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Descrizione: 519KAAHYatL

titolo

LE SETTE LAMPADE DELL’ARCHITETTURA

 

editore

JACA BOOK

 

luogo

MILANO

 

anno

1982

 

 

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

 

 

Titolo originale: John Ruskin, The Seven Lamp of Architecture, 1849

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

Descrizione: 519KAAHYatL

L’opera ha lo scopo di richiamare l’attenzione sul significato di architettura e sui doveri che l’uomo ha sia nei confronti della nuova che occorre costruire, sia dell’antica che deve essere conservata. Mira pertanto a definire le sette lampade dell’architettura, ovvero quei principi generali applicabili a ogni suo periodo e stile.

Vi si ritrova la posizione particolare dell’autore nei confronti del restauro architettonico, maturata anche attraverso i numerosi viaggi in Italia: la sua concezione di restauro, definito "restauro romantico", ritiene immorale l'intervento di restauro, comunemente praticato nella sua epoca, inteso come sostituzione della copia all'originale. Egli sostiene la necessità di conservare l'esistente, ammettendo quegli interventi di comune manutenzione utili a prolungare il più possibile la vita dell'architettura antica, alla quale va riconosciuto anche il diritto, quando sarà giunto il momento, di morire.

  

Giudizio Complessivo: 7 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Federica Martini

 

Descrizione: images

Autore John Ruskin

John Ruskin (Londra, 8 febbraio 1819 – Brantwood, 20 gennaio 1900) è stato uno scrittore, pittore, poeta e critico d’arte britannico. Fu uno dei fondatori dell’Arts and Crafts Movement, uno dei precursori dell’Art Nouveau e fermo oppositore del capitalismo e dell’industrialesimo.

L’autore nel complesso della sua opera affronta un percorso che parte dall’osservazione della natura attraverso la poesia, le arti figurative e l’architettura in particolare e che conduce a meditare sull’ambiente determinato da tali architetture e sulla condizione della vita degli uomini che vi vivono e alla coscienza del rapporto esistenziale tra essi e l’ambiente di natura, d’arte e di storia che li circonda. “Le sette lampade dell’architettura” segna il momento in cui Ruskin prende coscienza dell’esistenziale relazione tra arte e società, ovvero tra l’uomo e ciò che lo circonda (che sia prodotto da lui o dalla natura).

John Ruskin

 

Contenuto

L’opera ha lo scopo di richiamare l’attenzione di tutti sul significato di architettura e sui doveri che l’uomo ha sia nei confronti della nuova che occorre costruire, sia dell’antica che deve essere conservata. Ruskin afferma che “i capitoli di quest’opera hanno la sola pretesa di essere l’illustrazione dei principi dell’architettura, non un saggio sull’architettura europea”. Ogni capitolo è perciò dedicato a uno dei 7 principi dell’architettura, che egli chiama “lampade”: sacrificio, verità, potenza, bellezza, vita, memoria, obbedienza.

Principalmente, è il sesto capitolo (“La lampada della memoria”) che contiene le pagine dove Ruskin ha segnato la dottrina della conservazione che la moderna cultura sostiene e porta avanti. È da rilevarsi qui l’affermazione dell’esigenza non tanto di proteggere i monumenti antichi, quanto di asservire ai medesimi principi sia la costruzione della nuova architettura che la tutela dell’antica, affinché esse costituiscano, unitariamente, elementi integranti dell’ambiente di vita della società umana. Lo stesso capitolo viene quindi diviso in due parti: la prima dedicata alla costruzione del nuovo, agli effetti del tempo sugli edifici e al concetto di “pittoresco”; la seconda in cui tratta dei problemi della tutela e del restauro dell’architettura antica.

Ruskin parte dunque dall’affermazione dell’importanza fondamentale del rapporto esistente tra la natura e l’opera dell’uomo e tra le cose e il ricordo e individua l ‘architettura come l’elemento senza la quale non si può ricordare. Noi uomini abbiamo il duplice compito di dover conferire una dimensione storica all’architettura di oggi e di conservare quella delle epoche passate come la più preziosa delle eredità.

