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autore |
RUDOLF ARNHEIM |
titolo |
LA DINAMICA DELLA FORMA ARCHITETTONICA |
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editore |
FELTRINELLI |
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luogo |
Milano |
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anno |
1981 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale: Rudolf Arnheim, The
Dynamics of Architectural Form, (University of California Press, Berkeley-Los
Angeles) |
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Argomento e tematiche affrontate |
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Il libro
analizza le conseguenze del potere visivo esercitato dall’architettura, che è
stato per molto tempo largamente trascurato a favore di un’attenzione quasi
esclusiva agli aspetti della funzionalità e della socialità. L’autore adatta
le sue conoscenze sull’arte e sulle percezioni visive all’architettura,
esplorando le conseguenze che questa produce, soprattutto sull’ordine e sul
disordine nel disegno, sulla natura del simbolismo visivo e sulle relazioni
tra funzionalità ed espressionismo. |
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Giudizio Complessivo: 8 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Patrizia Pilan |
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Corso di Architettura e
Composizione Architettonica 3 a.a.2014/2015 |
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Autore Rudolf Arnheim Rudolf
Arnheim è nato a Berlino il 15 luglio 1904.
All’Università di Berlino ha studiato filosofia e psicologia, laureandosi in
psicologia sperimentale. I
suoi maestri furono i fondatori della scuola della Gestalt: Kohler, Wertheimer, Lewin. Dai suoi esperimenti sulla percezione
dell’espressione nacque nel 1932 il libro Film
come arte (Milano 1960). Nel
1933 fu chiamato a Roma dall’Istituto nazionale per la Cinematografia
Educativa, contribuendo ai lavori per un’Enciclopedia del cinema sospesi nel
1938. Per ragioni razziali nel 1939 emigrò a Londra e nel 1940 negli Stati
Uniti, dove dal 1943 tenne la cattedra di psicologia dell’arte al Sarah
Lawrence College di Bronxville (New York) e alla
Graduate Faculty della New School di New York. Nel
1954 pubblicò il suo libro fondamentale, Arte
e percezione visiva (Milano 1971). E’ stato presidente della American
Society for Aesthetics e della divisione Estetica
della American Psychological Association.
Nel
1968 divenne professore di psicologia dell’arte ad Harvard. Raggiunta l’età
della pensione nel 1974, insegna ancora per altri dieci anni psicologia
dell’arte all’University of Michigan. Muore ad Ann Arbor il 9 giugno 2007. Fra
le sue opera maggiori ricordiamo: Guernica.
Genesi di un dipinto (Milano 1964);
Verso una psicologia dell’arte (Torino 1969); Il pensiero visivo (Torino 1974); Entropia e arte (Torino 1974). |
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Rudolf Arnheim |
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Contenuto |
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Il libro analizza la necessità di trattare dell’aspetto degli edifici.
Camminando per la strada si incontrano molti edifici, ma pochi sono quelli
più riusciti dal punto di vista visivo e sono soprattutto quelli che
appartengono a epoche passate. Rivelano un’unità visiva che li rendono
comprensibili, ci trasmettono qualcosa, il loro modo di apparire rispecchino
la loro funzione. Le opere realizzate oggi invece trasmettono molta
delusione, e questo ha portato l’autore ad indagare sulle condizioni visive
che influiscono sugli effetti psicologici dell’architettura. Questo grande
stimolo nasce dall’Università dove l’autore lavorava, Harvard, poiché il
fatto di servire ed essere serviti da un edificio, porta ad indagare sulle
relazioni tra l’uomo e la forma fatta dall’uomo, già studiate nella pittura e
nella scultura. Tutti coloro che studiavano l’architettura, trascuravano lo studio
attivo della progettazione considerandolo una distrazione agli obblighi
d’architetto. Rudolf Arnheim si domanda come questo sia possibile, poiché è
impossibile trascurare la forma dell’oggetto poiché di esso non si può fare a
meno. E’ impossibile non mettere in relazione forma e funzione con ciò che le
circonda. La dinamica della forma, del colore e del movimento costituisce il
fattore decisivo della percezione sensoriale. E’ necessario guardarsi attorno
per comprendere pienamente la natura delle cose. |
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CAPITOLI |
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Capitolo I – Elementi dello
spazio |
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Che cos’è lo spazio? Due possono essere le risposte: lo spazio è un’ entità autocontenuta
finita o infinta, oppure come scrive Platone nel Timeo, lo spazio è un
nulla esistente come entità nel mondo esterno al pari degli oggetti che può
accogliere, ed in assenza di quest’ultimi lo spazio non esisterebbe, sarebbe
come un vuoto contenitore senza limiti. Lo spazio creato dalle cose: lo spazio è sperimentato come il dato che precede gli oggetti in esso
contenuti, ma se non prestiamo debita attenzione a questo modo spontaneo ed
universale di considerare il mondo, non possiamo comprendere il carattere
dell’architettura, che è disposizione di costruzioni entro un spazio
determinato e continuo. Lo spazio in termini fisici è definito dall’estenzione di corpi
confinanti l’uno dall’altro, quindi può nascere solo dall’interrelazione di
oggetti. Lo spazio per questo è tangibile dall’osservatore solo in presenza
di cose percepibili, e con esse crea delle connessioni stabilite come
