicazione con lo studio attravrso una stretta porta, le stanze appaiono così separate. Masolino ha rappresentato una stanza interamente vuota e l’ha messa in comunicazione con un appartamento. È la prima volta che l’architettura da sola, la stanza vuota, diventa soggetto di pittura.

 

(scritto da Carlo Bertelli)

  

Capitolo III – Membrane di vetro. La stanza come organo

Dolf Sternberger, con l’intenzione di produrre un saggio sull’Art Nouveau, pubblicò un’interessante analisi: ”ogni casa appare quindi come un organismo che esprime i propri interni attraverso gli esterni. Se la città è un giardino pieno di case –organismo in libera crescita, non è ben chiaro il luogo occupato dall’uomo in tal visione, a meno che lo immaginiamo intrappolato in questa vita vegetale, a sua volta piantato nel suolo”. Walter Benjamin criticherà questa interpretazione trovando troppo semplicistica l’opposizione tra l’interieur floreale e l’ambiente industriale.

Secondo Benjamin l’ambiente Jugendstil offriva un’alternativa alla mercificazione di una società capitalistica: in quanto elemento delle pareti, l’oggetto non può muoversi, sfuggendo così al proprio status di merce.

 

Lo stile Liberty , l’Art Nouveau e lo Jugendstil, proponevano tutti la figura della donna al centro dell’arredamento della casa, idealizzata come fonte di nutrimento, l’artista la oggettivava per mezzo dell’analogia tra le forme del corpo femminile e le onde dei capelli.

Il disagio verso questa pan-femminilizzazione degli interni era stato espresso da diversi scrittori.

Nella casa moderna, tuttavia, la donna era destinata a essere “casalinga”, allontanadosi molto dalle visioni floride che si erano avute in precedenza, ma accostandosi invece al modello idealizzato della coppia impossibile, che viveva in una contiguità senza contatto e in comune silenzio. Benjamin discutendo sempre l’articolo di Sternberger dice: “la coppia viene avvolta all’interno della gelida musica di una casa di cristallo, dove il velo di silenzio diventa l’ornamento dell’anima e la coltre della loro intimità”. La spinta verso la trasparenza veniva espressa in popolari riviste, un esempio è House Beautiful del 1903, nella quale si illustrava l’espressione: vivere in una casa di vetro, attraverso una raffigurazione di una casa in vetro immaginata da un olandese. La trasparenza della casa moderna, che sarebbe stata invocata dagli architetti, rivelava una moderna geometria della coniugalità, fatta di prossimità senza unione. Un amore coniugale separato ma racchiuso da una membrana protettiva fatta di metallo e vetro.

Il campo d’azione dell’architettura consisterà nel provvedere allo stesso tempo, sia alla separazione che alla penetrabilità, giungendo così al concetto di membrana.

 

(scritto da Georges Teyssot)

   

Capitolo IV- La dissoluzione della stanza nella modernità

Il palazzo nobiliare dell’Ancient Régime era caratterizzato da una sequenza di stanze passanti l’una nell’altra: sale e saloni attrezzati di volta in volta in base alle esigenze: a seconda della stagione, del numero degli ospiti etc… le stesse camere da letto erano distinte per ciascun membro della famiglia. Questo impianto spaziale permane nell’appartamento borghese del secondo Ottocento.

Il cambiamento avviene nel corso del Novecento, con il contrarsi del nucleo di convivenza, da famiglia parentelare estesa a coppia coniugale con pochi figli o a coppie sole o a singoli. Con il ridursi per ragioni economiche delle superfici disponibili, l’intero impianto spaziale dell’alloggio viene riconsiderato.

Prende piede un nuovo ideale di continuità spaziale tra esterno ed interno e fluidità degli interni.

Nel 1893, all’Esposizione Internazionale di Chicago, si ha un esempio di architettura domestica giapponese, che influenza le Praire Houses, realizzate a inizio secolo da Wright, le quali si basano sul valore singolare dell’individuo nella natura. Nuovo senso dell’abitabilità: i piani si dilatano orizzontalmente attorno a un perno verticale che è il camino.