 

CAPITOLI

Prefazione e Introduzione

La prefazione all’edizione 1880 de “Le sette lampade dell’architettura” rappresenta uno degli ultimi scritti dell’autore e permette di rilevare il giudizio che egli stesso attribuisce all’opera: la definisce la più inutile che abbia mai scritto in quanto “gli edifici che vi sono descritti sono ormai andati distrutti, oppure sono diroccati e rappezzati con gusto mediocre e impersonale”. Afferma che “i capitoli di quest’opera hanno la sola pretesa di essere l’illustrazione dei principi dell’architettura, non un saggio sull’architettura europea” per mettere l’accento sul ridotto numero di edifici a cui si fa riferimento, e spiegando inoltre che gli esempi da lui riportati fanno riferimento agli edifici o alle scuole architettoniche che predilige.

L’autore introduce il lettore ai sette principi dell’architettura, definendoli come quelle leggi fondate sulla natura dell’uomo e non sul suo sapere; queste leggi sono costanti, generali e inconfutabili e non vengono invalidate dallo sviluppo del sapere dell’uomo.

  

Capitolo I – La Lampada del Sacrificio

“Tutta l’architettura si propone di influire sullo spirito dell’uomo, non solo di offrire un servizio per il suo corpo. L’architettura è l’arte che acconcia e adorna gli edifici eretti dall’uomo per qualsiasi impiego, in modo tale che il vederli possa contribuire alla sua salute, al suo vigore e al suo piacere di ordine intellettuale”.

È indispensabile distinguere nettamente tra architettura e costruzione. Costruire significa mettere insieme le parti di un edificio; il costruito però non sempre è architettura. L’architettura è invece l’arte che ammette come condizioni del suo operare la necessità e gli usi comuni del costruire e imprime alle forme del costruito determinati caratteri di venerabilità o bellezza, per il resto non necessari; essa si interessa solo di quelle caratteristiche di un edificio che sono al di là del suo uso comune. Per esempio: “nessuno chiamerebbe architettoniche le leggi che determinano l’altezza di un parapetto o la posizione di un bastione. Ma se alla pietra che fa da rivestimento a quel bastione si aggiunge un tratto non indispensabile, come una modanatura, quella è architettura”. Non è sempre facile tracciare in modo netto la linea di demarcazione perché vi sono pochi edifici che non abbiamo qualche pretesa o parvenza di architettura, né vi può essere alcuna architettura che non sia fondata sulla costruzione.

 

L’architettura si distingue in 5 categorie:

  1. Devozionale: costruzioni erette per il culto e l’onore di Dio;
  2. Celebrativa: monumenti e tombe;
  3. Civile: edifici destinati ad attività e divertimenti comuni;
  4. Militare: strutture di difesa;
  5. Domestica: luoghi di abitazione.

Tra i principi che Ruskin vuole sviluppare, per quanto tutti applicabili a ogni periodo e stile artistico, ce ne sono alcuni che fanno riferimento più a un genere di costruzione piuttosto che a un altro; tra questi c’è lo spirito, che fa particolare riferimento all’architettura devozionale e celebrativa. Si intende lo spirito che offre per opere di tal genere oggetti preziosi, non in quanto necessari alla costruzione, ma in quanto offerta, rinuncia, sacrificio di ciò che è per noi desiderabile. “Il lusso privato dev’essere sacrificato in favore della prosperità nazionale”: e Ruskin non intende solo doni materiali, ma anche azioni.

L’autore afferma che il sacrificio è per la maggior parte assente ai nostri giorni: oggi si ambisce a produrre i risultati maggiori al costo più basso.

  

Capitolo II – La Lampada della Verità

“La verità (…) quel pilastro della terra”: Ruskin invita a ripudiare la menzogna, individuando le forme di falsità che si sono insinuate nelle abitudini della nostra vita quotidiana.

L’autore sottolinea la differenza tra immaginazione e inganno: l’immaginazione è un volontario fare appello a cose che sono assenti o impossibili; se l’immaginazione inganna, diventa follia. Si potrebbe per esempio pensare che l’arte della pittura non sia altro che un tentativo di inganno; essa invece è l’esposizione di determinati fatti nel modo più chiaro possibile. Per esempio, quando si vuole descrivere una montagna, si parte dalla descrizione della forma e del colore; le parole non bastano, e quindi la si disegna e colora. Si prosegue poi aumetando i dettagli, finchè la scena non sembrerà realmente esistente. Essa è la comunicazione di un atto dell’immaginazione, non una menzogna. La menzogna può invece per esempio esistere nella falsa rappresentazione di forme e colori. Le violazioni della verità che disonorano poesia e pittura sono quindi limitate al modo di trattare i soggetti.

