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Argomento e tematiche affrontate
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Tecniche di Invenzione
in Architettura tratta delle fasi iniziali della progettazione, dove da un
insieme di suggestioni e spunti si possono ricavare idee.
Viene indagato il
momento di sintesi, che è quello più importante perché senza di questo non si
potrebbero raggiungere gli obiettivi finali.
L’atto creativo non è
ineffabile, non ha uno schema fisso, ma si avvale di certi strumenti;
l’autore cerca di ricondursi ad un numero finito di tecniche che si possono
utilizzare nell’approcciarsi ad un progetto; ne vengono individuate otto:
metafora, straniamento, between, diagramma,
scomposizione o logica dell’elenco, tecnica additiva per sovrapposizione,
tecnica additiva per accostamento, contrasto; queste otto tecniche vengono
analizzate e spiegate fornendo anche degli esempi di architetture famose
sulle quali sono stati applicati.
Le tecniche
d’invenzione vengono lette, analizzate e proposte con una duplice valenza
ovvero come strumenti ideativi, nel senso che favoriscono l’innesco del
processo progettuale, lo agevolano e lo guidano, e come strumenti
interpretativi necessari all’analisi e all’interpretazione.
Zambelli analizza il
periodo del decostruzionismo perché ha rappresentato una grande fase di
critica dell’architettura dove è stato necessario contestare le basi e le
verità ereditate dalla storia per poter ritrovare uno spunto critico e senza
preconcetti.
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Giudizio Complessivo: 9(scala 1-10)
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Scheda compilata da: Matteo Sordi
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica
2 a.a.2012/2013
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Autore
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Matteo Zambelli è architetto, dottore di ricerca in Ingegneria Edile e
professore a contratto alla Facoltà di Ingegneria di Trento dove insegna
Architettura e Composizione Architettonica, svolge attività di ricerca nella
Facoltà di Ingegneria di Trento e di Ancona.
E’ autore dei libri: Morphosis.
Operazioni sul suolo (Marsilio 2005), Landform
Architecture (Edilstampa 2006), Mondaini-Roscani Architetti (Idea Books 2007).
E’ curatore del numero monografico de <<L’Industria delle
costruzioni>> dal titolo Forma, architettura, paesaggio.
Scrive occasionalmente per la rivista on-line <<Arch’it>>, per <<Arketipo>>
e per <<L’industria delle costruzioni>>.
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Matteo Zambelli
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Contenuto
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Il primo capitolo è
differente rispetto agli altri otto, è dedicato al periodo preso in esame,
quello decostruzionista, alle sue origini e alle sue tematiche. L’uso della cratività diventa basilare, le sue fasi servono a trovare
le idee per la progettazione.
Diversi architetti
famosi come Peter Eisenman (Diagram
Diaries), Bernard Tschumi
(Event Cities) e
scrittori come Gianni Rodari (Grammatica della
Fantasia) vengono citati con le loro poetiche.
La prima tecnica è la
Metafora, un trasferimento di significato da un oggetto all’altro. Gli esempi
più famosi tra le architetture sono il Guggenheim Museum
di Bilbao e Ginger e Fred di Steven Holl, il Museo
Ebraico di Berlino di Daniel Libeskind, la Cardiff
Opera House di Zaha Hadid.
Si prosegue con lo
Straniamento e in questo capitolo sono presi come esempi Casa Gehry, il Centro per Anziani di MVRDV e il Kursaal di Moneo.
Seguono il Between e il Diagramma con le descrizioni del Wexner Center e dell’Aronoff
Center di Eisenman e l’Ecole
d’Architecture di Tschumi e poi con il Bellevue Art
Museum di Holl e la
Biblioteca di Francia di OMA-Rem Koolhaas.
Il sesto capitolo
riguarda la Scomposione/Logica dell’elenco,
scomponibile in letterale e concettuale; nella prima troviamo come esempi la Winton Residence e Casa Gehry
di Frank Gehry e nella seconda diverse
realizzazioni di OMA-Rem Koolhaas come la Kunsthal e Sea Terminal.
Il settimo e l’ottavo
capitolo riguardano la Tecnica additiva, rispettivamente Sovrapposizione e
Accostamento; il grande progetto preso come esempio in entrambi i capitoli è Parc De La Villette. Oltra a questo troviamo lo ZKM
Center di OMA-Rem Koolhaas, il Padiglione Olandese
per l’Esposizione Universale ad Amburgo di MVRDV, Villa Dall’Aia di Zaha Hadid, la Biblioteca Jussieu di
Toyo Ito e il Multi Media
Studio di Kazuyo Sejima.
L’ultimo capitolo
tratta il tema del Contrasto, questo e ripartito in quattro parti: elementi
lineari vs elementi non lineari, scatole-piedistalli vs oggetti a reazione
poetica, contrapposizioni, scatole complesse.
Le architetture citate
sono: Palazzo del Cinema di Holl, Cardiff Opera
House e Case Iba di Zaha Hadid,
Kursaal di Moneo, Ufa Cinema Center di Coop Himmelblau, Museo Frederick Weisman
di Gehry, Biblioteca di Francia e Biblioteca Jussieu di OMA-Rem Koolhaas.
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CAPITOLI
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Capitolo
1 –
Decostruzionismo e Decostruttivismo
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Con il primo termine ci
si riferisce alla traduzione architettonica delle teorie filosofiche di
Jacques Derrida; con il secondo termine invece si
intende quella corrente nata dal costruttivismo, di cui i decostruttivismo
viene considerato una deviazione, una De-Formazione.
Entrambi hanno avuto il
loro battesimo nel 1988; il decostruzionismo all’International Symposium on Deconstruction tenutosi alla Tate Gallery di Londra, il
decostruttivismo alla mostra Deconstructivist
Architecture organizzata da Philip Johnson e Mark Wigley
al MOMA.
Decostruzionismo e
Decostruttivismo sono l’oggetto del dibattito tra due correnti: chi li
considera due elementi separati e chi li considera due sinonimi. Matteo
Zambelli li considera due sinonimi proprio perché risulta evidente la
convergenza di entrambi verso le stesse tematiche.
Per poter sviluppare
una critica corretta su questi temi è però necessario conoscere le basi del
pensiero di Jacques Derrida, ossia il suo attacco
alle verità fondamentali.
L’obiettivo
dell’architettura Decostruzionista è quello di mettere in crisi le basi della
tradizione architettonica non con l’intento di distruggerla ma con lo scopo
di migliorarla e conferirle una pluralità di interpretazioni e non degli
schemi fissi e rigidi.
Il Decostruzionismo è
destabilizzante, segue un percorso inverso a quello di tutti gli altri, ad
esempio ricerca la forma impura non quella pura, non cerca un rapporto col
contesto (perché considerata come una giustificazione alla mediocrità) ma
piuttosto si vogliono utilizzare gli elementi repressi e trascurati di ciò
che per noi è familiare. Il decostruttivismo non ignora il contesto ma è
anticontestuale.
Per i decostruttivisti
non esiste il rapporto forma e funzione ma piuttosto è la funzione a seguire
la deformazione; cade quindi l’idea che l’architettura possieda un unico
significato.
Svaniscono anche le
filosofie del visiocentrismo e
dell’antropocentrismo: infatti viene messo da parte il senso della vista e
privilegiati invece gli altri sensi; così è anche per l’antropocentrismo,
dove tutto è progettato a misura d’uomo, vengono infatti cambiati i punti di
vista per la progettazione (punto di vista del verme o quella del razzo verso
l’alto).
La creatività
La creatività si basa
su tre elementi:
-parte da elementi dati
-non ha uno scopo
preciso ma solo alcune restrizioni
-fornisce un risultato
nuovo per l’individuo
Non esiste quindi
l’atto del creare se non si possiedono della basi, non si può partire da una
tabula rasa; la fantasia si fonde sulla conoscenza, si basa sulla memoria.
Si procede quindi con
l’atto del creare però sono necessarie delle restrizioni che delimitano il
campo del problema. Parafrasando Bruno Munari è necessaria una strumentazione
perché i dati depositati nella memoria si inneschino e non rimangano inerti.
La terza componente
afferma che la creatività è un processo incerto e non deterministico, cioè ,
a differenza del calcolo e di altre procedure analoghe, le tecniche di
invenzione non assicurano un risultato certo. Per usare altri termini
l’architettura è un processo euristico, ossia un processo rischioso perché
frutto di operazioni non sistematiche che possono quindi portare ad un
insuccesso.
Gli architetti si sono
sempre serviti delle tecniche di invenzione; inizialmente non erano molto
chiari quali procedimenti seguisse gli architetti per supportare la fase
progettuale, proprio perché era presente tra loro una certa riluttanza
nel spiegarli, dovuta principalmente alla difficoltà insita in tale
procedimento o alla volontà custodire segretamente queste metodologie.
Nonostante questo,
alcuni architetti hanno intrapreso un percorso differente dagli altri e si
sono impegnati nell’indagare e nello spiegare questi meccanismi.
In “Diagram
Diaries”, Peter Eisenman
in Strumenti Concettuali e Strumenti Formali; ogni progetto è descritto
attraverso tecniche diverse attinte entrambe le categorie di Strumenti.
Bernard Tschumi in “Event-Cities” cita
come strategie concettuali l’in between,
il crossprogramming, il disprogramming,
il transprogramming. Il primo è considerato come
spazio interstiziale, mentre le altre sono definite come strategie
disgiuntive, cioè che mettono in dubbio il punto di vista dell’osservatore
minando le sue certezze e il senso comune delle cose.
Gianni Rodari nel 1973 scrive “Grammatica della Fantasia”
descrivendo delle tecniche per inventare le fiabe, tecniche che verranno poi
prese in esame cercando di riferirle a deli esempi di arte e architettura.
Le tecniche sono:
-Binomio Fantastico:
associare due parole di significato completamente diverso tentando poi di
trovare un legame tra loro. In architettura si può associare all’effetto di
spaesamento, a quello di straniamento e anche all’opposizione di materiali.
-Che cosa succederebbe
se: formulare un ipotesi e poi pensare al progetto.
-Errore Creativo: da un
errore voluto o meno possono nascere diversi spunti interessanti.