rette o come triangoli. Implicazioni per l’architettura: Per l’architetto è molto importante sapere che lo spazio non è affatto
dato di per sé, ma è creato da una particolare costellazioni di oggetti
naturali o artificiali, alla quale deve recare il suo contributo. Queste
costellazioni sono estremamente complesse di sifatti sistemi spaziali, alcuni
subordinati, altri coordinati; altri ancora contigui, intersecantisi o vicendevolmente
intrecciati. La complessità di questi spazi tridimensionali che vengono a
crearsi, è un dato della mente. Gli
psicologi la chiamano “questione evolutiva”: l’immaginazione crea una scala
di complessità crescente, per acquisire in diverse fasi l’immaginazione
spaziale. I campi mediani: La percezione
spontanea presenta lo spazio come un contenitore preesistente ai corpi fisici
che vi trovano posto ed indipendente da essi. Gli spazi fra le cose per
questa ragione saranno vuoti, e l’architetto deve distingure tra spazi
impenetrabili e spazi penetrabili per capire il loro giusto rapporto,
concentrandosi sulla definizione di spazio creato dalla relazioni. Noi non
siamo esplicitamente coscienti di questi rapporti visivi, ma se vediamo, per
esempio due palazzi possiamo: -
considerali indipendentemente,
isolandoli dal contesto; -
percepirli in un’unica immagine
insieme allo spazio interstiziale che non sarà vuoto ma invaso da gradienti. In quest’ultimo caso l’interspazio non è vuoto perché possiede una loro
densità che aumenta con il diminuire della distanza tra gli oggetti, ma
dipende anche dalla loro dimensione. La distanza è un fattore importante
poiché influisce sulla dipenza o indipenza degli edifici: se sono troppo
vicini manifesteranno una repulsione reciproca. Vuoto e abbandonato: una
distanza troppo grande cancella il rapporto tra una costruzione e l’altra ed
è in tali condizioni che possiamo affermare che lo spazio tra di loro è vuoto
come ogni momento in cui non c’è musica. Il vuoto percettivo può essere
definito come una qualità di un’area le cui caratteristiche spaziali non sono
controllate dagli oggetti circostanti. Si avverte un vuoto estremo quando gli
oggetti mancano del tutto, ma il vuoto
non è semplicemente connesso a mancanza di materia. Un spazio privo di
costruzioni può essere comunque pervaso da una grande densità e da forze
percettive, che possiamo chiamare sostanza visiva. In generale l’effetto di
vuoto si percepisce quando l’osservatore non riesce a organizzare
strutturalmente una superficie, quando il suo sguardo vaga senza riuscire a
definire in termini spaziali un luogo. La dinamica dello spazio circostante: Il campo visivo si espande non solo lungo la dimensione orizzonatale ma
anche verticale. Le costruzioni devono rimanre ad una appropiata distanza
l’uno dall’altro, e la stessa norma vale per l’osservatore, perché un
oggetto, per essere adeguatamente percepito, deve avere un campo di forze
rispettato dall’osservatore che deve porsi a giusta distanza. |
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Capitolo II- Verticale e
orizzontale |
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Spazio asimmetrico: L’uomo
percepisce lo spazio come se fosse asimmetrico perché tra le infinite
dimensioni dello spazio tridimensionale lungo le quali teoricamente potrebbe
muoversi, predilige quella verticale, che agisce come asse e quadro di
riferimento per tutte le altre direzioni. Questa asimmetria è dovuta a limiti
sensoriali dell’uomo poiché geometricamente tutte e tre le coordinate del
sistema spaziale cartesiano sono eguali per natura e importanza. Tuttavia il
nostro spazio terrestre è pervaso dall’attrazione di gravità, che da rilievo
alla verticale in quanto direzione standard e qualsiasi altro orientamento è
percepito in relazione a questa. La visione tende alla verticale: Nel nostro sistema spaziale la direzione verticale definisce il piano
orizzontale come l’unico cui essa funge da asse di simmetria. Tale piano è il
solo su cui ci si possa muove liberamente in ogni direzione senza avere la
senzazione di salire o scendere, e perciò su di esso non c’è alcuna direzione
distinguibile spazialmente. Il modello più elementare dello spazio
esistenziale è quindi un piano orizzontale attraversato da un asse verticale.
Nella esperienza visiva tutto nasce dal terreno ed per questo è l’asse
verticale a caratterizzare il suo aspetto: la massa dell’oggetto si dispone
simmetricamente ed i rapporti tra gli oggetti si leggono secondo criteri di
parallelismo. La penetrazione nel terreno: L’asse dominante di un edificio prevalentemente verticale incontra il terreno perpendicolarmente e
sembrerà continuare dentro il suolo. Questo effetto rafforza l’espressione
metaforica delle costruzioni che spuntano da terra come piante, e come le
piante che sembrano incomplete, anche l’edificio risulterà emergente da una
struttura sotterranea e quindi incompleto. Il terreno che circonda le strutture può essere visto come
se continuasse senza interruzione passando sotto l’edificio oppure
quest’ultimo sembrerà affondare nel terreno. Si ha penetrazione quando una
delle confiurazioni in foto appare incompleta, e quando questa incompletezza
determina una tendenza abbastanza forte al completamento. Le proporzioni complessive e la
distribuzione dei pesi vengono inevitabilmente influenzate dal fatto di
vedere le costruzioni fuori terra completa o incompleta. Qualsiasi ambiguità
in proposito fa sorgere un problema architettonico. Un edificio deve
affermare la propria completezza ma l’architetto deve non fargli perdere il
suo contatto con il suolo. L’orizzontalità: Creare
un’orizzontalità forte aiuta ad esprimere un senso di indipendenza rispetto
al suolo, mantenendo un rapporto con questo grazie al parallelismo e non alla