 

In architettura è possibile un’altra violazione della verità, più sottile e deprecabile.

Le frodi in architettura si possono dividere in 3 tipi:

  1. La creazione dell’effetto di una struttura diversa da quella reale (esempio i pendants nei soffitti gotici);
  2. La pittura di superfici volta a dare l’impressione di materiali diversi da quelli realmente impiegati (esempio la marmorizzazione del legno) (“I colori propri dell’architettura sono quelli della pietra naturale”) o l’ingannevole rappresentazione di ornamenti scultorei sopra esse;
  3. L’uso di ogni genere di decorazioni eseguite a stampo o a macchina invece che a mano (frode operativa).

Ruskin afferma che il primo passo da compiere è il “farla finita con queste cose”. E aggiunge: “Può darsi che non siamo capaci di far nascere a comando un’architettura buona, o bella, o inventiva; ma possiamo imporre un’architettura onesta: si può perdonare la secchezza di ciò che è povero, si può rispettare l’austerità di ciò che è utile, ma cosa vi può essere se non disprezzo per la meschinità di ciò che è falso?”. L’architettura sarà nobile in proporzione alla sua capacità di fare a meno di tutti questi falsi espedienti.

Vi sono alcune eccezioni: nella volta della Cappella Sistina, per esempio, Michelangelo dipinge anche delle architetture; in questo caso la pittura ha lo scopo di impreziosire il materiale e non viene scambiata dall’osservatore per qualcosa di reale (“la grande pittura non inganna mai”). Altra eccezione è per esempio rappresentata dal rivestimento marmoreo dei mattoni, a patto che si capisca chiaramente che il marmo sia un rivestimento applicato;è da considerarsi come arte musiva su grande scala.

  

Capitolo III – La Lampada della Potenza

Ruskin afferma che le opere di architettura si dividono in due categorie in base al ricordo che abbiamo di loro: l’una caratterizzata da preziosità e raffinatezza, a cui ritorniamo con un senso di affettuosa ammirazione; l’altra da una misteriosa e severa maestà che ricordiamo con reverenza, come quella che proviamo in presenza di una grande forza di spiritualità.

Dal novero di queste due categorie, caratterizzate da bellezza e potenza, finiranno per essere esclusi i ricordi di edifici che avevano destato interesse alla prima impressione, ma che dovevano la loro suggestione a caratteristiche di nobiltà meno durevole (come al valore del materiale, alla dovizia di decorazioni).

Aggiunge inoltre che tutto ciò che in architettura è piacevole e bello è un’imitazione delle forme naturali, mentre ciò che non è derivato in questo modo, ma dipende dall’accomodamento e dal governo che gli vengono dalla mente umana, diventa l’espressione della potenza di quella mente. L’arte di edificare perciò mette in luce la capacità dell’uomo di raccogliere e governare. Queste sono le due grandi lampade dell’architettura intellettuale: l’una consiste in una giusta e umile venerazione per le opere di Dio sulla Terra (la venerazione) e l’altra nella consapevolezza che l’uomo è stato investito della signoria su queste opere (il dominio, la potenza).

L’autore fa riflettere sul fatto che solitamente è l’uomo a distruggere la sublimità della natura, piuttosto che la natura che insidia la potenza dell’uomo. Per esempio l’uomo può rovinare un intero paesaggio attraverso la costruzione di una villa.

 

Per Ruskin è bene inoltre stabilire dall’inizio se il progetto di un edificio debba puntare prevalentemente sulla bellezza o sulla sublimità: se si sceglie la grandiosità è bene per esempio lasciar perdere le decorazioni, per evitare spreco di risorse e finanze. “La sventura della maggioranza dei nostri edifici moderni è che noi vorremmo che essi raggiungessero l’eccellenza sotto tutti gli aspetti”.