-Insalata di fiabe:
mescolare più fiabe per ottenere un ibrido; in architettura unire diversi
edifici o stili.
-La fiaba a ricalco:
ridurre la fiaba a pura trama ottenendo quindi una fiaba nuova.
Bruno Munari in
“Fantasia” si preoccupa di capire i meccanismi della fantasia, della creatività
e dell’invenzione.
Per Munari l’invenzione
è “tutto ciò che prima non c’era ma esclusivamente pratico e senza problemi
estetici”; cioè inventare significa pensare a qualcosa che prima non esisteva
senza preoccuparsi del suo lato estetico ma piuttosto che funzioni. La
creatività è invece un uso congiunto della fantasia e dell’invenzione; quindi
un connubio di aspetti inerenti alla fantasia, all’invenzione ma anche
aspetti sociali, psicologici.
L’immaginazione è il
mezzo per visualizzare ciò che è fantasia.
Secondo Munari esistono
sei operazioni fantastiche:
-rovesciare la
situazione: usare complementari, opposti, contrari.
-ripetizione senza
mutazioni di una cosa: moltiplicazione di parti atte ad alterare le forme
originarie.
-metonimia: affinità visive
o funzionali.
-straniamento
-morphing:
mettere in relazione cose diverse creando una cosa unica.
-relazione fra le
relazioni: associare tecniche diverse invece di usarle separatamente.
Per Franco Purini e
Laura Thermes invece sostengono che esista uno
“zoccolo duro” all’interno della creatività, cioè un insieme di regole
definite matematicamente. Ne vengono individuate sette:
-Associazione
concettuale fra elementi diversi: unire elementi apparentemente diversi e
autonomi
-Riduzione
all’archetipo: viaggio a ritroso alla ricerca dei caratteri primitivi degli
elementi
-Semplificazione e
schematizzazione dei sistemi di appoggio sul terreno
-Operazioni sulla
geometria semplice dei volumi puri e dei tralicci elementari
-Manipolazione di
elementi usuali: attuare piccole variazioni sul tema ottenendo la novità
-Straniamento
-Disarticolazione:
separare tutto ciò che è composto da più di un elemento ottenendo oggetti non
più riducibili.
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Copertina de “Grammatica della
Fantasia” Gianni Rodari
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Capitolo
2 – Metafora
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La metafora è una figura
retorica che implica il trasferimento del significato da una cosa all’altra;
sono utilizzate e risultano molto utili perché tramite queste si è in grado
di rendere più comprensibile un concetto.
La metafora è una
figura retorica molto versatile proprio perché non è mai definita ma
piuttosto apre infiniti orizzonti, soprattutto per quanto riguarda le chiavi
interpretative.
L’utilizzo della
metafora però non risulta semplice a tutti: infatti questa serve all’inizio
del nostro processo creativo, il suo compito è quello di condensare e
relazionare le idee; raggiunto questo step, la
metafora deve essere metabolizzata, adattata e infine abbandonata.
Secondo Antonino Saggio
la metaforizzazione dell’architettura inizia quando
Walter Gropius realizza l’edificio del Bauhaus;
infatti con questo viene cancellata ogni idea di tipologia edilizia, di stile
storico m soprattutto elimina ogni tipo di carattere simbolico e comunicativo
che si porta dietro un edificio.
Saggio ritiene la
costruzione del Guggenheim di Bilbao il manifesto della ritrovata capacità
mediatica e comunicativa dell’architettura, proseguendo poi con la stazione
dei vigili del fuoco di Zaha Hadid a Weil am Rhein e con il Nunotani Corporation Headquarters di Peter Eisenman.
Si può quindi parlare
di un’arte che perde il codice multiplo, ossia un’arte che passa da molte
chiavi di lettura diverse ( quindi più accessibili ad un pubblico comune) ad
un singolo codice specializzati accessibile solo ad una certa elitè di persona che nonostante questo dimostrano delle
difficoltà nel comprenderlo in pieno.
Il postmoderno ha
lamentato l’ascetismo dell’architettura razionalista e funzionalista cercando
poi di ristabilire la sua capacità comunicativa.
Frank Gehry
Guggenheim Museum, Bilbao, 1991-1997
Il museo di Bilbao è un
chiaro esempio di metafora che superandosi continuamente giunge alla
moltiplicazione di significati.
Gehry
infatti divide l’opera in più volumi a cui conferisce un nome ciascuno.
L’edificio rappresenta
un animale acquatico, un misto tra una balena (per le sue dimensioni) e un
serpente (per la sua flessuosità), perché sorge nei pressi del fiume Nervion; però la sua vicinanza ai cantieri navali
potrebbe far pensare che in realtà il volume rappresenti una nave. Il volume
dell’atrio centrale ricorda un’esplosione oppure un fiore; un’altra vista
dell’accesso fa sembrare l’atrio come una montagna con riflessi e ombre.
Frank Gehry ha ammesso di essersi ispirato a Metropolis di Fritz Lang.
Uffici Nazionali
Olandesi, Praga, 1992-1996
Gli Uffici Nazionali
Olandesi vengono soprannominati “Ginger e Fred” e si trovano nel centro di
Praga affacciandosi sul fiume Moldava.
Gehry
racconta come si sia ispirato ad uno foto di Ginger Rogers
e Fred Astaire mentre ballano, e di aver trasposto
le loro forme e linee nella forma dell’edificio.
Vengono progettati tre
corpi:
-Ginger - corpo a
sezione circolare in vetro trasparente
-Fred – corpo a sezione
circolare in vetro opaco e pannelli di calcestruzzo armato prefabbricato
-L’Onda – corpo
leggermente spanciato con motivi curvilinei e intonacati, realizzato in
pannelli di calcestruzzo armato prefabbricato.
Ginger è agile e
scattante infatti la torre è leggera e dinamica, Fred è agile ma anche solido
perché deve sostenere il suo peso e quello di Ginger.
Nel primo corpo Gehry riprende e reinventa le fasce marcapiano degli
edifici contigui decorando quindi la facciata; nel secondo le ondulazioni
conferiscono maggior continuità con l’andamento alterno dei cornicioni
adiacenti; il terzo corpo invece con le sue ondulazioni si avvicina alle onde
della Moldava.
Daniel Libeskind
Museo Ebraico, Berlino,
1990 -2000
Il museo ha la forma di
una stella di David distorta e zig-zagante metafora della sciagura che ha
quasi distrutto il popolo ebraico; l’edificio però non si limita a questa
metafora ma ne crea molte altre, nascoste e percepibili dai cinque sensi; è
un museo introverso.
L’ingresso conduce ad
una squarcio oltre il quale si dividono tre vie: il percorso che conduce alla
Torre dell’olocausto, quello che conduce al Giardino di E.T. Hoffmann e la scala di distribuzione.
La strada che porta
alla Torre ha il muro di colore nero, colore che sta a simboleggiare i
presagi infausti per i popolo ebraico e il suo annichilimento; alla fine del
corridoio si trova una porta spessa e pesante, il cui suono rimbomba e fa
precipitare chiunque si trovi nella torre nella più profonda inquietudine.
Qui si è completamente isolati dal mondo esterno proprio come lo erano gli
ebrei, non esiste alcun tipo di riscaldamento solo la realtà nuda e cruda. Sono
presenti anche dei fori per l’aria che ricordano quelli utilizzati per il gas
e una scala per le pulizie che rappresenta la speranza di salvezza, in realtà
solo apparente perché non è raggiungibile da nessuno.
Il percorso che conduce
al giardino di Hoffmann è in realtà una metafora
dell’esilio. Il giardino è sotto terra e contornato da un alto muro in
cemento armato che impedisce la fuga e conferisce quindi una condizione di
prigionia. Il piano di calpestio è inclinato di sei gradi per provocare
capogiro e nausea; sono presenti quarantanove pilastri coronati da alberi che
creano un labirinto aumentando ulteriormente il disagio. Gli alberi
rappresentano una natura benigna ma irraggiungibile, una speranza di ritorno
in patria e alla vita.
La scala di distribuzione
serve tre piani ed è illuminata dall’alto da lucernari e da finestre laterali
e rappresenta la speranza; alla fine, nonostante venga interrotta da un muro,
continua come la vita stessa.
Il tema generale del
museo è il vuoto, spaziale e senso di smarrimento del popolo ebraico; vuoto
come assenza di milioni di morti.
Libeskind
ha definito la sua idea come il “vuoto nel vuoto”, vuoto all’esterno e vuoto
all’interno.
Significative le
facciate che presentano aperture di forme non canoniche: sono degli squarci o
lacerazioni, quelle inflitte agli ebrei e indelebili ormai.
La pavimentazione è
costituita da elementi di diversi materiali di differenti forme e dimensioni;
il tutto fa pensare ad un fiume di anime, e la rotaia di un binario
ferroviario accentua il tutto.
Steven Holl
Cappella di
Sant’Ignazio, Seattle, 1995-1997
L’edificio ha origine
dalla metafora delle bottiglie di luce espressa dallo stesso Holl con un acquerello in cui un muro contiene bottiglie
di diversa forma, dimensione e colore.
Per una chiesa sono
stati importanti i giochi di luce, infatti Dio è luce ma si manifesta agli
uomini in diverse forme , in diverse guise e colori; da qui la motivazione
delle bottiglie colorate.
Durante il giorno la
chiesa è un insieme di luci mentre di notte si accende di policromie. La
forma e le dimensioni delle bottiglie sono attentamente studiate e calibrate
sulle dimensioni dello spazio che devono illuminare. I volumi sono multiformi
per rappresentare la varietà del popolo di Dio che nonostante le diversità si
riunisce per celebrare il mistero di Cristo; il muro che cinge la chiesa
serve appunto per permettere ai fedeli di rimanere più raccolti nella
preghiera.
Steven Holl per la varietà di bottiglie e il relativo utilizzo
si è ispirato agli “Esercizi Virtuali di Sant’Ignazio di Loyola” che suggerì
i diversi modi in cui i fedeli possono raggiungere la loro dimensione
spirituale.
Ognuno dei volumi
irregolari rappresenta un aspetto del rituale cattolico.
