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   autore   | 
  
   Marc Augé  | 
  
  
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   titolo   | 
  
   NONLUOGHI   | 
  
  
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   editore   | 
  
   Eléuthera  | 
  
  
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   luogo  | 
  
   MILANO  | 
  
  
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   anno  | 
  
   2009  | 
  
  
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   lingua  | 
  
   ITALIANO   | 
  
  
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   Titolo originale: Marc Augé, Non-lieux, 1992 Editions du Seuil  | 
  
  
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   Argomento e tematiche affrontate  | 
  
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   Il libro
  definisce, il concetto di nonluogo, termine coniato
  proprio da Augè in questo suo saggio del 1992. I nonluoghi sono quegli spazi contrapposti ai luoghi antropologici,
  quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari,
  relazionali e storici. Sono tutti quegli ambiti adibiti alla circolazione, al consumo e alla
  comunicazione. Agli  occhi dell’autore,
  questi nonluoghi sono spazi della provvisorietà e
  del passaggio, spazi attraverso cui non si possono decifrare né relazioni
  sociali, né storie condivise, né segni di appartenenza collettiva. I nonluoghi sono prodotti
  della società della surmodernità, incapace di
  integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in posizioni
  limitate e circoscritte alla stregua di "curiosità" o di
  "oggetti interessanti". I nonluoghi sono
  incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della
  nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà
  assoluta, dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo
  solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma
  nessuno vi abita. In altre parole, sono tutto il contrario della città storica nella
  quale le regole di residenza, la divisione in quartieri, delimitava lo spazio
  e permettevano di cogliere nelle loro linee essenziali le relazioni tra gli
  abitanti.  | 
  
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   Giudizio
  Complessivo: 7(scala 1-10)  | 
  
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   Scheda compilata da: Paolo Bottani  | 
  
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   Corso di Architettura e Composizione Architettonica 3
  a.a.2013/2014  | 
  
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   Autore Marc Augè  | 
  
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   Marc Augè (Poitiers, 1935), antropologo, è directeur
  d’ètudes (Logica simbolica e ideologia) all’Ecole des Hautes
  Etudes en Sciences Sociales di Parigi, di cui è stato a lungo presidente.
  Africanista di formazione, da anni si occupa di antropologia delle città
  complesse. Le sue numerose ricerche
  etnografiche in Africa,
  soprattutto in Costa d'Avorio e Togo hanno prodotto
  la pubblicazione dei suoi primi tre saggi (Le Rivage alladian, 1969; Théorie des pouvoirs et idéologie,
  1975; Pouvoirs de vie, pouvoirs
  de mort, 1977. In questi primi lavori, per descrivere l'oggetto della sua ricerca,
  Augé ha coniato il termine idéo-logique.  Ma è dalla
  seconda metà degli anni 80, quando comincia a dedicare i suoi studi alla
  teorizzazione di un’antropologia della Surmodernità, che lo porta a pubblicare i suoi saggi
  più conosciuti, tra i quali: Un etnologo nel metrò, Non Luoghi, Che fine ha
  fatto il futuro? Dai nonluoghi al nontempo, L’antropologia del mondo contemporaneo.  | 
  
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   Marc Augé  | 
  
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   Contenuto   | 
  
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   Il libro, il cui titolo completo è in realtà “Nonluoghi,
  introduzione a una antropologia della surmodernità”
  affronta l'analisi delle società attuali
  attraverso i paradigmi della surmodernità, intesa
  come evoluzione ulteriore rispetto al postmodernismo. Si tratta di un
  testo strutturato in tre capitoli (Il vicino e l’altrove, Il luogo
  antropologico, e Dai luoghi ai nonluoghi) -
  prologo, epilogo.                                               | 
  
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   CAPITOLI  | 
  
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   Capitolo I – Il vicino e l’altrove   | 
  