Tra le forme geometriche, quelle che conferiscono maggior potenza alla dimensione e forma dell’edificio sono il quadrato e il cerchio, e i relativi solidi cubo e sfera; la colonna quadrata e quella cilindrica sono quindi gli elementi di più alta potenza in tutte le soluzioni architettoniche. La sublimità di colonnati e navate sta nella ripetizione in serie di questi elementi, tale che l’occhio non sia in grado di enumerarli. Esempi: la cattedrale di Pisa e il Palazzo Ducale di Venezia (che per Ruskin è il modello di tutte le perfezioni).

 

Oltre che dalle dimensioni e dalla pesantezza, la potenza dell’architettura dipende dall’intensità del suo chiaroscuro, generato dagli effetti di luce e ombra. Le opere architettoniche sono usate e influenzano la vita quotidiana dell’uomo; si richiede allora a esse di esprimere un’affinità con la vita umana, attraverso una misura di oscurità equivalente a quella presente nella vita degli uomini. Sono necessarie quelle espressioni corrispondenti alle tribolazioni e ai tormenti della vita, ai suoi dolori e al suo mistero. E l’architettura può dare ciò solo con la profondità e la diffusione dei punti oscuri. “E io non credo che mai un edificio sia stato veramente grande senza avere delle masse d’ombra possenti, vigorose e profonde, combinate con le sue superfici”.

  

Capitolo IV – La Lampada della Bellezza

L’autore afferma che “l’uomo non può avanzare nell’invenzione della bellezza senza imitare direttamente le forme della natura”, ovvero che “tutte le forme e le concezioni più attraenti sono prese direttamente dagli oggetti naturali; vorrei anzi che mi fosse concesso di sostenere anche l’inverso: e cioè che e forme che non sono derivate dagli oggetti naturali sono necessariamente brutte”.

La bellezza deve essere osservata con calma; è quindi bene non decorare oggetti che sono destinati alla vita lavorativa (per esempio le facciate delle botteghe o le stazioni ferroviarie), ma solo quelli destinati al riposo: “mettetela nel salotto, non nell’officina; mettetela sui mobili di casa, non sugli utensili per il lavoro manuale”.

 

Per Ruskin il concetto di bellezza è legato a quello di frequenza: più una cosa in natura è visibilmente frequente, più è bella; e aggiunge visibilmente poiché “le forme delle cose che giacciono nascoste nelle viscere della terra (…) non era evidentemente intenzione del loro Creatore che fossero esposte abitualmente agli sguardi dell’uomo”. Con il termine frequenza non si indica la mera quantità: per esempio la rosa: “sulla pianta non vi sono tante rose quante sono le foglie. Sotto quest’aspetto, la natura è avara delle sue bellezze più eminenti, e prodiga di quelle che lo sono meno. Io definisco però il fiore frequente quanto la foglia, perché dove si trova l’uno, là vi sarà di norma l’altro”.

Ruskin riporta un lungo elenco di decorazioni che egli critica poiché non sono realmente ispirate alla natura: tra queste le ghirlande e i festoni di fiori (“ le disposizioni innaturali sono brutte esattamente quanto le forme innaturali”), i nastri e le scritte (“fra tutte le cose che non hanno somiglianza con la natura, le lettere sono, forse, quelle che ne hanno meno”).

La buona decorazione consiste invece nella disposizione accurata di forme, tale da imitare o suggerire le cose più comuni esistenti in natura, considerando più nobili le decorazioni che rappresentano gli ordini più alti (l’imitazione dei fiori è più nobile di quella delle pietre, quella degli animali lo è ancora di più, e quella della forma umana è la più nobile). Ruskin annovera quindi tra gli esempi di buone decorazioni il capitello corinzio, bello perché “si dispiega sotto l’abaco come l’avrebbe dispiegato la natura, e perché comunica l’impressione che le foglie abbiano una radice in comune”. È quindi decorativo ciò che è frutto dell’imitazione.

 

L’imitazione però non può essere totale: la completezza assoluta della forma imitativa implica l’assenza di astrazione. Ruskin invita a essere prudenti nell’inserire la scultura nell’architettura perché una scultura perfetta potrebbe far passare l’architettura come “una pura impalcatura fatta per sistemarvi raffinate sculture”.

L’architetto non può rappresentare tutte le qualità, per esempio il colore o il profumo, degli oggetti naturali; l’immagine che egli riporta rappresenta ciò che è percepito attraverso uno sforzo intellettuale, la forma.