In Europa la svolta avviene nei primi anni venti, grazie alla avanguardie storiche del Moderno. Un esempio è Casa Schroeder a Utrecht destinata a una vedova con tre figli. Lo spazio abitativo appare unitario, le stanze sono separabili in modo flessibile da pannelli verticali scorrevoli.

In Germania vediamo operare Mies van der Rohe con il progetto di una Villa in mattoni nel 1924. In area francesce vedimo il progetto Maison Dom-ino, il sistema a pilastri lascia libera la suddivisione dello spazio interno.

Le Corbusier nel 1926 esprime attraverso I cinque punti dell’architettura moderna, l’obiettivo della pianta libera.

Esempi di questo cambiamento sono: casa Toughendat a Brno di Mies van der Rhoe. Ville Savoye a Poissy di Le Corbusier.

Wright continua la sua ricerca sulla continuità spaziale dell’abitazione con una più accentuata coscienza del suo carattere organico con la Fallingwater nel 1936.

Nei decenni successivi la fluidità e la flessibilità ambientale caratterizzano anche alcune proposte edilizie attente all’evoluzione di massa dei bisogni famigliari. Si va dall’ipotesi per un habitat contemporaneo di Daniel Chenut, che prevede la possibilità di trasformazioni nel tempo degli spazi abitabili, ai principi di modulazione spaziale di superfici indivise, praticate in Olanda su impulso di Nikolas Habraken e del SAR, con il coinvolgimento degli abitanti nel progetto del loro alloggio.

Solo negli ultimi decenni del secolo, coi movimenti neomoderno e postmoderno, la stanza ritorna nel progetto di interni contemporaneo.

 

(scritto da Gianni Ottolini)

   

Capitolo V– Presenze di memoria. Un stanza isolata per tutti

Filippo Alison immagina una stanza isolata dove la linea tra cielo e mare si trasforma in infiniti spazi, infiniti orizzonti, dove ciascuno di noi trova un proprio luogo operativo. Questi spazi hanno un valore collettivo, di vitalità e di amore. La stanza si trova sospesa sull’acqua attraveso un sistema di palafitte, dove si trova anche la scala per accedervi. la

La pianta circolare è coperta da una cupola che sovrasta la stanza, decorata attraverso disegni che hanno lo scopo di raccontare: presenze di memoria in compagnia, tra sogno e desiderio. La finestra gira intorno a tutto il perimetro della stanza, un intero nastro vetrato crea dialogo con l’esterno, dove si trovano solo l’orizzonte e il bagnasciuga.

   

Capitolo VI –Variazioni sul tema della stanza oggi

Se prima la stanza poteva definirsi in virtù di precise delimitazioni, di una chiara identità funzionale, lo spazio abitativo di oggi pare costantemente oscillare tra negazione totale e affermazione frammentaria. Di queste mutaioni della stanza si vuole propore un breve lessico.

 

ABOLIZIONE:

Si tratta di un percorso graduale che ha inizio già negli anni trenta: pareti trasformate in setti mobili, arredi integrati all’involucro murario, trasparenze che aprono un ambiente sull’altro o sul paesaggio esterno. Questa tendenza raggiungerà il suo apice a partire dagli anni sessanta, con l’affermarsi della tipologia del loft, un modello abitativo che prevede grandi spazi indifferenziati, un continuuum sempre modificabile e precario.

 

EVOCAZIONE:

è quasi un corollario di abolizione. Si può esemplificare con chiarezza parlando di Casa Gaspar di Alberto Campo Baeza a Cadice: un quadrato delimitato da mura di cinta e diviso in tre parti uguali, di cui solo quella centrale coperta. Le stanze, apparentemente abolite, sono evocate dall’enfasi posta sulle loro delimitazioni.

 

IBRIDAZIONE:

si tratta di un procedimento parziale, quasi inconsapevole, ma frequente. Una stanza si fonda con un’altra ad essa contigua, ingresso e soggiorno, soggiorno e pranzo, studio e camera da letto. Accade oggi anche le stanze che per lungo tempo avevano mantenuto una specifica identità e una maggiore esigenza di separatezza. La cucina è passata da essere ambiente di servizio a segmento privilegiato del soggiorno.