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   Il primo capitolo segue a un breve prologo a carattere
  narrativo in cui l’autore si serve di tal Pierre Dupont, che in italiano
  corrisponderebbe a dire il signor Qualunque, il quale viene “seguito” per
  poche ore dall’autore di cui se ne serve per introdurre la propria
  antropologia della surmodernità. ll saggio vero e proprio inizia definendo la surmodernità,
  l’epoca che stiamo vivendo, intesa come ulteriore evoluzione del
  postmodernismo, fa riferimento ai fenomeni sociali, culturali, intellettuali
  ed economici connessi allo sviluppo delle società complesse alla fine del XX
  secolo, con particolare riferimento al superamento della fase postindustriale
  e alla diffusione della globalizzazione. La condizione di surmodernità,
  a causa delle sue stesse contraddizioni, offre un ottimo terreno di
  osservazione e un ottimo oggetto alla ricerca antropologica.  La surmodernità
  è caratterizzata da tre figure dell’eccesso (o sovrabbondanza): -Sovrabbondanza di avvenimenti (eccesso di tempo) -Sovrabbondanza di spazio (eccesso di spazio) -Individualizzazione dei riferimenti (eccesso di ego) La difficoltà di pensare il tempo
  deriva dalla sovrabbondanza di avvenimenti del mondo contemporaneo.
  L’accelerazione della storia corrisponde a una moltiplicazione di avvenimenti
  il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi.  La sovrabbondanza spaziale è
  strettamente correlata al restringimento del pianeta nel senso che oggi,
  grazie ai mezzi di trasporto, siamo in grado di raggiungere in poche ore
  qualsiasi parte del mondo; inoltre nelle nostre case siamo continuamente
  bombardati da immagini che ci danno una visione istantanea di avvenimenti in
  atto all’altro capo del pianeta. La sovrabbondanza spaziale del presente si
  esprime in mutamenti di scala, nella moltiplicazione dei riferimenti
  immaginifici e immaginari e nelle accelerazioni dei mezzi di trasporto. Tutto
  ciò comporta modificazioni fisiche considerevoli: concentrazioni urbane,
  trasferimenti di popolazione e moltiplicazione dei “nonluoghi”
  (in opposizione alla nozione sociologica di luogo, associata da Marcell Mauss e da tutta una
  tradizione etnologica a quella della cultura localizzata nel tempo e nello
  spazio). La terza figura dell’eccesso è la
  figura dell’ego, dell’individuo.  Quanto meno nelle società
  occidentali l’individuo si considera un mondo in sé, egli si propone di
  interpretare da se stesso per se stesso le informazioni che gli vengono date
  o che percepisce dall’esterno. Mai come oggi le storie individuali sono state
  così esplicitamente implicate nella storia collettiva ma allo stesso tempo
  mai i riferimenti dell’identificazione collettiva sono stati così fluttuanti;
  la produzione individuale di senso è dunque oggi più che mai necessaria. Agli antropologi si pone dunque
  dinnanzi una nuova questione: comprendere come integrare nella loro analisi
  la soggettività di coloro che osservano e come ridefinire le condizioni della
  rappresentatività.  Si definiscono “nonluoghi”
  tutte le strutture necessarie alla circolazione accelerata delle persone e
  dei beni (autostrade, svincoli, aeroporti), i mezzi di trasporto, i grandi
  centri commerciali, i campi profughi… tutti gli spazi in cui milioni di
  individualità si incrociano senza entrare mai in relazione, spinti dal
  desiderio frenetico di consumare, di accelerare le operazioni quotidiane o
  considerati come porta di accesso ad un cambiamento (reale o simbolico).  | 
  
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   Capitolo II- Il luogo antropologico  | 
  
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   Marc Augé
  definisce i “nonluoghi” in contrapposizione ai
  luoghi antropologici. Il luogo antropologico è una costruzione
  simbolica e concreta dello spazio che da sola non può rendere conto delle
  problematiche e delle contraddizioni della vita sociale alla quale però si
  riferiscono tutti coloro ai quali essa assegna un posto; il luogo
  antropologico è  allo stesso tempo un
  principio di senso per coloro che lo abitano e un principio di
  intelligibilità per colui che lo osserva. I luoghi antropologici possiedono
  tre principali caratteristiche: -l’identitarietà -la
  relazionalità -la
  storicità La mappa della casa, le regole di
  residenza, i quartieri di un villaggio, gli altari, i posti pubblici, la
  divisione del territorio corrispondono per ciascun uomo ad un insieme di
  possibilità, prescrizioni e interdetti il cui contenuto è allo stesso tempo
  spaziale e sociale. Nascere significa nascere in un luogo, essere assegnato a
  una residenza. In tal senso il luogo di nascita è costitutivo dell’identità
  individuale. In generale il dispositivo spaziale è ciò che esprime l’identità
  del gruppo (le origini del gruppo sono spesso diverse ma è l’identità del
  luogo che lo fonda, lo raccoglie e lo unifica) ma è allo stesso tempo ciò che
  il gruppo deve difendere contro le minacce esterne e interne perché il
  linguaggio dell’identità conservi un senso (identità). In uno stesso luogo possono coesistere
  elementi distinti e singoli ma di cui è impossibile negare le relazioni
  reciproche e l’identità condivisa che conferisce loro l’occupazione di uno
  stesso luogo comune. Così, per esempio, le regole di residenza che in molti
  villaggi assegnano un posto al bambino lo situano in una configurazione di
  insieme in cui egli condivide con altri “l’iscrizione” al suolo (relazione).
  Storico il luogo lo è necessariamente dal momento in cui, coniugando identità
  e relazione, esso si definisce da una stabilità minima; lo è nella misura in
  cui coloro che vi vivono possono riconoscervi dei riferimenti che non devono
  essere oggetti di conoscenza. Il luogo antropologico è storico per coloro che
  lo vivono in quanto sfugge alla storia come scienza (storicità). Il luogo antropologico è anche
  geometrico. Possiamo stabilire ciò partendo da tre forme spaziali semplici
  che possono essere applicate a dispositivi istituzionali differenti e che
  costituiscono le forme elementari dello spazio sociale: linea, intersezione
  delle linee e punto d’intersezione. Concretamente possiamo parlare di
  itinerari, di assi o sentieri che conducono da un luogo a un altro e che sono
  stati tracciati da uomini, di crocevia in cui essi si incontrano e si
  riuniscono, di centri più o meno monumentali, religiosi o politici, che
  definiscono spazi e frontiere al di là dei quali altri uomini si definiscono
  in rapporto ad altri centri e ad altri spazi.  | 
  