penetrazione. Il rapporto tra elevazione e appoggio costituisce l’autentica
sostanza di come l’uomo deve percepire le strutture. Per Paolo Portoghesi, un
elemento essenziale per l’architettura come il muro “deve assumere una
direzione, un orientamento: divenire parte delle relazioni”. Peso e altezza: L’asimetria dello
spazio si ripercuote sul peso degli edifici e sui rapporti fra le diverse
parti di una costruzione. Tre diversi fattori di presiedono a tale fenomeno:
Dinamica della colonna: La configurazione di una colonna può cambiare la composizione
architettonica di un edificio. Una colonna bassa spinge l’edificio verso il
terreno, una colonna alta fa premere l’edificio contro il tetto conferendo
però un senso di libertà. Il rapporto dinamico è dato dal rapporto tra peso e
spessore della colonna stessa. La piante e la sezione: l’asimmetria dello spazio terreste influisce sui vari mezzo usati dai
disegnatori per raffigurare l’architettura. Una pianta analizza il livello
orizzontale, una sezione taglia verticalmente un edificio. La pianta dovrebbe
rilevare l’autentica natura di una costruzione, ma quando ci muoviamo
attraverso l’edificio la pianta ci appare deformata dalla prospettiva ed
interrotta dalle tramezzature. La dimensione dell’azione è quella
orizzontale, ma quella della visione è quella verticale. La dimensione
orizzontale ci dice cosa fare on un edificio ma non è percepita come vera
parte di questo. La seconda e la terza dimensione: quantunque il progetto globale di
un edificio richieda una integrazione tridimensionale, la sua riduzione a
piante e sezioni è una semplice comodità tecnica. Devono essere visibili le
connessioni tra le proiezioni bidimensionali. La scultura unisce
bidimensionalità e tridimensionalità poiché i suoi scopi sono puramente
visivi e non fisici. La mente aggiunge il significato: la dinamica della verticalità e dell’orizzontalità rendono gli edifici
delle immagini simboliche. La dimensione verticale è definita solo in
virtù del suo contrasto con quella orizzontale. Poggiando al terreno una
chiesa, per esempio, sembrerà un rifugio. |
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Capitolo III – Pieni e cavi |
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Gli edifici nel contesto: Gli edifici che sorgono su uno stesso terreno inevitabilmente dipendono
uno dall’altro. Possiamo però decidere quanto del contesto dobbiamo
considerare per rendere giustizia ad un particolare edificio. Nello spazio e
nel tempo non esistono confini fissi per un edificio, e questi principi
creano relazioni tra figura e sfondo. Lo sfondo sconfinato: Gli
psicolgi considerano il rapporto più semplice tra figura e sfondo, quello che
considera lo sfondo sconfinato. La figura ha un suo contorno ben definito,
mentre lo sfondo si pone dietro a questo in modo sconfinato esistendo come
contenitore. L’interazione di spazi: La vicinanza di aree fa sorgere una rivalità poiché esse non possono
essere tutte figure contemporaneamente. Le aree subordinate vengono viste
come sfondo nel contesto globale ma non sono prive di contorni e poteri
propri, fungono da spazi negativi. I loro contorni però sono dominati dalle
figure positive. Gli spazi fissano al suo interno frontiere e limiti per
impedire ai corpi di mutare.
L’architetto è circondato da queste relazioni tra spazi e forme, ma
senza indicare nessuna lotta per il potere percettivo. L’architetto crea
un’equilibrio tra volumi nello spazio tridimensionale, dove un corpo appare
chiuso da ogni parte e non solo nel contorno. La strada come figura: in città gli edifici sono di rado isolati, ma fanno parte di una fila e
pertanto non denunciano la loro tridimensionalità. Si inseriscono in pareti
bidimensionali, come canyons urbani. Gli edifici non definiscono il cammino
dell’osservatore, ma è la strada a indirizzarlo verso destinazione. Per
diventare una forma vera e propria la strada deve avere un suo carattere
figurativo, ossia dare un senso di agevole accesso, di chiara direzione ecc.. La strada definisce i canyons urbani ed aggiunge una dimensione eretta
al percorso, e ciò ci appare con maggiore evidenza quando camminiamo. La
strada ha acquistato molta importanza rispetto agli edifici nell’epoca
industrale, ma gli edifici non assumono la funzione di sfondo perché proprio
le loro facciate fungono da delimitazione per il canale stradale. Incroci e piazze: Quando due strade si intersecano ad angolo
retto, l’area di sovrapposizione risulta spazialmente ambigua. Per risolvere
queste situazioni è possibile unifare due percorsi indipendenti in uno schema
a croce, creando un’area centrale e dare carattere visivo ai quattro edifici
d’angolo. Lo spazio centrale non sarà vuoto, ma invaso dalle forze degli
edifici che avanzano verso il centro della piazza. Una piazza si differenzia
da un incrocio perchè possiede delimitazioni complete. Nei casi migliori le delimitazioni non
chiudono obbligatoriamente una piazza, ma la costringuono a continuare piuttosto
che bloccarsi. Una piazza appare tanto più autonoma quanto più è circolare,
poiché pone in risalto la sua indentità grazie all’interrota coerenza del suo
contorno. Gli incroci nelle chiese: l’incrocio non è realmente visibile, e questo in architettura è
percepibile all’interno delle chiese. Quando l’architetto medievale
incrociava la navata longitudinale con il transetto, era ben consapevole di
creare un edificio a forma di croce, ma questo disegno non risulta subito
evidente a chi entra dal suo portale: qui il visitatore è attratto dal
percorso dritto che lo porta verso l’altare. E’ proprio davanti all’altare
che il transetto determina una modifica essenziale perché crea un luogo di