Zaha Hadid
Cardiff Opera House, Cardiff, 1994–96
Il progetto parte da
una metafora con una collana di perle: l’Opera House è composta da quattro
pezzi snodabili in ognuno dei quali è collocato un diadema di forme e
dimensioni irregolari.
I pezzi snodabili sono
gli spazi funzionali mentre le perle sono gli auditori.
La forma (a ferro di
cavallo) si rapporta a quella dell’antistante porto, dove sarebbe dovuta
sorgere l’Opera House; se però questa è considerata come un porto le quattro
parti snodabili sono da considerare dei pontili.
Osservando la
superficie sotto i pontili, si scopre che è mossa come il mare
increspato dal vento; Hadid lo definisce Bubble, uno spazio dove il pubblico può fare esperienza
del luogo e partecipare a esibizioni, saggi e programmi educativi.
Morphosis
Sun
Tower, Seul, 1998
L’edificio è una torre
di dieci piani situata nel centro di Seul nei pressi della stazione.
Il gruppo di
progettisti ha lavorato sul tema del rivestimento sia come metafora con
l’attività dell’azienda che vi ha sede (abbigliamento) sia per via delle
richieste del pubblico.
La torre è rivestita
con una veste di metallo traforato distante circa venti centimetri dal nucleo
centrale in cemento armato, proprio per enfatizzare l’idea del vestito.
Il distacco tra il
rivestimento dell’edificio e il corpo in cemento armato permette di apportare
modifiche all’aspetto dell’edificio a seconda delle diverse condizioni di
luce; le molteplici sfaccettature di Seul si rispecchiano quindi nelle
numerose pieghe dell’abito.
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Sopra: Museo Ebraico di Berlino,
Daniel Libeskind
Sotto: Museo Guggenheim, Bilbao, Steven Holl
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Capitolo
3 – Straniamento
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Lo straniamento è un
processo tramite il quale un oggetto viene sciolto dal legame che intrattiene
con un certo contesto semantico e viene introdotto in uno nuovo, cambiandone
quini il senso e traslandone il significato. L’efficacia dell’operazione sta
nel saper cogliere l’elemento straniato, senza il riconoscimento di questo
svanisce l’effetto di sorpresa e stupore.
In architettura lo
straniamento è stato teorizzato da Robert Venturi in Complessità e
contraddizioni nell’architettura dove, riferendosi alla Pop Art che
attribuisce significati non comuni ad elementi comuni, si può collocare
vecchi stereotipi in nuove configurazioni con il raggiungimento un ricco
significato; prosegue dichiarando che il compito dell’architetto è d
organizzare delle parti in un insieme introducendo elementi nuovi quando
altri diventano obsoleti. Predisponendo le parti viene creato un contesto.
La
decontestualizzazione che è implicita nello straniamento amplifica il
significato degli oggetti, architetture ed elementi il cui significato è
ormai intersoggettivamente condiviso e convenzionalmente codificato. Lo
straniamento moltiplica le chiavi di lettura e un conseguente
cambiamento del contesto.
Bruno Munari riconosce
e classifica sei tipi di straniamento:
-cambio di colore: Il
pane dipinto di blu di Man Ray, fatto di pane ma immangiabile, oppure le
opere di Jean Claude Christo
-cambio di materia:
orologi molli di Dalì in La persistenza della
memoria
-cambio di peso: nei
quadri di Magritte le rocce e gli uomini restano sospesi nel vuoto sfidando
le leggi della fisica
-cambio di funzione:
prendere qualcosa e usarlo con una funzione diversa
-cambio di luogo:
collocare un elemento in una posizione nuova oppure eliminare un elemento
caratterizzante di luogo sostituendolo con uno insolito
-cambio di dimensione:
modificare le dimensioni di un oggetto ingrandendolo o rimpicciolendolo, come
l’ago di Oldenburg nella stazione Cadorna di Milano.
Facendo riferimento al
libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” di Oliver Sacks, si può
veramente comprendere quale sia l’essenza dello straniamento.
Nel libro si fa
riferimento alla malattia dell’agnosia visiva, patologia che rende
impossibile riconoscere con la vista gli oggetti (pur vedendoci) confidando
solamente nel senso del tatto.
Per riconoscere un
oggetto bisogna quindi toccarlo, la stessa cosa funziona con lo straniamento
che significa ammalarsi di agnosia visiva rendendoci in grado di vedere le
cose come se fosse la prima volta, spogliandole del loro significato, uso,
contesto, funzioni.
Frank Gehry
Per parlare di Frank Gehry bisogna tenere conto di due cose: la sua formazione
di architetto e la città in cui vive, Los Angeles.
Gehry
si è formato a Venice dove gli artisti concepivano
lo spazio in maniera diversa non come un idele
concretizzato ma come un’architettura trovata, cioè scultorea, da scolpire a
mano; infatti l’architetto americano ritiene che l’architettura e l’arte
derivino dalla stessa sorgente.
Los Angeles è un
serbatoio di banalità urbana da cui attingere per trasformare materiali in
nuove realtà.
Gehry
ha imparato a non cercare coerenza e unitarietà nella città perché sono
valori che non appartengono più all’architettura; la città degli angeli è
quindi destinata a rimanere non conclusa come le architetture di Gehry.
Un motivo ricorrente
nella poetica di Frank Gehry è il tema e la forma
del pesce. L’architetto spiega come da bambino fosse solito recarsi al
supermercato con la nonna per comprare una carpa, con la quale giocava fino a
che la nonna non la cucinava nel Gefilte Fish; lui sente il tutto enfatizzato dentro di se.
Casa Gehry, Santa Monica, 1977-78
Il progetto è un
collage di materiali poveri e a buon mercato; l’architetto ha ricoperto la
casa preesistente in stile coloniale olandese con una serie di materiali
poveri, non comuni per una casa borghese. Gehry
utilizza materiali che sono utilizzati nelle zone povere della città ma anche
in quelle borghesi, solamente con scopi più utilitari (garage, cucce per
cani, depositi per attrezzi).
Lo straniamento in
questo caso dimostra l’abilità dell’architetto nell’usare il Cheapscape (universo dei segni degradati e compromessi
del paesaggio urbano).
Camp Good Times, Santa Monica Mountains,
1984-85
Il progetto è un
alloggio per bambini malati di tumore.
L’idea è quella di
creare un ambiente immaginifico, che appartenga ai sogni dei bambini. Le
forme sono conosciute ma estraniate dal loro contesto d’origine: uno scafo di
una barca rovesciato compone il portico, un recipiente di latte fa da cucina,
sono presenti un mulino e delle vele.
Chiat/Day Main Street Headquarters,
Venice, 1975-91
L’edificio è frutto di
una collaborazione con Claes Oldenburg e Coosje Van Bruggen. L’elemento
caratterizzante del progetto è il binocolo gigante affiancato ai corpi di
fabbrica. Il binocolo è collocato in quel punto per segnalare l’ingresso,
evidente l’ironia rivolta alla maestosità delle porte classiche. Divertente
anche il modo in cui fu deciso di collocare un binocolo; Gehry
colto alla sprovvista da una domanda del committente impugnò e posizionò il
primo oggetto che si trovò per le mani, convincendo il committente che aveva
trovato una soluzione al problema.
Bernard Tschumi
Nel Saggio Six Concepts
analizza il paradigma razionalista secondo il quale la forma segue la
funzione e sviluppa una sua opinione in merito; Tschumi
è convinto che in realtà vi sia una completa intercambiabilità tra forma e
funzione, ossia vi è un’interazione tra le due ma nessuna delle due segue per
forza l’altra.
Tschumi
propone quindi tre tecniche di spiazzamento:
-crossprogramming
-transprogramming
-disprogramming
Il crossprogramming
o programmazione incrociata significa utilizzare una configurazione non
designata per un determinato oggetto.
Il transprogramming
o transprogrammazione significa combinare tra loro
due elementi insieme alle loro configurazioni spaziali senza curarsi delle
loro incompatibilià.
Il disprogramming
o disprogrammazione consiste nel combinare due
elementi in modo tale che la configurazione spaziale di uno contamini quella
dell’altro.
Delle tre il crossprogramming è sicuramente il più utilizzato proprio
per il fatto che è più facilmente assimilabile allo straniamento per
cambiamento di funzione, gli altri due rappresentano uno straniamento in
misura minore.
Bridge City, Losanna,
1988
Bridge City è un
classico esempio di Crossprogramming; Tschumi dopo aver osservato diverse tipologie di ponte,
propone cinque ponti per poter collegare due zone collinari divisi da una
leggera depressione.
Ogni ponte è suddiviso
funzionalmente in tre parti indipendenti: a livello strada attività
commerciali di natura urbana, in zona centrale attività pubbliche e
commerciali e negli edifici sospesi aree adibite a hotel o appartamenti.
L’effetto straniante è
da ricercare nell’aspetto funzionale (a volte sono interrotti o ospitano
altre funzioni) non come nel progetto di Superstudio dove invece è di natura
dimensionale; il tema del ponte abitato ha sicuramente dei riferimenti nel
Ponte di Rialto e in Ponte Vecchio.
Bibliotheque
Nationale De France, Parigi, 1989
Questo progetto di Tschumi è un esempio di Transprogramming,
cioè deriva dall’accostamento forzato di due elementi: una pista di atletica
sollevata a trentatre metri dal suolo a coronamento della biblioteca;
l’architetto si è sicuramente ispirato all’edificio del Lingotto di Mattè Trucco
La pista di atletica
inteso come circuito è per Tschumi il concetto
organizzatore; malgrado questo il progettista si rammarica per la scarsa
contaminazione creatasi tra le due parti.
Rafael Moneo
Auditorium e Centro
Congressi Kursaal, San Sebastian, Spagna, 1990-99
Il progetto riesce a
sviluppare una doppia situazione di straniamento, la prima rispetto al
contesto e la seconda di natura dimensionale/funzionale.
Per quanto riguarda il
fronte urbano il Kursaal presenta volumi e colori estranei agli edifici contigui,
invece i volumi della Kursaal consistono quasi nell’ingigantimento dei massi
frangiflutti.
MVRDV
Centro residenze per
anziani Wozoco’s, Amsterdam-Osdorp,
1994-97
Il gruppo di architetti
olandesi progetta un centro con cento abitazioni di cui ottantasette
collocate in una lunga stecca nord-sud; le restanti tredici sono sospese a
sbalzo tramite travi reticolari.