In maniera analoga l’ambiete bagno ha iniziato a travalicare i confini della privacy con vasche-scultura, nicchie-doccia.

 

ELENCO:

le stanze possono semplicemente giustapporsi l’una all’altra, in sequenze lineari. Un esempio è Villa M. a Zedelgem, Stèfane Beel costruisce una sorta di muro abitato: 60 metri di lunghezza e 7 di larghezza accolgono una successione di ambienti, separati gli uni dagli altri attraverso piccoli patii o volumi contenenti servizi.

 

MICROSTANZE:

le microstanze sembrerebbero derivare dagli studi sull’existenz-minumum attraverso i quali si cercava di razionalizzare e giustificare le modeste dimensioni dell’alloggio popolare.

Le suggestioni compositive attualmente più interessanti sembrano al contrario trarre origine dalla penuria stessa di spazio. Un esempio attuale è Casa in un boschetto di pruni, a Tokyo nel 2003, piccola residenza monofamiliare, che consiste in un cubo bianco senza spessore con muri sottili come membrane. Le stanze sono minuscole, moltiplicate  e specializzate, sono connesse l’una all’altra attraverso una serie di aperture senza vetri.

 

MACROSTANZE:

la stanza può anche riconquistare riconoscibilità e autonomia in un volume più ampio, fino ad assumere una dimensione architettonica.

 

FRAMMENTI DI NATURA:

le stanze possono comparire in spazi inaspettati, spazi aperti che sono l’esatto opposto della stanza, che cingono frammenti di natura.  Un esempio è il patio.

 

(scritto da Marta Laudani)

 

Capitolo VII- Una stanza urbana

Riflessioni in forma di colloquio

L’intervento più famoso di Umberto Riva è il ridisegno della piazzetta San Nazaro a Milano, un interno urbano che appare come una stanza comunitaria. Riva spiega il suo modo di procedere, in cui l’intervento alla fine ha bisogno di un continuo disegnare, disegnare come elemento per non lasciare niente inesplorato.

A san Nazaro ha pensato proprio a tutto, ha disegnato gli spazi con gli elementi di arredo fisso, lampioni, dissuasori del traffico, sedute, persino per la grata di areazione della metropolitana già esistente, pensa a inserire un gradino, un rialzo di pietra rispetto alla grata, per incorniciarla.

 

(colloquio tra Casamiller e Umberto Riva)

   

Capitolo VIII –Altre stanze

Alcuni gesti hanno definito stanze per accenni, per indizzi.

Diverse sono le soluzioni adottate da diversi artisti: Fred Sandback, tende fili e corde per scrivere, descrivere la sua idea di spazio, Carl Andre ha ricoperto porzioni di pavimento con piastrelle di diversi materiali, regolando gli ambienti a nuove dimensioni. Altri artisti hanno invece realmente realizzato opere come volumi evidenti, motivati a proporre attraverso l’architettura una loro idea di spazio più esauriente.

Anche altri sensi sono stati conivolti in questa ricerca, come ad esempio l’olfatto: Giuseppe Penone nella sua ricerca intorno al rapporto uomo-natura, ha costruito una intera stanza rivestita di foglie d’alloro.

Da qualche tempo un giovane artista sta mostrando al mondo dell’arte una nuova possibilità di scrivere, Krijn de Koning, brillante scultore dell’architettura, che partendo da prime riflessioni su frammenti di materiali di recupero assemblati in strutture libere e articolate, è arrivato a suggerire, una elementare quanto efficace, idea di architettura, intesa come capacità di definire spazi, ambienti, stanze attraverso i materiali del costruire ( legno, cemento, metallo).

De Koning ha costruito diverse decine di installazioni spaziali, che altro non sono che frammenti di interni e che insieme costituiscono una sorta di appunti ordinati per suggerire un altro modo di scolpire l’architettura di interni.