fede (magari sotto una cupola). Interno ed esterno: Una
relazione visiva può essere direttamente percepita solo quando le due parti
interessate sono presenti nella medesima immagine. Nessun problema spaziale caratterizza
un’architettura più dell’esigenza di vedere l’esterno e l’interno in
reciproca relazione. Sotto il profilo
sia percettivo che pratico, i mondi dell’esterno e dell’interno sono
reciprocamente esclusivi, non si può essere in entrambi nel medesimo
tempo. L’interno è governato
dall’esigenza di spazio, l’esterno dalla simmetria. L’esterno non sarà mai solo
perché circondato da altre architetture mentr l’interno è un modo chiuso e
autonomo. Concavità e convessità: lo spazio cavo agisce da figura dominante sia nelle piazze che negli
edifici, perché viene percepito come un amplificazione ed estensione
dell’epicentro umano. L’uomo non modella la propria dimora scavandola col suo
corpo, ma un interno concavo comporta libertà, perché si sottomette alle
forze da essa stessa generate. Interni interrelati: Un interno
costituisce un mondo chiuso e completo. Solo le doti memorizzatrice della
mente umana possono stabile un contrasto tra interno ed esterno o tra interni
diversi. L’autonomia degli interni è dato dall’architetto che crea per ogni
vano un momento in cui ne indica la collocazione all’interno della pianta
complessiva e la connesione con le altre stanza, attraverso il piano
orizzontale e il contorno. Guardando dai due lati: Duplicare una forma esterna per inserirla in una forma interna non sono
sempre molto efficaci. L’interno presenta un intrisicato accumularsi di
concavità e convessità che sono percepite diversamente all’esterno come nel
caso della Statua della Libertà, che internamente si presenta con forme molto
caotiche ma esternamente no. La soluzione a questo problema è creare due
sagome perfettamente rapportabili tra loro, giacchè l’esterna deriva
dall’interna. (esempio in figura: tomba paleocristiana del Vicino oriente, con interno
cruciforme racchiusto da un perimetro
esterno quadrato. In modo tale che fuori sembri un cubo). Progettare dall’interno verso l’esterno o il contrario, crea delle
tensioni indispensiabili che contribuiscono alla creazione della dinamica
architettonica. Dal punto vista psicologico, l’osservatore non potrà mai vedere interno
ed esterno contemporaneamente, per questo crea delle sue visioni mentali; dal
punto di vista estetico la concezione e l’apprezzamento di un’opera
architettonica non si limita alla mera percezione visiva. |
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Capitolo IV- Come sembra e
come è |
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Percepire un solido: nessun oggetto
tridimensionale può essere completamente registrato dall’occhio in un
determinato momento e da un punto fisso come immagine ottica. Un oggetto può
essere spontaneamente visto nella sua interezza se la sua parte visibile
rivela quel tanto che basta di tutta la sua struttura oppure muovendoci
all’interno dello spazio. L’osservatore muovendosi riceve una sequenza
ordinata di proiezioni che mutano gradualmente nella mente creando l’indentità
dell’oggento. La mente compie una
notevole impresa ricavando un’immagine di forma oggettiva da una serie
distanta di vedute. Per questo motivo un’architettura non sarà mai visto
nella sua interezza ma sarà la mente a comporlo da vedute spaziali. Deformazioni prospettiche: un oggetto è
indipendente dalle deformazioni prospettiche ma deve soddisfare due
condizioni: 1.forme e relazioni semplici; 2.il sistema di distorsioni ad esso
importo dalle proiezioni ottiche deve essere separabile in misura bastevole
dalla configurazione oggettiva. Per esempio, San Miniato al Monte a
Firenze, anche se visto da una certa angolazione, risulta facile vederlo
senza derformazioni poiché possiede una facciata abbastanza semplice. Il mondo lo si può vedere com’è,
senza considerare le distorsioni prospettiche, oppure ammesse esplicitamente.
Per esempio in una chiesa si percepisce la lunga navale e tutte le
convergenze ortogonali in un unico punto. Questo interno potrebbe risultare
deformato dalla simmetria della prospettiva che coincide con quella
dell’edificio e quindi non separabili come nel caso di San Miniato. Un
osservatore contribuisce agli effetti proiettivi a seconda della propria
posizione e veduta. Per osservare in modo corretto un luogo, occorre assumere
ogni veduta come una prospettiva accidentale, non intensa, nella sua
composizione, a escluderne ogni altra. Il filo di Arianna: Le città che non sono state
pianificate ma sono cresciute per espansione, assomigliano a paesaggi
naturali. Un simile ambiente è nella natura di una trama e non di un
progetto: è tenuto insieme dalla sua omogenità e non da una struttura. In
questo caso l’ordine oggettivo è sempre parziale. L’uomo muovendosi ha
bisogno di sensazioni positive ma anche di punti di riferimento. La lettura delle vedute: L’uso di punti di
riferimento per orientarsi presuppone che l’osservatore non ne prenda la
posizione alla lettera. Una visione bisogna prenderla come casuale, e questo
è l’unico modo per stabilire la propria posizione ed è indispensabile per
orientarsi. Un architetto deve rendersi conto che nel contesto in cui sorgerà
avrà diversi aspetti a seconda della veduta, non sarà visto com’è ma come
sembra dalla singola veduta. E’ contro l’architettura subordinarsi ad una
singola immagine momentanea. Modelli e dimensioni: Buona parte della
messa in forma vera dell’edificio dovrà essere pensata per mezzo di modelli
fabbricati nello studio. La riduzione in scala della totalità dell’oggetto
appare meno temibile, perché ci appare qualitativamente semplificata.