Sono proprio questi
elementi aggettanti a costituire l’elemento straniante, infatti sporgono per
diversi metri e il loro rivestimento in legno e vetro accentua ancora di più
la sensazione, paragonabile ad un quadro di Magritte.
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Sopra: Casa Gehry,
Santa Monica, Frank Gehry
Sotto: Centro residenze per anziani
Wozoco’s, Amsterdam, MVRDV
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Capitolo
4 – Between
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Il Between
o l’In Between è un
termine ricorrente in architettura ed esprime la condizione di essere fra le
cose.
I teorici di questo
tema sono Bernard Tschumi e Peter Eisenman; secondo Eisenman il between è una tecnica che serve ad uscire dalla poetica
post-Hegeliana perché va a distruggere le opposizioni tradizionali, ad
esempio struttura e decorazione o forma e funzione.
L’architetto americano
ritiene che le opposizioni nascano da una gerarchi a di valori: ad esempio
non esiste equivalenza tra struttura e ornamento perché l’ornamento è sempre
aggiunto alla struttura.
Vengono quindi abolite
le opposizioni ammettendo invece la confusione tra il razionale e
l’irrazionale.
Bernard Tschumi pensa che il between
sia uno spazio residuale nel mezzo della razionalità, un luogo inaspettato dove
possono succedere cose imprevedibili.
Con la caduta delle
opposizioni tradizionali e di conseguenza delle certezze su cui si basavano
molti pensieri, in architettura si assiste ad un cambiamento di mentalità
riguardo allo studio dello spazio; lo spazio non viene più pensato solo da un
punto di vista funzionale ma presentano un grado di genericità (spazi sottodeterminati); saranno i fruitori di questo spazio a
conferirne un senso quando stabiliranno delle relazioni con lo stesso.
Robert Venturi sostiene
questa logica progettuale facendo una metafora tra un guanto e una manopola:
il guanto ha la forma per contenere ogni dito ma presenta taglie diverse; la
manopola invece ha una forma precisa e non sempre comoda per l’uso ma offre
la possibilità alla mano di afferrarla in diversi modi e con mani di diverse
taglie.
Gli edifici devono
quindi essere progettati come le manopole, lasciando un certo grado di
indeterminatezza dalla quale fare emergere l’abilità dell’utente
nell’inventarsi modi di usufruirne.
Secondo Andrea Branzi
il between è uno spazio neo-classico, freedo, ricco di complessità, inespressivo, astratto.
Si può così giungere
alla conclusione che gli spazi del between sono
quelli del cambiamento, della mutazione, della variabilità funzionale e
dell’invenzione.
Il funzionalismo aveva
standardizzato lo spazio trasformandolo in una macchina per abitare, dove
l’unico metro di giudizio era l’ergonomia; secondo Luigi Prestinenza
Puglisi tutto questo ha portato a tre conseguenze: 1) lo standard ha fatto
perdere di vista l’uomo concreto proprio perché l’oggetto dello studio era
l’uomo medio non esistente 2) troppa attenzione agli standard con conseguente
eliminazione della qualità spaziale 3) creazione spazio oppressivo e
meccanico.
Il between
rompe completamente con questa concezione, l’obiettivo dell’architetto è
quello di superare la condizione oppressiva dello spazio, obiettivo che fa
inevitabilmente entrare in crisi il determinismo e il concetto di
tipologia.
Between
con preesistenze
Si tratta di un’operazione
di accostamento a delle preesistenze collocando un progetto tra due elementi.
Peter Eisenman
Wexner
Center, Columbus, USA, 1983-89
Il progetto richiedeva
diverse attrezzature come un teatro, spazi per esposizioni, uffici ecc
L’architetto newyorkese
realizza il suo progetto tra due corpi preesistenti con un’operazione di
ibridazione/densificazione; consiste in un
traliccio, elemento che crea un certo senso di incomprensione nell’occhio
dell’osservatore, infatti pur essendoci l’edificio l’area sembra uno spazio
vuoto; è un’ambiguità tipica del between, come lo
sono anche la difficoltà nel comprendere a cosa sono destinati certi spazi
della traliccio.
La griglia e un
pilastro sospesi sono il chiaro esempio della logica di Eisenman,
svuotare ogni oggetto del suo significato per come lo conosciamo noi; il
pilastro infatti essendo sospeso non può sostenere niente venendo così meno
alla sua funzione.
Aronoff
Center, Cincinnati, USA, 1988-96
Il progetto si dimostra
già complicato dal principio per la scelta di collocarlo tra un vecchio
edificio e un terreno con molta pendenza. La funzione del nuovo edificio è
chiaramente quella di collegare le due parti rendendo il passaggio più
graduale.
L’edificio ha un moto
ondulatorio doppio: uno geometrico che si insinua in uno oscillatorio. Tra
questi due spazi si trova l’atrio centrale destinato alle funzioni.
Eisenman
in questo edificio usa la tecnica del blurring(sfocamento), stesso procedimento che ha usato Giacomo
Balla nelle sue opere a inizio ‘900 cioè un’immagine composta da più
fotogrammi scattati in momenti diversi e poi sovrapposti.
Bernard Tschumi
Centro Nazionale d’Arte
Comtemporanea Le Fresnoy,
Tourcoing, Francia, 1991-97
Il centro ospita una
sala per i media, uno spazio esposizioni, due cinema, alloggi per studenti,
studi cinematografici, un ristorante, una biblioteca e diversi uffici.
Tschumi
ha pensato il tutto come un contenitore dove si potevano diffondere le
diverse arti; il progetto invece può essere descritto come una serie di
scatole dentro una scatola.
Il progettista ha
ideato una grande copertura che copre una serie di edifici preesistenti da
preservare e restaurare; il between si instaura tra
la copertura e gli edifici sotto perché si vengono a creare degli spazi
nuovi. La copertura presenta delle forature irregolari che permettono di
creare giochi di luce e una grande ambiguità nella lettura da parte
dell’osservatore che non riesce a comprendere quale sia il dentro e quale sia
il fuori; lo spazio coperto orizzontale assume quindi il significato degli
spazi urbani del XIX secolo, un insieme di piazze, strade, luoghi di incontro
e di scambio.
Secondo Tschumi la parte più interessante del progetto è il vuoto
tra la copertura e le preesistenze; esso è animato da una serie di percorsi e
pensiline e da luoghi che possono avere diverse destinazioni dallo studio
alle attività didattiche.
Le Fresnoy
risponde alla concezione dell’Internazionale Situazionista, che voleva spazi
pieni di vita e sempre in continua trasformazione (a discapito del Movimento
Moderno).
Between
senza preesistenze
Peter Eisenman
Chiesa per Roma 2000,
Italia, 1996
L’obiettivo di Eisenman era quello di rappresentare la condizione del
pellegrino tramite l’edificio.
Il pellegrinaggio è il
passaggio da un’esperienza quotidiana di incompletezza a un’esperienza di
intimità col divino. Si possono quindi considerare due situazioni: la
distanza e la vicinanza. Queste due situazioni sono rappresentate da un
cristallo liquido che oscilla tra lo stato solido e quello liquido.
In pianta l’edificio è
composto da due barre parallele con un vuoto nel mezzo che rappresenta il
percorso del pellegrino; perciò la navata centrale è a cielo aperto mentre le
due laterali sono chiuse.
Bernard Tschumi
Ecole
d’Architecture, Marne-La-Vallèe, Francia, 1994-99
L’edificio è
organizzato su tre bande, delle quali la centrale è la più importante perché
configurata come un paesaggio interno attorno al quale si sviluppano tutte le
principali attività.
L’importanza della
banda centrale si deve all’opinione di Tschumi che
le cose più importanti di una scuola non siano nè
gli auditori nè le classi ma piuttosto gli spazi
che si attraversano per muoversi come i bar e le stanze dei membri della
scuola.
Le attività sono tutte
programmate attorno ad uno spazio centrale non programmato; a nord troviamo
gli studi dei professori e le aule, a sud la biblioteca, l’amministrazione e
tutti gli altri servizi.
La scuola diventa una
grande promenade alla quale si può accedere da sud tramite una scala e a
ovest tramite una rampa; nella grande hall si trovano tre sale conferenze: la
prima è sospesa, la seconda è ricavata dallo sviluppo della scalinata sotto
la quale è posta la terza sala. Tschumi conferisce
grande importanza all’impostazione concettuale infatti non si preoccupa
dell’aspetto estetico purchè venga seguita un’idea;
ma per negare qualsiasi forma estetica è necessario raggiungere il grado zero
della forma architettonica.
Lerner Student Center, Columbia University,
New York, 1994-99
Nel progetto vengono
sviluppati gli stessi concetti di Marne-La-Vallèe,
e viene rispettato il piano generale di ristrutturazione del campus che
prevedeva l’utilizzo di alcuni materiali come mattone, granito, rame e vetro;
la novità è l’inserimento in un’area vuota di un Hub.
L’Hub
contiene una rampa elicoidale che anima l’intero edificio creando un effetto
dinamico che si contrappone alla staticità delle altre due ali.
Le due ali sono
realizzate con i materiali del campus originario sono denominate Broadway e
Campus: la prima è alta otto piani e ospita un cinema, una libreria,
l’amministrazione; la seconda è alta quattro piani e ospita la mensa, un
ritrovo notturno e una sala riunione.
L’area in mezzo è
completamente trasparente e vi trovano posto gli spazi comuni.
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Centro Nazionale Arte Contemporanea
Le Fresnoy, Tourcoing, Bernard Tschumi
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Capitolo
5 – Diagramma
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Il diagramma è una tecnica
concettuale e formale, non contiene soluzioni concrete e precise; il suo
scopo è di far proliferare delle idee nella mente del progettista, che si
basa su dei procedimenti euristici, cioè non delimitati da regole ben
precise.
Il diagramma ritarda la
definizione tipologica collocandosi tra forma e parole.
I fondatori di UN
Studio, Van Berkel e Bos,
hanno teorizzato e utilizzato il diagramma come strumento di progetto;
secondo i due architetti il diagramma ha la sua essenza nel fatto che si
possono introdurre qualità inespresse e disconnesse da un’ideologia, infatti
è uno strumento astratto non rappresentativo.