 

Ruskin procede con considerazioni sul colore dell’architettura: “credo che i colori dell’architettura dovrebbero eseere quelli della pietra naturale, in parte perché più durevoli, ma anche perché più perfetti ed eleganti”. Il colore deve essere indipendente dalla forma. In architettura è bene applicare sia la monocromia (sculture, bassorilievi, …) che la policromia (mosaici, affreschi, …).

 

Il capitolo si conclude con la descrizione del Campanile di Giotto, emblema di potenza e bellezza.

   

Capitolo V – La Lampada della Vita

Come si può rendere viva e vitale l’imitazione? Due caratteri dell’imitazione vitale sono la sincerità e l’audacia.

- La sincerità: consiste nel non tentare mai di dissimulare la fonte del prestito (gli architetti del romanico, per esempio, copiavano ove potevano capitelli e colonne); quando ci imbattiamo in un’ammissione così sincera veniamo a sapere che nell’animo dell’architetto c’è un senso di forza capace di trasformare e rinnovare qualcunque cosa esso faccia sua; è un omaggio a ciò che egli ammira, nel modo più aperto e indubitabile.

- L’audacia: è la capacità di sacrificare la tradizione quando diventa importuna.

 

La trascuratezza della rifinitura e della simmetria è un altro segno di vitalità: Ruskin afferma che “una perfetta rifinitura appartiene a un’arte perfetta, una rifinitura in evoluzione corrisponde a un’arte in evoluzione”. Introduce poi vari esempi, tra cui la Cattedrale di Pisa e la rispettiva torre (“Ora, questa io chiamo Architettura Viva. Vi è vitalità in ogni pollice di essa”), San marco a Venezia e il Palazzo Ducale.

Ruskin conclude con delle considerazioni riguardanti il fatto che quando si lavora su un edificio, bisogna farlo con affettuosità, con piacere. Propone l’esempio di una qualsiasi chiesa ricca di decorazioni, ma in cui gli operai hanno lavorato senza sentimento: il risultato è un edificio privo di vitalità. Da qui l’affermazione: “Il denaro non serve a comprare la vita”. Per lo stesso motivo, si deve fare a meno delle decorazioni eseguite a macchina, privilegiando il lavoro manuale dell’uomo, poichè in esso vi sono la fatica e il cuore.

   

Capitolo VI – La Lampada della Memoria

Ruskin incentra il capitolo sul fatto che senza l’architettura “si può vivere e si può pregare, ma non si può ricordare”. Bisogna pertanto conferire una dimensione storica all’architettura di oggi e conservare quella delle epoche passate come la più importante delle eredità.

Prosegue poi affermando che “gli edifici pubblici e privati che noi costruiamo raggiungono la vera perfezione proprio quando diventano commemorativi o monumentali”, caricandosi di un significato storico e metaforico.

 

Edilizia privata: Ruskin è contro il fatto che gli edifici siano costruiti per durare solo una generazione: la casa è custode dei ricordi della vita e contiene tutti i materiali che gli abitanti hanno amato e usato. Distruggendola non si dimostra alcun rispetto per quel luogo, né affetto. “Io vorrei che le nostre case d’abitazione fossero costruite per durare e per essere belle; ricche e piene d’attrattive”. La casa dovrebbe esprimere carattere e storia di ogni abitante; così Ruskin suggerisce di lasciare incisa su qualche pietra dell’edificio una breve sintesi della vita dell’occupante, elevando così l’abitazione a una sorta di monumento.

Egli è conscio che al giorno d’oggi l’uomo ha la sola aspirazione di entrare a far parte di un ceto superiore a quello che è il suo ceto naturale; da qui la speranza di abbandonare le costruzioni che ha edificato e di dimenticare gli anni di vita passati. E “quando gli uomini non amano i loro sentimenti, non provano reverenza verso la loro casa”. L’autore aggiunge: “Io dico che se gli uomini vivessero veramente da uomini, le loro case sarebbero come dei templi, - templi che noi non oseremmo tanto facilmente violare e nei quali diventerebbe per noi salutare privilegio poter vivere”. L’architettura domestica è il principio di tutte le altre.