L’architetto deve tenere sempre conto che l’oggetto vero avrà dimensioni
molto maggiori, creando delle discrepanze psicologiche. Gli occhi nel
modellino riescono ad attraversalo, nella realtà l’oggetto non sarà
percepibile interamente e non ci saranno relazioni tra interno ed esterno. La gamma delle immagini: la sproposizione
tra le dimensioni dell’edificio e quelle dell’uomo è causata dalla difficoltà
di percepire ed esplorare l’oggetto interamente. Dal punto di vista visivo
questa sprosposizione si annulla quando l’oggetto è inserito interamente
all’interno del campo visivo. L’ immagine resta nel campo visivo, ma per non
sembrare immobile gli occhi e la testa
devono muoversi. Soltanto questo riesce a dare un’identità all’immagine
attraverso diverse vedute. Le parti del tutto: un edificio in un dato momento
è visto incompleto e privo di significato a meno che il progettista non
prenda accurate precauzioni. La
composizione di un tutto a partire da parti indipendenti può essere
coordinata da una subordinazione gerarchica che aiuta l’osservatore nelle
valutazioni dimensionali. L’edificio reso visibile: l’edificio ha
visioni che gli appartengono e visioni che favoriscono lo spettatore. Non è
una distinzione netta poiché le proprietà visive di un edificio sono
concepite in funzione dei loro osservatori, ma questa distinzione sottolinea
la natura dualistica degli edifici. Visto di fronte l’edificio pone
l’osservatore come suo padrone, con una prospettiva isometrica si potranno
vedere solo due facce. Casi in cui si può mostrare tridimensionalità e
frontalità contemporaneamente sono il bovindo e gli edifici esagonali o
ottagonali. Obliquità e profondità: Se un osservatore si pone secondo un angolo orizzontale
obliquo rispetto ad un insieme architettonico, si vedrà sfalsato rispetto al
quadro spaziale del luogo, e non viceversa. Molto dipende dalla capacità
dell’insieme architettonico di tracciarsi in un quadro visivo: nessuna
direzione dovrebbe guardare frontalmente il visitatore. Il punto di osservazione
obliquo è molto utile per congelare un punto di stazione e poter disegnare
una certa angolazione, per lasciare intendere i diversi elementi dell’oggetto
architettonico. La Rotonda di Palladio
vista obliquamente si sbarazza della sua piattezza e si inserisce nel sistema
delle dimensioni spaziali. La visione che dà ad un edificio l’idea di insieme
è quella dall’alto, possiamo affermare
lo schema fondamentale ma questa rende l’edificio piccolo e inacessibile. |
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Capitolo V– Mobilità |
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L’autonomia dei contenitori: Un uovo rappresenta il prototipo dell’abitazione indipendente. Non è
fabbricato dal suo occupante ma è adattato a quest’ultimo. Viceversa gli
edifici sono destinati a durare fuori luogo in vista di un uso specifico. La
casa mobile è il germe dell’architettura moderna. Deve essere chiuso e
protetto per comportare autosufficienza e indipendenza di ubicazione. L’uomo
così possiede sempre un guscio protettivo ma senza bisogno di essere radicato
al terreno. L’immobilità nobilitata: L’edificio trae vantaggio dalle cose che trascendono il movimento. Il
mutamento del luogo influisce alla distruzione sulla permanenza di un oggetto
come la distruzione stessa di un edifcio. Vedere una statua o una casa spostate dal loro luogo genera due diversi
aspetti psicologici: uno deriva dal mutare del contesto, che genera
nell’oggetto un cambiamento di carattere, l’altro deriva dalla perdita di
autonomia dell’oggetto che è stato modificato. La mobilità se percepita come conguente
all’autonoma iniziativa dell’oggetto, può aumentarne anziché diminuirne il
potere, come avviene nelle sculture cinetiche. Per il momento l’architettura
è la controparte stabile della mobilità dell’uomo. L’architettura offre però
un suo movimento attraverso tutte le persone che l’attraversano. Il riparo e la tana: Rispetto
alla mobilità l’architettura ammette due soluzioni fondamentali: il riparo e
la tana. Il riparo è un contenitore, come un uovo, che deriva la sua forma
dalla propria funzione; la tana è il genere opposto, è il risultato della
penetrazione di chi vi dimora. La tana come il riparo può essere
tridimensionale, ma la sua tridimensionalità è formata da un sistema di
canali lineari, non di sagome dominati dalla terza dimensione. Un edificio del genere “riparo” è concepito come una forma senza
tempo, le cui funzioni sono collegate le une alle altre. Comportamento motorio: L’architetto del tipo tana deriva da un comportamento motorio.
Progetterà un edificio come un sistema di artiere avrà curve dolci, fluenti,
ininterrotte e cercherà di eliminare ogni spigolosità. La mobilità sarà
lineare e diretta in avanti, qualsiasi deviazione dal persorso rappresenterà
un impedimento. Un’architetto per questo deve trasmettere ai suoi fruitori
una disposizione globalmente semplice, poiché la visione è il principale
strumento per il movimento motorio. La dinamica del canale: Una strada o un canale di forma
regolare vengono visti diretti verso l’orizzonte, creando un percorso
dinamico, ma la distorsione prospettica ci offre la veduta di un
restringimento che si completa con una chiusura. Paradossalmente tale
convergenza rimane sempre alla medesima distanza. Noi ci spostiamo ma ci
sembra che siano le cose intorno a noi muoverci ed essere noi fermi.
L’osservatore così sperimenta un insieme di vedute trasformate dalla
prospettiva. Per loro intrinseca natura gli edifici devono unire fra loro
passaggi e luoghi di dimora. Si ha comunque una rigidità ma visibilmente si
hanno molte sorprese, come l’asprirsi di uno spazio imprevisto. |
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Capitolo VI – Ordine e
disordine |
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La contraddizione è un difetto: La contraddizione è un affronto all’ordine, è un errore dovuto ad
ignoranza, trascuratezza e fraintendimento. L’ordine va ritenuto indispensabile
al funzionamento di qualsiasi cosa, ed è possibile a qualsisi livello di
complessità. Le coercizioni all’ordine: L’ordine nasce a meno che alcune circostanze lo impediscono. Se un
sistema è costituito da forze chiuse, queste si disporranno in modo da
ridurre al minimo la tensione del sistema stesso, creando un equilibrio
immutabile a meno di forze esterne. L’ordine in architettura si verfica
quando ogni parte può mutare di posto senza che nel sistema si verifichi
alcuna mutazione. Tre modificazioni dell’ordine:
Come far rumore: L’architettura ha
vari modi di esprimere tensione, interferenza, distorsioni e analoghe
modificazioni dell’indisturbata armonia, ma in generale non rientra il rumore
dell’imperfezione. Gli architetti cercando di far rumore ispirandosi alle
irregolarità che trovano nel loro cammino, ma un’irregolarità senza causa è
un espediente poco serio. Il disordine, le sue cause, e i suoi effetti: Il disordine non è semplicemente mancanza di ordine, nasce dalla
discordia fra ordini parziali, dalla mancanza dei loro rapporti. Questi
nascono comunque da un ordine tra le cose, perché senza il nulla, niente
mancherebbe. Come nella figura a,
elementi ordinati risultano disordinati perché ogni relazione viene distrutta
da un’altra. Questo è riscontrabile anche nella facciata della Certosa di
Pavia (in figura b) dove la grande complessità strutturale è scandita da
nessun elemento prominente, salvo l’arco centrale. L’osservatore è
disorientato dalla lotta fra rapporti
contraddittori. Le situazioni disordinate sono individuate
intutivamente attraverso lo sconforto provocato dal loro aspetto complessivo.