La selezione e
l’applicazione di un diagramma comporta l’inserimento di un elemento che può
condurre a una suggestione; un diagramma può essere qualsiasi cosa come
spartiti musicali, disegni schematici di edifici, in sintesi i diagrammi sono
elementi di natura infrastrutturale, immagini che cessano di essere tali
quando vengono strumentalizzate da noi.
Il diagramma comporta un
processo di selezione importante; infatti è il singolo individuo a scegliere
un particolare di interesse per un progetto, particolare che potrebbe
risultare insignificante per un altro.
Ben Van Berkel & Caroline Bos
Casa Mobius, Het Gooi,
Olanda, 1993-97
Le idee per la casa
sono nate dallo studio del nastro di Mobius (una
striscia orientata che fa connettere interno ed esterno formando un otto
allungato).
Il diagramma di Mobius viene scelto dai progettisti perché consente di
soddisfare le richieste dei due committenti, marito e moglie che vogliono
poter incontrarsi e stare appartati durante l’arco della giornata.
Il diagramma è quindi
una rappresentazione temporale delle ventiquattro ore. Berkel
e Bos non trasferiscono il diagramma in modo
letterale nel progetto ma lo fanno trapelare dai materiali usati, dalla luce
e dalla distribuzione dell’edificio.
L’elemento innovativo e
importante del progetto è la sua fluidità: ogni parte, ogni divisione
funzionale è mediata e priva di asperità.
Villa Wilbrink, Amersfoort, Olanda, 1992-94
Il diagramma di questa
abitazione è stato ricavato da alcuni schemi di bunker presenti in una
rivista; i committenti chiedevano soprattutto isolamento e privacy.
Dalla pianta
dell’edificio si intuiscono i legami con l’idea di bunker: le mura massicce
proteggono dal mondo esterno mentre il cuore dell’edificio è la parte più
sicura, dove si svolge la vita quotidiana; gli alzati sono minimi per rendere
ancora di più l’idea del bunker, che spesso sono nascosti nella vegetazione o
interrati.
Steven Holl
L’architetto americano
utilizza moltissimo i diagrammi per progettare; ritiene che la cosa più
importante sia l’idea e che quindi la forma e tutto il resto vengano di
conseguenza adattandosi.
Holl
afferma che il diagramma è essenziale ma solo nella fase iniziale del
progetto in quanto un’idea data da un diagramma è molto distante dalla realtà
spaziale; si trova a metà strada tra le idee e la forma.
Museo d’arte
contemporanea Kiasma, Helsinki, Finlandia, 1993-98
Il museo si basa sul concetto
di chiasma o interwining. L’edificio è situato nel
centro di Helsinki e nei pressi si trovano edifici importanti come il
Parlamento o la Stazione ferroviaria, si trova quindi alla confluenza di più
reti viarie; è per questo motivo che Steven Holl decide
di confrontarsi molto con il contesto a tal punto che la forma del museo
deriverà dall’incrocio di due linee presenti nel territorio.
Il volume dell’edificio
è allungato e definito da una parete a doppia curvatura e una rettilinea
prospiciente la piazza; il chiasma è evidente sia da punto di vista della
forma che da quello percettivo.
Internamente un sistema
complesso di rampe curve caratterizzanti il vuoto centrale della hall
estendono la funzione museale a tutto l’edificio; sul lato ovest invece le stanze
sono indipendenti e definite da un sistema ortogonale e sul lato est la
torsione della facciata produce degli effetti sulla distribuzione interna
creando un insieme di gallerie diverse che si prestano a differenti tipi di
esposizione.
L’illuminazione è
garantita da dei lucernari che non sono altro che dei tagli; il problema
della luce nelle gallerie è risolto grazie all’attento studio della luce
orizzontale, luce naturale.
Bellevue Art Museum, Bellevue, Washington,
1997-01
Il progetto si fonda sul
concetto di triplicità: vedere, esplorare, fare corrispondenti alle tre
discipline arte, scienza, tecnologia.
La triplicità viene
rappresentata con la regola della mano destra e di conseguenza le direzioni
delle tre gallerie seguiranno quelle delle tre dita; sono tre anche le
condizioni di luce: tempo lineare rappresentato dalla luce uniforme della
sala nord, tempo ciclico rappresentato dalla pianta circolare della galleria
sud e tempo frammentario simboleggiato dai lucernari rivolti a est e ovest.
Il diagramma è
indipendente dal programma funzionale dell’edificio.
Addizione al Cranbrook
Institute of Science, Bloomfield, Michigan, USA 1992-98
Il progetto consiste
nell’inserimento di un nuovo corpo di fabbrica nel vecchio edificio
progettato da Eliel Saarinen.
L’obiettivo di Holl è di intervenire in meno possibile sull’esistente,
quindi propone un edificio a U che inserisce tra le due ali del vecchio
progetto; l’intento è di rendere dinamico tutto il complesso tramite questo
inserimento.
L’architetto statunitense
vuole creare un loop tra vecchio e nuovo in
riferimento al fattore anomalo di attrazione cioè alla possibilità di deviare
le traiettorie e i movimenti di un punto in maniera imprevedibile; per Holl lo scopo è di progettare un edificio che sia percorribile
e vivibile in un modo personale e non determinato.
Toyo
Ito
Mediateca, Sendai,
Giappone, 1994-2000
Il diagramma adottato
in questo progetto consiste di una disposizione di righe parallele regolari
intersecate di filamenti di varie forme e colori rappresentanti alghe
nell’acqua.
La Mediateca ospita una
biblioteca, una galleria d’arte e diversi altri servizi ed è distribuita su
sette piani di pianta quadrata ma con altezze differenti in relazione
all’attività da svolgersi.
Le tredici alghe sono l’elemento
caratterizzante mentre i pilastri reticolari sostengono i piani, catturano la
luce e alcuni ospitano scale, ascensori e impianti.
OMA-Rem Koolhaas
Biblioteca di Francia,
Parigi, Francia, 1989
Il diagramma è una
specie di pentagramma in cui sono inserite delle forme irregolari: le linee
del pentagramma diventano la successione dei piani nel blocco della
biblioteca mentre le forme irregolari sono dei vuoti scavati dentro il
parallelepipedo.
Biblioteca
dell’Università di Parigi, Jussieu, Parigi,
Francia, 1992
Il progetto si basa su
due diagrammi: il primo è la foto di un foglio di carta tagliato in modo tale
che tutte queste parti, una volta ripiegate e sollevate, rimangano unite a
formare un continuum spaziale; il secondo è generato dal primo ed è una linea
continua con uno sviluppo ascensionale contorto che lascia immaginare una
serie di percorsi.
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Sopra: Museo d’Arte Contemporanea Kiasma, Helsinki, Steven Holl
Sotto: Mediateca, Sendai, Toyo Ito
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Capitolo
6 – Scomposizione
o Logica dell’Elenco
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La scomposizione può essere
di due tipi: letterale e concettuale
Quella letterale
scompone un progetto nelle sue parti e le enumera, mentre quella concettuale
è un’attività decostruente infatti vengono presi uno o più testi
architettonici (archetext), poi smontati con gli
strumenti contemporanei e infine rimontati in una nuova configurazione
concettuale prima ancora che architettonica.
La scomposizione in
generale può essere assimilata alla logica dell’elenco, la prima delle sette
invarianti individuate da Bruno Zevi.
Secondo Zevi questo
meccanismo implica la critica e l’azzeramento dei canoni classici e tradizonali, elencare significa risemantizzare.
Scomposizione Letterale
Frank O. Gehry afferma che per il progetto dello Jung Institut di Los Angeles è
stato basilare nel suo percorso produttivo, infatti è stata la prima
applicazione di una strategia che avrebbe perfezionato nel corso degli anni,
la creazione di una natura morta originatasi dalla scomposizione delle
componenti e dal loro successivo sviluppo per vie separate. L’architetto
sperimenta poi questa teoria anche in una casa per un regista a Los Angeles.
Per Gehry
questa rottura dell’opera non ha solo un presupposto estetico; la
scomposizione e l’analisi sono utili perché portano allo smembramento di un
programma (elemento cardine nel pensiero di Gehry).
Winton
Residence, Wayzata, Minnesota, USA, 1983-87
Il programma funzionale
della casa è il minimo: due camere da letto, un soggiorno e locali che
possono diventare cucina per gli ospiti, deposito o garage.
Tutte le parti si
originano dal centro e si spargono attorno, ognuna di queste è
contraddistinta da una morfologia precisa, nessun pezzo è coordinato
all’altro per mezzo di trame geometriche: il soggiorno è posto al centro ed è
sormontato da un tetto piramidale slanciato verso l’alto da cui si dipartono
lo spazio multifunzionale e le due camere con bagno.
La logica dell’elenco è
confermata anche dai materiali usati, diversi per ogni parte: pannelli di
metallo colorati o galvanizzati, mattoni, pietra locale ocra e gialla; Saggio
affermerà, paragonando Le Corbusier a Gehry; che mentre in Ville Savoye si volevano liberare le
forme e i volumi dentro una logica stereometrica, con Gehry
si assiste ad una separazione condita di intriganti collisioni; i volumi non
sono più puri ma irregolari.
La moltitudine di
volumi invita e porta alla scoperta di nuove visuali, non esiste infatti
un’unità dell’abitazione.
Casa Gehry, Santa Monica, California, USA, 1977-78
Questo progetto
rappresenta la sintesi fra la scomposizione letterale e concettuale: la casa
è costruita da Gehry per lui e per la sua famiglia.
La scomposizione è
letterale perché è un assemblaggio eccellente di materiali di risulta; allo
stesso tempo è anche concettuale perché l’architetto americano decostruisce
una serie di icone tradizionali come ad esempio l’ordinato assemblaggio del
balloon frame che esplode in una serie di contrasti di materiale, l’uso del
fronte e del retro si ribalta.
Gehry
ha dovuto confrontarsi con l’esistente perché in questo lotto da lui
acquistato era presente una casa colonica olandese di colore rosa distribuita
su due piani e una mansarda; vivrà un rapporto di amore e odio per questa
casa e per questo motivo non la distruggerà pur criticandone la sua impronta
piccolo borghese.