Bastano pochi elementi per ritagliare semplici o complessi frammenti di possibili spazi, di inusuali angoli, aricolati studioli, di altre stanze. Ogni costruzione è alleggerita da sottrazioni geometriche così da permettere viste e traguardi sullo spazio adiacente. È come se si costruissero delle scatole (architettoniche) dentro altre scatole, incastrandole tra loro e asportandone intere parti, superfici o angoli. Ci ricorda che bastano quattro pareti per fare una stanza, e ancora meno per fare un interno.

 

(scritto da Beppe Finessi)

  

Capitolo IX- Le stanze del cinema, da Méliès al digitale

Una quindicina di titoli di film iniziano o contengono la parola stanza.

All’idea di intimità e di isolamento, spesso si associa quella del dramma che si svolge tra quattro pareti.

 

STANZE, SPAZI E SCENOGRAFIE

Noel Burch divideva lo spazio cinematografico in “spazio in campo” e “spazio fuori campo”. Al cinema il fuori campo spesso è più importante di ciò che si vede, ciò che sta fuori può entrare in campo in qualsiasi momento. Lo spazio cinematografico è quindi molto più dinamico di quello teatrale.

La scenografia di un film differisce da quella teatrale perché non è impostata secondo un unico punto di vista, inoltre lo scenografo di un film può non avere bisogno di ricostruire un ambiente per intero e spesso vengono utilizzate pareti mobili per esigenze pratiche come i movimenti della macchina da presa.

 

IL VERO E IL FINTO

Inizialmente la macchina da presa era frontale e la scenografia era dipinta sulla parete di fondo, nessun spettatore però era turbato dall’irrealtà di queste stanze, perché ben radicate in una convenzione teatrale.

A teatro valicare la quarta teatrale significa infrangere la finzione, al cinema si ottiene lo stesso effetto arretrando la macchina da presa e mostrando quello che circonda le scenografie.

 

IL PIENO E IL VUOTO

Di fronte al pieno espressivo e alla saturazione di dettagli in una stanza di Il Gattopardo, nessuno spettatore si chede se lo scenografo mario Garbuglia abbia ricostruito tutto in studio o sia partito da ambienti reali. Nella realtà Visconti e Garbuglia partirono dal salone di palazzo Chigi ad Arriccia, cambiando vasi, quadri, tappeti e posizionando in centro un pouf quadrato, come risultava da foto d’epoca. Dietro la precisione soffocante degli oggetti si nasconde il segno della decadenza di una classe sociale, e nell’accumulo asfisiante un sintomo dell’aridità sentimentale dei personaggi.

Mauro Bolognini si è servito spesso degli stessi scenografi ottenendo effetti esteticamente opposti.

La stanza spoglia a volte segnala semplicemente la povertà produttiva: i noir americani degli anni quaranta e cinquanta la mascheravano giocando con le ombre. L’effetto di senso e lo stile possono essere altrettanto marcati che nel caso del pieno.

 

STANZE IMMAGINARIE

Tra tutte le stanze del cinema fantastico quella più suggestiva è forse quella immaginata da Mario Bava per Operazine Paura nel 1966. Non ci sono mostri o altri universi, si tratta sempre della stessa stanza che viene ripercorsa in un movimento sempre più frenetico dell’inseguitore che si scopre essere l’inseguito, come se fosse all’interno di un anello, dove la porta da cui esce è quella in cui entra.

 

(scritto da Alberto Pezzotta)

   

Capitolo X- La stanza del delitto

Nei polizieschi logico-deduttivi la stanza del delitto non è mai uno spazio pienamente razionale a causa di un inquietatante simbolismo dell’arredamento: gli oggetti d’arredo, tavolini, fermacarte… tra i quali può nascondersi l’arma del delitto, dovrebbero essere gli elementi di una sorta di sistema logico.

Gli oggetti hanno spesso, nei romanzi di questo genere, un alone inquietante, talvolta un sospetto di soprannaturalità, un fascino tutto “gotico”.

 

(scritto da Renato Giovannoli)

 

Capitolo XI – “La stanza, la strada e il patto umano”, 1973

Secondo Louis Kahn la stanza è l’inizio dell’architettura. È il luogo della mente. Quando sei in una stanza di data dimensione, struttura e luce, rispondi al suo carattere, alla sua atmosfera spirituale.