Figura a
Figura b Livelli di complessità: L'ordine si
trova a ogni livello di complessità. Quanto più complessa è la struttura,
tanto maggiore è l'esigenza di ordine. Una delle più comuni fonti di
complessità ordinata è l'attivazione rispetto alla norma. Ogni deviazione percepita da una norma
virtualmente presente, conferisce all'oggetto una forte tensione dinamica,
che si indirizza verso la norma o se ne allontana. Questo è riscontrabile
nelle facciate barocche che deviano rispetto alle piatte fronti delle
costruzioni, creando una forte dinamica visiva. Il nemico della complessità è il disordine
poiché la complessità cerca di unire in una stessa struttura elementi e
dimensioni diverse. L’ ordine è messo in pericolo quando le deviazioni sono
tanto forti da ribaltare lo schema dell'insieme, come per esempio l'aggiunta
di un intruso che può essere troppo forte per essere assorbito dalla
struttura dominante o troppo debole per agire come controforza equilibrante.
Se l'equilibrio non è raggiunto la conformazione non da nessuna indicazione
leggibile circa la sua natura e sul significato, perciò appare disordinata. Porta Pia: Porta Pia a
Roma, opera di Michelangelo, è stata deliberatamente creata componendo
un'incredibile quantità di particolari barocchi a partire dalla grande parete
piatta al centro. Il portale risulta senza rapporti con l’attico il quale si
presenta come prolungamento verticale. Un simile rapporto determina un caso
tipico di disordine, poiché le due unità non sono né veramente affini, ne
veramente diverse. Se fossero abbastanza simili la loro relazione potrebbe
essere una duplicazione, ma i due elementi non possono essere visti come un
prolungamento l'uno dell'altro giacché il portale non si presenta come base
dell’attico. Non si può parlare deliberatamente di disordine poiché
Michelangelo non presi direttamente parte al progetto dell'attico. Interazione di configurazioni: L’ordine nel
quale gli insiemi siano composti di parti autosufficienti sono quelli di più
facile comprensione per la mente umana. Ciascuna parte può essere considerata
isolata, più facile da analizzare. La più elementare forma di questa
concezione sommatoria è la progettazione modulare. Simbolicamente una
struttura indipendente può essere congeniale ad una società in cui ogni
individuo gestisce il proprio dominio. Nonostante tutto questo, le strutture
non saranno mai completamente indipendenti, ma mantenute compatte da uno
schema organizzato. Elementi equilibranti: La distinzione fra
organizzazione dall’alto e organizzazione dal basso suggerisce un ulteriore
modo di descrivere diversi tipi d’ordine. Un esempio è Casa Rietveld: presenta
un piano grosso modo rettangolare e si erige da un’ampia base, passando per
vari livelli. Tradizionalmente, lo
schema generale basato su pianta e alzato governa, la formazione di tutte le
componenti. La gamma degli ordini: L’ordine per forze di cose è
coercizione. Esso prescrive il luogo e la funzione di chiunque e di qualsiasi
cosa vi partecipi. I principi e i fini da cui discende l’ordine di un sistema
difficilmente possono limitarsi a riprodurre quelli che presiedono alle sue
parti componenti. Diverso invece è il
genere d’ordine che presiede ai sistemi ecologici e sociali. Qui il
funzionamento complessivo dipende dal coordinamento delle iniziative prese da
centri indipendenti. In architettura il problema esige soluzioni
continuamente rinnovate in due settori: i rapporti fra progettisti e
costruttori, e quelli fra costruttori e committenti. Anche questi contrasti
conducono ad una rottura strutturale, come l’alienazione fra interno ed
esterno. Differenti
funzioni, ordini diversi: C’è differenza fra l’ordine,
relativamente rigido, che domina tutti gli aspetti architettonici di un
edificio, e la relazione tra esso e i suoi accessori. Nell’ambito dell’ordine
complessivo che integra le varie funzioni di un edificio o di un complesso di
edifici, le componenti destinate a funzioni diverse richiedono un’autonomia
maggiore di quella consentita in uno spazio o gruppi di spazi assegnati ad
un’unica funzione. Non si può sperare che tutte le funzioni si differenziono
automaticamente nell’aspetto. A livello di progetto genereale, l’unità può
indicare un ruooa e una funzione comuni, cui a un livello più basso le
differenze si dovranno conformare. In generale, ordini fra loro distinti
possono restare contigui senza alcuna pretesa di un’unità funzionale fra le componenti
e con la stessa profondità. Infatti
l’assenza di rapporti fra ordini aggregati non crea necessariamento un
“cozzo” generante disordine. |
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Capitolo VII- I simboli della dinamica |
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Etichette visive: Le variabili delle costruzioni urbane si aggregano fino a formare una
specie di linguaggio visivo, che ha una parola diversa per ogni tipo di
fabbricato. La tipicità è un modo di apparire derivante in parte dalle
funzioni pratiche. Gli edifici sono portatori di un’ideologia, come nel caso
di chiese moderne che vogliono far capire che anche la religione si tiene al
passo con i tempi. La semantica dell’architettura presenta l’individualismo
come forma di concorrenza commerciale che altera la nozione di originalità,
per questo qualche architetto cerca di attirare l’attenzione sulle sue opere
rendendole completamente diverse dalle altre. Simbolismo: Il significato del termine simbolo si è appiattito fino a riferirsi solo
a immagini convenzionali. Il simbolismo architettonico nasce quando entrano
configuarazioni che trasmettono un significato convenzionale. Un’architettura
ben riuscita si limita di rado ad usare il simbolismo convenzionale, ma cerca
di assomigliare ad un’espressività basilare. Un simbolo, per sopravvivere,
deve assomigliare ad un immagine fisica, ed essere successivamente elevata da
un simbolismo sensoriale, come nel caso di una cupola: non significa più
specificamente il cielo religioso ma conserva sempre una relazione con il
cielo. Infatti i simboli più forti derivano da sensazioni percettive