La casa colonica viene
avvolta con una forma ad U, solo un lato rimane esposto; i materiali usati
sono poveri e comuni come lamiera, compensato, vetro, rete. L’immagine che da
Gehry di se stesso è quella di un individuo che
vuole costruirsi il proprio rifugio; la spazialità interna viene
completamente deformata pur mantenendo la struttura portante: il lato lungo
della U diventa la cucina e il soggiorno, nella zona retrostante si trova un
portico; al piano superiore l’addizione forma camminamenti e terrazzi da cui
emerge un caleidoscopio; l’interno invece presenta pareti e controsoffitti
bucati da tagli e squarci che aprono a nuove viste.
Con questa casa finisce
l’idea di progetto inteso come unità armonica di parti a cui non è possibile
togliere o aggiungere nulla senza guastare l’insieme, la casa sembra un
cantiere in continua evoluzione, il non finito diventa valore.
Dalla casa Gehry si possono trarre alcuni insegnamenti: 1 il
possibile rinnovamento della ricerca architettonica usando un linguaggio
affrancato da costrizioni e regole. 2 interesse verso materialità e
potenzialità di materiali contemporanei non ancora connotati da valori già
dati. 3 rottura degli steccati disciplinari.
Scomposizione
Concettuale
OMA-Rem Koolhaas
Villa Dall’Ava, Parigi,
Francia, 1985-1991
I committenti avevano
espresso a Koolhaas due richieste antitetiche e
difficili da conciliare: il marito voleva una casa trasparente, la moglie una
piscina sul tetto.
La prima richiesta è
una regola del movimento moderno mentre la seconda è legata alla tradizione
del tetto giardino. Koolhaas non si comporta come i
teorici del movimento moderno (che avrebbero scelto di soddisfare una tra le
due richieste), tenta invece un approccio dove predomina la mescolanza, il
contrasto e l’ibrido.
A questo proposito
spendono alcune parole Bernard Tschumi e Robert
Venturi: il primo parla di un ripudio per la gerarchia che conduce al fascino
per le immagini complesse; il secondo, ancora prima di Tschumi,
afferma che l’architetto non si deve lasciare intimorire dal linguaggio
dell’architettura moderna.
Koolhaas
applica la scomposizione concettuale in Villa Dall’Ava prendendo un archetext, smontandolo per cercarne gli elementi
costitutivi e infine riassemblandolo in un ordine
nuovo; in questo caso l’architetto olandese reinterpreta Ville Savoye alla
luce del concetto di trasparenza di Mies Van Der Rohe, del concetto di
spazio temporalizzato di Gropius
( tempo considerato come una continua mutazione invece che un’opposizione al
passato), del Dadaismo e della Pop Art.
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Villa Dall’Ava, Parigi, OMA-Rem Koolhaas
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Capitolo
7 – Tecnica
Additiva: Sovrapposizione
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La tecnica additiva consiste
nella sommatoria di strati o bande, l’uno sull’altro o affianco all’altro;
l’atteggiamento è paratattico(ogni elemento ha lo stesso valore e non ci sono
gerarchie).
Le strategie additive
sono due: sovrapposizione e accostamento; la prima si sviluppa in verticale,
la seconda in orizzontale, ma entrambe rimandano ad un’altra operazione,
quella dell’elencare.
Nella composizione la
strategia additiva mette in crisi diversi elementi e logiche, come ad esempio
quella che l’architettura monti i pezzi di un edificio secondo un determinato
ordine gerarchico; la sovrapposizione e l’accostamento assumono un principio
d’ordine debole proprio per il fatto che danno luogo alla coesistenza di
elementi eterogenei e autonomi.
L’euritmia, ossia
l’armonia che deriva da un insieme di parti, entra in crisi; lo stesso
discorso vale per la simmetria, che si basa sulla commensurabilità
delle parti e sull’esistenza di un’unità di misura che in questo caso viene a
mancare.
La simmetria è
specularità di parti, ma con una tecnica additiva le parti sono unite e
coesistono autonomamente.
I tracciati regolatori,
considerati da Le Corbusier la garanzia contro
l’arbitrio e la sicurezza di un ordine creato da rapporti armoniosi e
sottili, entrano inevitabilmente in contrasto con questa concezione; ogni
strato o fascia può avere la sua geometria indipendentemente dal contesto.
Entra in crisi anche il
concetto di unità stilistica, in particolare con i progetti di Tschumi a Parc De La Villette e
di Mendini, Stark e Himmelbau a Groningen.
Questa assenza di
gerarchie entra in contrasto anche con l’idea di zonizzazione modernista che
prevedeva una divisione della città fatta per funzioni quando invece l’idea
contemporanea è quella di una città ibrida e plurifunzionale e il non finito
acquista sempre più valore.
Sovrapposizione
Questa tecnica viene
chiamata anche layering, superposition
o stratificazione.
Il primo termine deriva
dal disegno a computer, la seconda è una tecnica eisenmaniana;
secondo Franco Purini l’atto del sovrapporre presuppone un stratificazione
storica, mentre quello dello stratificare viene definito un’operazione che
crea artificiosamente una temporalità inesistente.
La tecnica della
sovrapposizione ha avuto la sua cassa di risonanza nel 1983 con il concorso
The Peak a Hong Kong vinto da Zaha Hadid e il concorso per il Parc
De La Villette.
Bernard Tschumi
Parc
De La Villette, Parigi, Francia, 1982-95
Il progetto nasce dalla
sovrapposizione di tre differenti layer: il sistema
dei punti, quello delle linee e quello delle superfici.
La forma, la fruizione
e il significato del parco sono definiti dalle interrelazioni tra i tre
sistemi.
Il progettista sceglie
questa tecnica perché vuole raggiungere degli obiettivi programmatici:
-costruire
un’organizzazione architettonica senza ricorrere ai tradizionali ruoli della
composizione e della gerarchia;
-mettere in crisi le
categorie architettoniche tradizionali;
-mettere in crisi il
concetto di autore;
-mettere in crisi il
concetto di luogo e margine;
-mettere in discussione
l’idea che l’architettura e le sue forme e strutture abbiano un significato
immanente;
-provare che è
possibile confrontarsi con le opposizioni binarie dell’architettura
tradizionale come forma e funzione;
-sfidare le gerarchie
nascoste contenute nelle coppie dialettiche;
-attaccare le relazioni
causa-effetto tra forma e funzione, economia e struttura, forma e programma.
Il termine per
descrivere La Villette è disgiunzione, termine che non si lega con una
visione statica e autonoma dell’architettura, ma suggerisce l’eterogeneità
come valore.
Il sistema dei punti
definisce in Parc De La Villette una griglia di
120x120 metri alle cui intersezioni sono collocate le Folies
(piccoli edifici rossi di cemento armato e parti metalliche secondo una
maglia modulare quadrata che da origine ad un cubo virtuale), che non
assolvono funzioni in particolare, anzi, la loro importanza sta
nell’indeterminatezza funzionale.
Il parco non è mai
definito ma continuamente differenziato e irrisolto, è un’architettura che si
muove verso un’apertura interpretativa.
Il sistema delle linee
è formato da due percorsi ortogonali e a queste si sovrappone un percorso
sinuoso denominato promenade cinematique
che unisce diversi giardini; l’idea era di affidare ognuno di questi giardini
ad un diverso architetto per impedire un’eventuale chiusura del progetto.
Il sistema delle
superfici è definito dalle aree destinate al gioco, alle pratiche sportive,
alle feste popolari.
Non esiste composizione
perché ogni layer ha una logica propria e mantiene
una sua impronta identificativa, la struttura entra in crisi perché la
sovrapposizione di tre strutture coerenti crea qualcosa di incerto e
indefinito; il progetto è anticontestuale perché le uniche relazioni con il
contesto si riscontrano nel percorso pedonale, prolungamento di quella
esistente.
Parc
De La Villette è un’architettura enzimatica, cioè capace di inserirsi nei
processi di trasformazione del territorio, di superare i limiti dell’edificio
come concentrazione strutturale e tipologica, reversibile, astratta.
Peter Eisenman
Parc
De La Villette, Parigi, Francia, 1986
Eisenman
allude al passato sovrapponendo una configurazione dell’area nel 1867 e una
nel 1848.
Charles Jencks immagina una disputa per la paternità dell’opera,
sul chi sia stato il primo a concepire la griglia; di sicuro Eisenman ha molti legami con un suo precedente progetto:
San Giobbe a Cannaregio.
Concorso per l’area di
San Giobbe a Cannaregio, Venezia, Italia, 1978
L’idea nasce dalla sovrapposizione
di tre layer: il primo è il vuoto del futuro,
estensione della griglia per il progetto dell’ospedale di Venezia di Le Corbusier; il secondo è il vuoto del presente,
rappresentato dalla House XI di Eisenman; il terzo
è il vuoto del passato, un solco diagonale rappresentante la memoria del
passato.
Residenza Iba, Berlino, Germania, 1981-85
La strategia di Eisenman era doppia: rendere visibili le memorie
specifiche e riconoscere l’importante posizione di Berlino nel mondo.
Il processo prevedeva
prima la commemorazione di un luogo e poi la negazione dell’efficienza di
questa memoria, quindi un dualismo memoria/antimemoria.
Wexner Center for the Visual and Fine
Arts Library, Columbus, Ohio, USA, 1983-89
Il centro nasce dalla
sovrapposizione di due strati o layer; il primo è
una griglia allineata con le maglie della città, mentre il secondo è una
croce il cui lato corto è allineato con il lato rettilineo dello stadio di
Columbus; la sovrapposizione dei due layer
rappresenta l’unione del campus con la città.
Il primo layer è usato per la sistemazione del giardino (percorsi
rettilinei che si incrociano), il secondo si trasforma nella struttura
reticolare metallica dentro la quale corrono due percorsi paralleli.
OMA-Rem Koolhaas
ZKM Center for Art and Media Technology,
Karlsruhe, Germania, 1989
Questo centro avrebbe
dovuto ospitare spazi per esposizioni temporanee e permanenti, un teatro, una
sala per conferenze e una biblioteca.