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   Capitolo III – Dai luoghi ai nonluoghi  | 
  
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   I non luoghi sono
  incentrati solamente sul presente e sono rappresentativi della nostra epoca,
  caratterizzata dalla precarietà (non soltanto lavorativa), dalla
  provvisorietà, dal transito e dal passaggio, da un individualismo solitario.
  Le persone transitano dai non luoghi ma nessuno vi abita. I luoghi e i “nonluoghi”
  sono strettamente interrelati tanto che spesso è difficile distinguerli.
  Raramente esistono in forma pura, in genere sono gli spazi dello standard, in
  cui nulla è lasciato al caso e tutto al suo interno è calcolato con
  precisione (il numero di decibel, la lunghezza dei percorsi, la frequenza dei
  luoghi di sosta, il tipo e la quantità di informazione). I “nonluoghi” hanno assunto una valenza positiva e
  rassicuratrice (si pensi al franchising, ossia alla ripetizione continua di
  strutture commerciali simili tra loro in tutto il mondo): gli utenti non si
  preoccupano del fatto che i centri commerciali siano tutti uguali tra loro ma
  godono della sicurezza di poter trovare in qualsiasi angolo del mondo
  qualunque cosa di cui abbiano bisogno. Da questa situazione discende uno
  dei paradossi del “nonluogo”: il viaggiatore di
  passaggio, smarrito in un paese sconosciuto, ritrova se stesso nell’anonimato
  delle autostrade, delle stazioni di servizio e di altri “nonluoghi”. Il rapporto tra non luoghi e i suoi
  fruitori avviene di solito tramite simboli, parole o voci preregistrate.
  Esempio evidente sono i cartelli affissi negli aeroporti “vietato fumare”,
  “non superare la linea bianca davanti agli sportelli”. L’individuo nel “nonluogo” perde tutte le sue caratteristiche e i ruoli
  personali per continuare ad esistere solo come cliente o fruitore, ruolo
  definito da un contratto più o meno tacito che si firma con l’ingresso in un
  “nonluogo”. L’uso di questi spazi è destinato
  all’utente medio, all’uomo generico senza distinzioni, non persone ma entità
  anonime. Il cliente acquista il suo anonimato solo dopo aver fornito la prova
  della sua identità, solo dopo aver controfirmato il contratto. Non c’è
  conoscenza individuale, spontanea e umana, non c’è riconoscimento di un gruppo
  sociale, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. “Una volta
  l’uomo aveva un’anima e un corpo, oggi ha bisogno anche di un passaporto,
  altrimenti non viene trattato da essere umano” (Stefan Zweig,
  1946). Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione
  dell’entrata o dell’uscita (o altra interazione diretta) nel/dal “nonluogo”, per il resto del tempo si è soli e simili a
  tutti gli altri utenti/passeggeri/clienti. La società non pone limiti
  d’ingresso ai “nonluoghi” a patto però che si
  rispettino una serie di regole: farsi identificare come cliente solvibile e
  quindi accettabile, attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire
  del prodotto e pagare.  | 
  
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