derivanti da esperienze umane. L’espressione intrinseca: il simbolismo spontaneo deriva dall'espressione intrinseca degli oggetti percepiti. La forma di un oggetto deve essere vista come dinamica, deve essere percepita come un dinamico crescendo dal terreno. Henrich Wölfflin tratta dell'espressione percettiva affermando che “l'organizzazione dei nostri corpi è la forma che determinano stabilimento di tutti corpi fisici”, dimostrando che gli elementi fondamentali dell'architettura dipendono dalle esperienze che noi abbiamo avuto. Un osservatore non riceve alcun effetto diretto dalle sollecitazioni presenti nei materiali ma riceve un'immagine visiva che acquista nulla che acquista un suo carattere dinamico. La dinamica dell'esperienza percettiva costituisce la componente fondamentale dell'immagini visive. L’artefatto in natura: l'architettura si distingue nell’ambiente integrando le risorse della natura, ma inserendosi su una funzione specificamente umana. Per Adolf Loss, “l’architettura è semplicemente un’estensione della natura”. L'architetto non tenta di imitare la natura ma concepisce l'uomo come un prodotto della natura. Da questo punto di vista le architetture, per quanto in origine sfacciatamente umane, dovrebbero conformarsi alla natura ed essere formate al mondo della natura. Un esempio sono gli edifici che spuntano dal paesaggio, quelli “organici”. Al contrario, l'uomo può usare le forme architettoniche per dichiararsi creatura razionale. Questo è visibile nei giardini in cui impone un proprio ordine sull'irrazionalità della natura. E’ scultura?: la differenza fondamentale tra la scultura e l'architettura emerge con chiarezza dagli esempi che fanno leva sull'ambiguità fra i due settori. La casa sulla cascata sarebbe probabilmente fraintesa se venisse considerata come una struttura che offre una dimora sia ai suoi occupanti umani sia all'acqua che non è servita dalla costruzione ma è una componente che dirama tutta la sua dinamica. Proporzioni dinamiche: l'espressione dinamica non è proprietà esclusiva della forma nelle arti pure e applicate, come l'architettura. Essa è la qualità primarie di ogni percezione, è proporzioni, valutate con tanta sensibilità da artisti architetti. L'essere-aperto degli edifici: Un altro fattore che diviene davvero architettonico è l'essere aperto ed l’essere chiuso degli edifici. E’ possibile calcolare in termini puramente quantitativi quanta parte di una parete esterna aperta e quante chiusa. L'essere aperto rende dintorni accessibili agli abitanti di un edificio ed espone all'intrusioni provenienti dall'esterno. Man mano che ci avviciniamo a un insediamento umano l'essere aperto si infittisce sempre più di ostacoli. Quando agli spazi aperti e chiusi viene assegnata una superficie uguale l'effetto è quello di uno schermo dinamicamente neutrale e che all’edificio da una certa trasparenza. L'effetto di questi schermi dipende dalla capacità del loro spazi aperti chiusi di agire insieme come partizione o piano. Tale effetto è ottenuto in accordo con un principio percettivo fondamentale quello che una linea un piano devono essere in grado di completarsi nella mente dell'osservatore. I fabbricati solo di rado sono separati dallo spazio circostante da un fine completo, e per aprirsi all'esterno vi sono una varietà di soluzioni, come uno schermo di colonne ampiamente intervallate. L'essere aperto supera esplicitamente la dicotomia fra esterno e interno non nel senso che permette di osservare gli spazi interni da fuori ma l'aprirsi delle prime delimitazioni rivela il volume architettonico nella sua tridimensionalità. Espansione da una
base: sotto il
profilo dinamico, un edificio non è semplicemente un oggetto solido poggiante
su suo riquadro di terra. La più comune base dell'architettura è naturalmente
livello del terreno su cui edificio si erge. Il terreno si presenta come un
piano piatto, bidimensionale. È una base ma non ha un volume visibile e
perciò non si pone come idoneo generatore di forze percettive. Ciò significa
che un edificio deve trovare nella propria massa alle sue forze percettive e
la base dalla quale si potranno scaturire. Cefalù a tre dimensioni: un esempio che tratta bene dell'ascensione verticale è la cattedrale romanica di Cefalù con le sue due torri. Queste svolgono il loro compito più autorevolmente di quanto non faccia l'intera costruzione, perché utilizzano la loro altezza per creare un movimento ascendente, che si sviluppa con un lieve crescendo. Mettendo a confronto le dimensioni architettoniche dell'alzato della pianta, la verticale da all’edificio un'immagine visiva monumentale, mentre l'orizzontale interpreta l'interazione fisica fra uomo e fabbricato. La dinamica degli
archi: il Duomo di
Cefalù si caratterizza anche per gli archi del portico, di cui quello centrale
è a tutto sesto, mentre gli altri due sono a sesto acuto. Loro dimensioni
metriche sono simili, dato che l'altezza uguale, ma nella loro dinamica la
differenza fondamentale. La curvatura semicircolare dell'arco centrale
diffonde equamente suoi vettori in tutte le direzioni, senza strade
preferenze. L'arco tutto sesto si fonde con le colonne di sostegno,
partecipando così alla dinamica verticale. L'espressione degli archi a tutto
sesto è caratterizzata dalla parte della circonferenza che viene utilizzata appena
la curvatura circolare dell'arco supera la metà, la tendenza del cerchio è a
chiudersi tutta la sua forza. Questo significato che la curva circolare
rinuncia la propria simmetria centrale e si conforma invece all'asse di
simmetria verticale della struttura. In generale gli archi sono perlopiù
adatti alla dimensione verticale dell'edificio grazie la loro combinazione
con le colonne o i pilastri così su su cui
poggiano. |
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Capitolo VIII- Espressione e
funzione |
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Ornamento e oltre: Una distinzione
fra necessità strutturale e ornamento è reclamata da due modi di concepire la
natura dell’architettura. Quello è più primitivo definisce la funzione della
costruzione semplicemente sulla base dell’esigenza fisica di avere un riparo.