 

Edilizia pubblica: “non vi dovrebbe essere un solo ornamento applicato a un edificio di grande importanza civica che non fosse mosso da qualche intenzione di carattere intellettuale”; “meglio il più grezzo dei lavori che racconti una storia o commemori un fatto, del più raffinato che sia privo di significato”.

Ruskin afferma che quando noi costruiamo dobbiamo pensare al fatto che stiamo costruendo per sempre; con ciò intende che dobbiamo guardare al futuro, non soddisfando solamente i nostri bisogni quindi, né la sola utilità del momento. La nostra opere deve indurre i nostri discendenti a ringraziarci.

La gloria di un edificio non risiede quindi nelle pietre o nell’oro di cui è fatto, ma nell’età, nella testimonianza che ci è trasmessa dagli uomini del passato.

 

Ruskin procede analizzando il termine “pittoresco”: è sublimità parassitaria, ossia una sublimità che dipende da fattori accidentali (la bellezza non è pittoresca; lo diventa se vi è un elemento sublime). Il pittoresco si ricerca sempre nelle rovine perché si pensa consista nella decadenza; invece esso consiste nella sublimità delle crepe o nella vegetazione che assimilano l’architettura all’opera della natura. Si rischia però la soppressione dei caratteri autentici dell’architettura.

 

L’autore affronta poi il tema del restauro, definendolo come la peggiore delle distruzioni che un edificio possa subire: “È impossibile in architettura restaurare, come è impossibile resuscitare i morti”. Questo perché non si può rendere lo spirito dell’esecutore originario. Senza contare che restaurare per Ruskin implica l’utilizzo di volgari imitazioni: fredde copie di quelle parti che possono essere sostituite.  Inoltre per lui il restauro è una necessità distruttiva perché si fa prima a demolire l’edificio.

Allora, invece che trascurare l’edificio e poi restaurarlo, suggerisce: “Prendetevi cura solerte dei vostri monumenti, e non avrete alcun bisogno di restaurarli”. Solo così più generazioni potranno nascere e morire all’ombra di quell’edificio.

Non è infine nostro compito stabilire se conservare o no determinati edifici: essi appartengono a noi, ma in parte a coloro che li costruirono, in parte alle generazioni future, e saranno loro ad occuparsene. L’Architettura non deve finire come sempre distrutta senza una ragione.

 

Capitolo VII - La Lampada dell’Obbedienza

Ruskin sostiene che la libertà non esista. A dominare nell’universo è la Legge, ovvero l’obbedienza. Egli sostiene: “L’obbedienza è, invero, fondata su una sorta di libertà, altrimenti diventerebbe pura sottomissione; ma questa libertà è concessa solo perché l’obbedienza possa essere più perfetta”.

La stessa architettura non potrebbe mai fiorire, eccetto che soggetta a legge nazionale rigida e prescrittiva: “L’architettura di una nazione è grande solo quando è universale e consolidata come lo è la sua lingua”. Le opere architettoniche devono appartenere a una scuola.

Per Ruskin dapprima gli architetti devono imparare a operare secondo uno stile consacrato: devono catalogare, classificare e studiare le diverse forme e le diverse decorazioni dello stile e con esse lavorare, come se fossero un’autorità assoluta e inviolabile, senza ammettere la minima trasgressione. Poi, una volta aver conosciuto e aver preso dimestichezza con queste forme, possono permettersi qualche licenza, apportando cambiamenti o aggiunte alle forme che hanno assimilato, sempre entro certi limiti. E così, col procedere del tempo e in virtù di un grande movimento su scala nazionale, potrebbe nascere un nuovo stile.

L’architettura è l’arte fondamentale; la scultura e la pittura derivano da essa.

   

GLOSSARIO

Lampade – L’autore con questa parola intende definire i principi generali dell’architettura: quelle leggi fondate sulla natura dell’uomo e non sul suo sapere; esse sono costanti, generali e inconfutabili e non vengono invalidate dallo sviluppo del sapere dell’uomo.

Architettura – L’autore definisce l’architettura come l’arte che ammette come condizioni del suo operare la necessità e gli usi comuni del costruire e imprime alle forme del costruito determinati caratteri di venerabilità o bellezza, per il resto non necessari. Essa si interessa solo di quelle caratteristiche di un edificio che sono al di là del suo uso comune.