L’edificio ha la forma
di un parallelepipedo ed è organizzato sui tre assi cartesiani X (sistema di
accessi e collegamento tra centro e periferia di Karlsruhe), Y (dipartimenti
di ricerca) e Z (sovrapposizione paini autonomi per forma e funzione).
L’edificio è inoltre
suddiviso in quattro fasce, una per ogni punto cardinale e ospitante uno
spazio differente.
Lo ZKM esprime la bigness o grande dimensione dell’architettura; nella
grande architettura cresce la distanza tra nucleo e involucro, le certezze
vengono sostituite dai dubbi, l’edificio non fa più parte di nessun tessuto.
Casa a Bordeaux,
Francia, 1998
La casa a Bordeaux
nasce dalla precisa richiesta del committente, paralizzato in seguito ad un
incidente, di volere una serie di case in una per delimitare il suo mondo.
Koolhaas
progetta un mondo di abitazioni diverse con lo scopo di annullare questa
condizioni di disabilità; sono presenti tre layer:
il primo parzialmente interrato è la casa grotta, il secondo è la casa
trasparente o glass house,
il terzo la casa a patio, che ospita le stanze dei figli e dei genitori.
MVRDV
Padiglione Olandese per
l’Esposizione Universale, Hannover, Germania, 2000
Importante partire dal
motto del padiglione “L’Olanda conquista spazio” per capire quale pensiero ci
fosse alla base del progetto; l’edificio è una sezione ideale della città del
futuro che si sviluppa in verticale piuttosto che in orizzontale per
l’esaurimento di suolo libero.
Il padiglione è
composto da sei layer sovrapposti corrispondenti a
sei diversi regni caratteristici: regno del vento, della pioggia, delle
foreste, delle grotte, dell’agricoltura e delle dune.
Partendo dal tetto si
trova il layer del polder olandese formato da uno
specchio d’acqua con una collinetta al centro; sotto di questo il regno della
pioggia dove scorre acqua nelle pareti laterali.
Il terzo layer, quello della foresta, presenta un interpiano di
dodici metri dove si può camminare tra alberature (corrispondenti anche alla
struttura portante), il regno delle grotte è caratterizzato da oggetti conici
pensati come vasi per le alberature; il regno dell’agricoltura presenta una
griglia di pilastri.
Il centro è
caratterizzato dall’indipendenza funzionale e formale dei piani, dalla
variabilità di sistemi strutturali e assenza di tracciati regolatori.
Zaha Hadid
The Peak, Hong Kong, 1983
Il progetto prevede
cinque layer sovrapposti e fuoriusciti dal pendio
di una collina; i primi due layer ospitano
appartamenti, il terzo è libero, il quarto ospita gli attici e il quinto è
l’abitazione del promoter dell’iniziativa.
Il progetto è dinamico
e rappresenta una completa riscrittura del paesaggio, una forma di contestualismo aggressivo come quello di Libera a Capri o
di Wright a Bear Run.
Villa a L’Aia, Olanda,
1991
Zaha Hadid sovrappone due tipologie, al piano terra la casa a
patio e al primo piano la casa di vetro, sotto lo spazio introverso e sopra
quello trasparente, sotto le funzioni domestiche e private e sopra il
soggiorno di rappresentanza.
Le case di Hadid e di Koolhaas
rappresentano un nuovo approccio progettuale, non più il rigore di una scelta
ferma ma un ibrido, la molteplicità ed eterogeneità.
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Sopra: Parc
De La Villette, Parigi
Sotto: Wexner Center for the Visual and Fine Arts Library,
Columbus
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Capitolo 8 – Tecnica Additiva: Accostamento
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Questa tecnica è legata
al paesaggio e le architetture sono impostate sul piano orizzontale,
allungate e distese; danno origine a Pixel Architecture e Carpets
Architecture.
In questo caso una delle
caratteristiche principali è l’offuscamento dei margini e del confine netto,
infatti queste si possono estendere anche oltre il loro lotto di pertinenza
dando origine a delle promiscuità tra nuovo e vecchio, perché due componenti
possono e devono fondersi.
Finisce quindi l’idea
delle architetture-oggetto che si affiancano indifferentemente tra loro e
nasce l’idea delle architetture puzzle; nascono nuove figure architettoniche
ossia le macchie e i tappeti.
OMA-Rem Koolhaas
Parc
De La Villette, Parigi, Francia, 1982
L’idea del parco di Koolhaas trae spunto dalla considerazione che il progetto
subirà continui cambiamenti dovuti all’incertezza del programma e anche al
destino del parco, che probabilmente sarà soggetto ad adattamenti e
modificazioni.
Il parco non viene
quindi pensato in termini di design ma Koolhaas
elabora un metodo capace di coniugare le specificità architettoniche con
l’incertezza programmatica; adotta le tecniche di sovrapposizione e
accostamento.
Vengono sovrapposti
cinque strati: le fasce, le griglie puntiformi e coriandoli, le vie di
accesso e percorsi, gli oggetti trovati, le zone.
Le fasce sono accostate
parallelamente a formare un tappeto e su ognuna di queste vengono disposte le
principali funzioni; le griglie e i coriandoli non sono altro che elementi
puntuali come punti vendita, chioschi, aree picnic disposti secondo
un’attenta logica che mira ad assicurare l’equilvalenza
tra le singole sfere d’influenza.
Per quanto riguarda il
terzo strato sono presenti due aree significative: il Mail, un percorso
nord-sud, necessario per l’accesso alle varie parti del parco e la Promenade,
che lega i diversi punti di concentrazione.
Gli oggetti ritrovati
compongono il quarto strato; si tratta di oggetti che non consentono una
distribuzione sistematica proprio per la loro diversità; le zone formano lo
strato di connessione con il quartiere circostante.
Per Rem Koolhaas il parco presenta tre categorie di natura: nella
prima è il programma stesso a farsi natura, nella seconda si trovano cortine
di vegetazione parallele, nella terza si trovano grandi complessi di
vegetazione progettati alla scala dei principali elementi architettonici.
L’importanza di Parc De La Villette sta nelle affermazioni di Rem Koolhaas al riguardo; afferma questo progetto si basa su
una nuova urbanistica che non sarà più schiava di ordine e onnipotenza ma
rappresenterà incertezza.
Non si vorrà più ambire
a configurazioni stabili e cristallizzate ma si cercherà la rottura e la negazione
dei limiti; l’urbanistica non sarà più ossessionata dalla città ma tutti i
procedimenti mireranno alla creazione di uno spazio psicologico.
Bernard Tschumi
New National Theather
and Opera House, Tokio, Giappone,
1986
Il progettista parte
dalla sua volontà di mettere in dubbio l’unità dell’edificio, obiettivo che
secondo lui si può raggiungere con la giustapposizione, ovvero la tecnica
additiva per accostamento di fasce.
A ogni banda
corrisponde una funzione e soprattutto un volume proprio, infatti non c’è
alcun tentativo di raccordo formale dimensionale tra le parti.
Le sezioni musicali
dell’Opera House di Tokyo sono: il viale vetrato, i foyer verticali, la
fascia degli auditori, la fascia dei prosceni, la fascia dei palcoscenici, la
fascia dei retropalchi, la fascia finale.
L’aspetto che più
colpisce di questo progetto è la sua neutralità formale, infatti i dettagli e
la forma non sembrano il frutto di un’esasperata ricerca formale; secondo Tschumi infatti non bisogna enfatizzare la forma ma l’idea.
Aeroporto, Kansai, Giappone, 1988
L’aeroporto è
organizzato in fasce ed è articolato in due parti: il Deck e The Linear City;
il Deck è formato da quattro piani e contiene gli spazi per il check-in, The
Linear City è suddivisa in tre fasce:
Double Strip (doppia
banda contenente le funzioni del trasferimento aeroportuale), l’onda
(contenente spazi per intrattenimento e svago, Slab
(lastra contenente due alberghi e posti letto).
Questi tipi di progetto
si fondano su un ordine debole e disordinato.
ZKM Center for Art and Media Technology,
Karlsruhe, Germania, 1989
Il centro viene
impostato su tre fasce, tra le quali la più importante è il Linear Core, uno
spazio pubblico lineare che si insinua tra le altre due; questo ha un volume
a tutta altezza e vi vengono svolti i principali eventi.
In questo spazio si
possono verificare fenomeni accidentali proprio perché le specifiche
funzionali sono ridotte al minimo; nella fascia nord sono collocati gli spazi
più ampi e in quella sud quelli più piccoli.
I due volumi presentano
dei rivestimenti differenti, in particolare il volume sud è avvolto da uno
schermo che proietta immagini continuamente mutevoli; l’idea della facciata
variabile è studiata da Tschumi perché è sua
opinione che il prospetto non sia più un problema architettonico primario.
Abitazione
Unifamiliare, L’Aia, Olanda, 1991
L’idea delle fasce è
applicata anche all’ambito residenziale, la giustapposizione è di tre bande:
inviluppo strutturale vetrato con soggiorno e spazi per il lavoro, il blocco
in cemento con cucina e camere da letto, lo spazio in-between.
Questa configurazione
dell’abitazione presuppone la possibilità di espandersi nel futuro senza
compromettere il debole ordine del progetto.
OMA-Rem Koolhaas
Congrexpo,
Lille, Francia, 1996
Il Congrexpo
è dato dalla sommatoria tra Z+C+E, ossia sala per concerti (Zenith), Centro
congressi, sala Esposizioni.
Z, C, E poggiano su
un’unica piastra di parcheggi; la sommatoria è evidente solo negli alzati,
infatti ogni elemento aggiunto ha un rivestimento diverso. L’edificio diventa
quindi un elemento avulso e astratto dal contesto.
Jean Nouvel
Centro Congressi,
Lucerna, Svizzera, 1989-98
Jean Nouvel unisce cinque fasce: la prima contiene un
auditorium dalla forma di una nave ormeggiata, la seconda (uguale alla
quarta) un lembo d’acqua lungo e stretto, la terza è un auditorium.
Tutte e cinque le
fasce, diverse per forma, dimensione e materiali, sono riconoscibili come
entità a parte.