Da questo punto di vista, sembra esistere una differenza fra quello che
diviene riparo e quello che è struttura. Essendo che tutte le richieste
fisiche dell’uomo si esprimono come esigenze mentali, è giusto affermare che
l’architetto soddisfa quest’ultime. Dopo la necessità strutturale, viene
l’ornamento, che in passato sembrava essere prenominante sulla struttura, ma
è possibile unire le due cose, come avviene nel caso di capitelli corinzi o
nelle nervature indicanti la struttura di Nervi. L’espressione della dinamica: Da due concetti chiave, struttura ed espressione, è il primo ad essere
più familiare agli architetti, anche se non c’è accordo sul suo significato.
Il secondo risulta quasi assente anche se molto importante. Questi due
concetti non hanno un rapporto chiaro, perché quando un architetto decide che
la funzione va limitata per soddisfare le esigenze umane, restringe le
proprie vedute. I mezzi per soddisfare le esigenze sono molte: conformità
degli ambienti, isolamento, ecc..questo discorso vale quando la funzione deve
soddisfare i fabbisogni del committente. L’espressione invece si basa sulla
dinamica della forma visiva, ovvero una proprietà che la mente fornisce
spontaneamente e universalmente a qualunque forma che sia percepibile. La funzione non può produrre forma: La funzione non può coincidere con la forma, ma ha delle connessioni
con essa. Quanto più espliciti sono i requisiti funzionali tanto maggiore
sarà la gamma di soluzioni. Non basta la funzione fisica per determinare la
forma, né così si può spiegare perché funzione ed espressione siano connessi.
Cosa esprimono i vasi: Si devono
prendere in considerazione oggetti funzionali e semplici per capire che “l’architettura dovrebbe far sorgere in
noi sentimenti analoghi ai loro contenuti”. I vasi possono essere di
forma diversa, ma tutti hanno la stessa funzione fisica: del ricevere, del
contenere e del versare, e tutti hanno manici. La particolare dinamica di
ciascuna configurazione è influenzata da quelle funzioni e l’apparenza
percettiva varia di conseguenza. La loro forma incarna le loro funzioni ma
soprattutto la loro qualità dinamica esprime queste funzioni. Simbolismo spontaneo: Mies e Nervi: E’ impossibile descrivere le qualità dinamiche di una forma senza
evocarne il loro simbolismo spontaneo. Il simbolismo diventa materia,
traducendo le funzioni di un oggetto nel linguaggio dell’espressione
percettiva. Due esempi esprimono questo concetto. La poltrona Barcellona di
Mies van der Rohe (1927) non ha componenti verticali e orizzontali, non
chiede al fruitore di adattare il suo corpo alla sua rigidità e la curva
denuncia di riuscire a reggere il peso. L’irrisistibile dinamica della
poltrona smaterializza l’oggetto facendolo diventare portatore di forze. Un
tema simile a questo è riscontrabile nella Tribuna dello stadio comuna di
Firenze di Pier Luigi Nervi (1928) in cui la stabilità visiva dello schema
verticale ed orizzontale è esplicitamente dichiarata e attraverso la libertà
del suo aggetto, questa forma emancipa la forza di gravità. Gli edifici modellano il comportamento: L’espressione visiva degli oggetti architettonici non può essere
trattata come vedute distaccate, poiché sono specchio degli atteggiamenti
delle persone ma attivamente danno forma al comportamento. I fabbricati
riescono ad incidere su quando ciascuno di noi riesca a prendere decisioni
individuali od obbidire alle limitazioni spaziali. Come le idee raggiungono la forma: L’idea germe di un progetto architettonico è far capire
all’osservatore, attraverlo lo schema strutturale, il significato del
progetto stesso. L’interezza di un progetto ci fa capire l’ordine logico
dall’idea alla concretizzazione finale. Un edificio può servire solo da mezzo
per il fruitore per compiere le proprie attività, attraverso i suoi mezzi più
importanti: dimensioni, forme e relazioni spaziali. Le proprità
formali di un edificio non sono gli aspetti esteriori, ma le relazioni
strutturali e funzionali che trasformano l’oggetto in modo da essere compreso
dal consumatore. In questo modo si capisce che è il “programma” di un
edificio ad assumere la forma. |
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GLOSSARIO |
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DINAMICA – costituisce il
fattore decisivo, quantunque il meno esplorato, della percezione sensoriale. |
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