In una stanza piccola, in compagnia di una sola persona, quello che dici non lo avresti mai detto prima. Se c’è una sola persona la cosa è diversa.

In una stanza grande l’evento appartiene alla collettività.

Il progetto è una società di stanze, si collegano l’una all’altra per rafforzare la propria natura esclusiva. Una società di stanze è un luogo in cui è bello imparare, è bello lavorare, è bello vivere. La società di stanze è tenuta insieme dagli elementi di collegamento, che possiedono caratteristiche proprie.

 

La strada è una stanza che esprime un patto. Le strade di attraversamento, dopo l’avvento dell’automobile, hanno perso del tutto la qualità di stanza. L’urbanistica deve prendere coscienza di questa perdita e cercare di reintegrare la strada, dove la gente vive, nel ruolo di stanza comunitaria.

 

Il patto umano è un senso di rapporti di comunanza, lo si sente come un’irrefutabile esigenza interiore di una presenza. È una ispirazione con la promessa del possibile.

 

(estratto da Christian Norberg-Shultz, Louis L. Kahn idea e immagine)

 

Capitolo XII – Spazio colore materia in un’architettura di interni

In alcuni passi Viganò afferma che la casa gli appare così sporca e ipotetica, così secentesca e chiaroscurata e dominata dal nero dal quale si cavano in negativo gli altri colori, spunti che non sono mai stati sufficientemente sviluppati, a favore di letture nelle quali le forti caratterizzazioni cromatiche e luministiche e l’articolazione spaziale sono ricondotte agli aspetti di continuità spaziale e chiarezza distributiva, per collocare la casa nella tradizione dell’architettura moderna.

Sembra che il pensiero espresso da Viganò contrasti con gli ideali di un’architettura nitida, razionale e  luminosa, definata per chiare operazioni costruttive, logicamente concatenate in successione con un processo di progressivo completamento.

Il nero e il chiaroscuro di Viganò sono concretizzati dai materiali con i quali sono resi. I numerosi e differenti neri, sovrapposti l’uno sull’altro, materia su materia: opaco su lucido, liscio su ruvido, disegnano una intelaiatura spaziale sulla quale risaltano il rosso, il bianco.

Quest’uso dei colori in funzione di materia non deve sembrare scontato neppure per l’architettura, che anzi ha fatto spesso uso, vedi l’architettura moderna, dei colori per tendere all’artificializzazione dei materiali da costruzione.

 

(scritto da Roberto Rizzi)

 

Capitolo XII- Vittoriano Viganò

Bozza di relazione 1956-58

 

L’appartamento è stato realizzato partendo esclusivamente dalle pareti perimetrali. La distribuzione e l’architettura interna vertono esclusivamente su alcuni criteri:

a)     Isolamento del nucleo servizio e camere dei figli rispetto a soggiorno e zona notte.

b)    Ricerca di una unità e continuità spaziale ovunque e comunque possibile perseguita.

c)     Continutà spaziale sottolineata dalla continuità di adozione di pochi materiali.

d)    Mancanza di armadi (utlizzati quelli a muro) e di porte (sono state concentrate in pochi punti dell’appartamento).

e)     Realizzazione di due corridoi strettissimi, l’effetto dimensionale degli ambienti risulta così ingrandito.

f)      Camino realizzato al centro del soggiorno, sospeso attorno a un pilastro preesistente.

 

ARREDAMENTO

Cucina con elementi all’americana, in linea.

Arredamento dei vani soggiorno, notte e camera bambini mediante l’adozione costante di un sistema di mobili componibili in legno e ferro.

Lo schienale del divano è stato realizzato sempre con elementi di struttura componibile.

 

Il colore predominante nella casa è il nero dal quale cavano in negativo gli altri colori, quali tappeti e tessuti di rivestimento.

L’illuminazione è realizzata con poche sorgenti luminose appese e con alcune lampade a piede.

 

(scritto da Vittoriano Viganò)