Toyo
Ito
Biblioteca dell’Università
di Parigi Jussieu, Parigi, Francia, 1992
Il progetto ha origine
dalla metafora del chip di un calcolatore; la biblioteca è una piastra di due
piani formata dalla successione ordinata di dodici bande parallele.
Gli unici elementi
eccezionali sono due corpi ellittici; le superfici esterne di
rivestimento sono trasparenti per lasciare vedere l’interno della biblioteca.
Ito
progetta una scatola minimalista con l’intento di eliminare la forma
trasformando i problemi formali in problemi di connettività; dematerializza
l’architettura e così facendo fluidifica il movimento.
A ispirarlo sono state
sicuramente le riflessioni di Superstudio e Archizoom che prefiguravano spazi generici e iterativi.
Successivamente, ad
Anversa nel 1992, Toyo Ito
applicherà questo stesso ragionamento per il rinnovamento urbano della città.
Kazuyo
Sejima
Multi Media Studio, Oogaki, Giappone, 1996-97
Sejima
predispone una serie di fasce sotto un’unica copertura. Delle sette fasce,
tre sono percorsi distributivi, mentre le altre sono occupate dagli spazi
espositivi.
Sono da ricordare
alcune idee e alcuni progetti che possono aver in qualche modo dato uno
spunto al metodo dell’accostamento.
Archizoom
con No-Stop City (1969-72): l’idea è di applicare i sistemi di aerazione e
illuminazione artificiale delle fabbriche e dei centri commerciali anche alle
residenze, superando in questo modo il frazionamento urbano dentro un unico
spazio integrato.
Andrea Branzi con
Agronica, Domus Academy (1994-95): è un esempio di urbanizzazione debole e a
caratteri reversibili; è una tipologia di insediamento misto costituita da
servizi urbani mobili dispersi all’interno di un parco
agricolo produttivo.
Agricoltura e
architettura, agricoltura che modifica interi territori in maniera
reversibile.
L’agricoltura ha anche
questa grande potenzialità: è capace di creare con le distanze fra gli
alberi, il dimensionamento delle colture, i terrazzamenti, delle texture e dei colori sul territorio.
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Centro Congressi, Lucerna, Jean Nouvel
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Capitolo 9 – Contrasto
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Il contrasto è una
tecnica molto utilizzata e consiste nel gioco di opposti come caldo-freddo, luce-ombra,
pieno-vuoto, leggero-pesante; è una tecnica dialettica, definita Binomio
Fantastico da Rodari, Mondo alla rovescia da Munari
e Associazione Concettuale di Elementi Diversi da Purini.
Nel contrasto è
necessario un antipolo iniziale per creare il contrasto, la contraddittorietà
si contrappone all’omogeneità.
Si possono definire
quattro tipi di contrasto:
-Elementi lineari
versus elementi non-lineari (forme primarie versus oggetti a reazione
poetica); operazioni di giustapposizione e incastro in orizzontale.
-Scatole-piedistalli
versus oggetti a reazione poetica, il contrasto si stabilisce su un basamento
regolare e volumi complessi e multiformi.
-Contrapposizioni,
incontro-scontro; contrasto stabilito tra volumi contrapposti non solo per
forma ma anche per trattamento della superficie.
-Scatole complesse; si
stabilisce fra interno e esterno, solitamente un rigoroso volume primario
all’esterno e un interno articolato e caratterizzato da particolari soluzioni
volumetriche.
Forme Lineari versus
Elementi Non-Lineari
Steven Holl
Palazzo del Cinema,
Venezia, Italia, 1990
L’edificio è composto
da un corpo lineare piegato a ferro di cavallo sopra il quale sono innestati
dei volumi a forma di diamante; nello spazio lineare sono posti gli spazi
funzionali e in quelli a forma di diamante le sale di proiezione.
Se il volume a ferro di
cavallo definisce un porticciolo per l’approdo delle barche, le sale ne
costituiscono la copertura, le cui forme vibranti potrebbero costituire una
specchiatura degli ondeggiamenti d’acqua.
Stretto House, Dallas, Texas, USA,
1990-92
Il progetto nasce come
metaforica traduzione della composizione di Bela Bartok
dal titolo Music for Strings, Percussion, and Celesta che si basa sul contrasto tra
la pesantezza delle percussioni e la leggerezza degli archi; la musica si
sviluppa con un ritmo alternato adagio-allegro-adagio-allegro.
La piece
di Bartok si sviluppa in quattro movimenti: la casa
ha quattro muri divisori (dighe), la musica gioca sul contrappunto tra
percussioni e archi.
Zaha Hadid
Cardiff Opera House, Cardiff, Galles, 1994
L’edificio ha un
impianto a ferro di cavallo dove sono concentrate le funzioni di servizio,
sulla quale sono innestati i corpi a forma di diamante; la configurazione è
simile a quella del Palazzo del Cinema di Steven Holl.
La contrapposizione
volumetrica viene riproposta anche nei rivestimenti: il corpo rettilineo ha
una superficie trasparente mentre quelle delle sale sono cieche e opache.
Scatole-Piedistalli vs
Oggetti a Reazione Poetica
Rafael Moneo
Auditorium e Centro
Congressi Kursaal, San Sebastian, Spagna, 1990-99
Kursaal in tedesco
significa casinò, infatti l’area di progetto sorge su un casinò demolito nel
1973; i due volumi (l’auditorio e il centro congressi) fanno pensare a due
dadi da gioco, la loro disposizione invece dettata dal caso.
Esistono due
contrapposizioni: quella geometrica, tra una forma allargata e bassa e due
cubi alti e massicci, e quella materica come il vento contrapposto alla
pietra, acceso a spento.
Durante la notte il
Kursaal è illuminato, i dadi brillano ma il basamento scompare.
Steven Holl
Ampliamento del Museo
d’Arte Nelson Atkins, Kansas City, Missouri, USA,
1999-2007
Il tutto si basa su una
serie di opposti come pietra-piuma, pesante-leggero, confinato-senza confini.
Il museo nasce
impostato sul contrasto; ad un basamento di altezza contenuta si
contrappongono sette oggetti vetrati irregolari.
Sono questi sette
volumi vetrati a contrastare con la monoliticità
del vecchio Nelson Atkins; nell’edificio vecchio le
sale sono ermetiche e orientate verso l’interno, in quello nuovo gli spazi
sono fluenti e portano ad una totale integrazione tra interno e esterno.
Il trattamento del
basamento mostra una certa sensibilità verso il paesaggio circostante,
modulato per seguire il degradare il lieve degradare del pendio su cui
appoggia.
Le sette lenti sono
scorci verso la natura; ne nasce un intreccio tra arte-architettura e
paesaggio.
Contrapposizioni,
Incontro-Scontro
Zaha Hadid
Case Iba, Berlino, Germania, 1987-93
L’intervento di Zaha Hadid nasce da un’interpretazione eversiva della
normativa berlinese che non permetteva la costruzione in quella zona di
edifici alti più di cinque piani. Ne nasce un progetto astuto: un edificio
basso di tre piani e una torre di sette; l’architetto afferma che la media
tra i due edifici è cinque e quindi segue la normativa.
Il contrasto è
esplicitato anche nei materiali e nelle forme: cemento azzurro e finestre a
nastro per l’edificio basso, lastre di metallo microforate per la torre.
Coop Himmelblau
Ufa Cinema Center,
Dresda, Germania, 1993-98
Il cinema è formato
dall’accostamento di due corpi: uno scabro in cemento armato (otto sale
cinematografiche), uno in vetro (foyer).
L’accostamento dei due corpi
evidenzia ancora di più l’assenza di compenetrazioni.
Il volume delle sale è
un prisma regolare, a questo volume cieco si contrappone il cristallo vetrato
dell’atrio, che crea un effetto di continuità con lo spazio anteposto.
Il volume in cemento
armato è improntato sulla massima economia di spazio, quello di vetro è
invece caratterizzato da una ricchezza inventiva di spazi.
Frank Gehry
Museo Frederick Weisman, Minneapolis, Minnesota, USA 1990-93
Vengono contrapposti un
volume scatolare di mattoni color terracotta a una cascata di acciaio
inossidabile lucidato.
Gehry
sembra usare la tecnica del contrasto per dare risposta alle condizioni
contestuali, ossia il fiume Mississippi.
Scatole Complesse
Zaha Hadid
Villa a L’Aia, L’Aia,
Olanda, 1991
La casa è giocata sulla
dualità scatola-spirale; dall’esterno tre lati sono ciechi e uno è vetrato
per lasciare intravedere gli interni.
OMA-Rem Koolhaas
Biblioteca di Francia,
Parigi, Francia 1989
Il progetto ha
richiesto una lettura in positivo ed una in negativo: nella prima la
biblioteca è un prisma regolare, un blocco, nella seconda è un insieme di
spazi continui ricavati per sottrazione dal blocco di informazione.
L’ingresso avviene
dall’atrio, alle quote superiori si trovano l’intersezione (biblioteca di attualità
formata da due vuoti), la spirale (biblioteca di studio formata da tre
eliche), la conchiglia (sala cataloghi), la gran volta (biblioteca per la
ricerca), la sommità dell’edificio.
Il volume è interamente
rivestito in vetro con gradi diversi di trasparenza.
Biblioteca
dell’Università di Parigi Jusseu, Parigi, Francia,
1992
L’idea è contrappore
scatola e spirale; la biblioteca è disposta dentro un parallelepipedo a base
quadrata alto 64 metri, scandito da una maglia regolare di pilastri che ricorda
quella della Maison Domino di Le Corbusier.
C’è però una novità
importante: i piani diventano dei nastri che si srotolano intersecandosi e
intrecciandosi in un continuum ascensionale; nell’intenzione di Koolhaas questo progetto avrebbe dovuto rappresentare
l’idea di un boulevard che invece di svilupparsi in orizzontale si sviluppa
in verticale.
L’idea guida è quella
di uno spazio naturale introdotto in un ambiente artificiale, ibrido fra
natura e artificio dove il piano di calpestio rappresenta il terreno naturale
ma la materia di cui è fatto, cemento, è artificiale.
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![Descrizione: image021](1077_file/image034.gif)
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Sopra: Cardiff Opera House,
Cardiff, Zaha Hadid
Sotto: Ufa Cinema Center, Dresda;
Coop Himmelblau
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