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autore |
FRANCESCO VENEZIA |
titolo |
CHE COSA E’ L’ARCHITETTURA |
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editore |
ARCHITETTI E ARCHITETTURE, ELECTA,
MONDADORI |
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luogo |
MILANO |
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anno |
2013 |
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lingua |
ITALIANO |
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Prima edizione: Milano, 2011 |
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Argomento e tematiche affrontate |
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L’opera è
una raccolta di due conferenza, quattro lezioni e un intervento, in cui Francesco
Venezia esamina alcuni dei concetti base dell’architettura. Il rapporto che
quest’ultima instaura con le rovine, il rapporto che l’edificio crea con
suolo, luce, orizzonte. Il filo conduttore
tra queste tematiche è l’importanza per un progettista di conoscere il
risultato dei lavori di chi l’ha preceduto, individuando tra essi lo sviluppo
e il perfezionamento di idee, temi, tecniche. ‘’Nel nostro lavoro
(l’architetto) qualunque novità deve fondare su di una solida base ideale
costituitasi nel corso di un tempo lunghissimo. Il vero nuovo può nascere
solo dalla tradizione’’. L’amore
per il passato si lega anche a una dura critica all’architettura
contemporanea, o almeno gran parte di essa, rea di non aver più una base
concettuale su cui fondare i propri progetti. |
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Giudizio
Complessivo: 8 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da: Luca Leomanni |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2
a.a.2012/2013 |
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Autore |
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Francesco
Venezia è nato a Lauro nel 1944. E’ ordinario di composizione architettonica
presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. E’ stato docente
alla Sommerakademie di Berlino (1987), visiting professor presso la Graduate School of Design
della Harvard University (1988), professeur invitè alla Ecole Polytechnique Fèdèrale di Losanna (1989) e docente incaricato di un
atelier di progettazione presso l’Accademia di Architettura dell’Università
della Svizzera italiana di Mendrisio (2010). Nel 1988 una sua opera – un
museo a Gibellina – è stata selezionata l’European
Architecture Award ‘’Mies van der
Rohe’’. Nel 1997 due sue opere - la facoltà di diritto ed economia e la
biblioteca universitaria ad Amiens – hanno ricevuto il premio ‘’Architecture
in stone International Award’’, Verona. E’
accademico di San Luca dal 1998. E’ medaglia d’argento della Repubblica ‘’ai
benemeriti della cultura’’. E’ autore di: Scritti
brevi; Sotto la volta del cranio; La natura poetica dell’architettura. Sulla
sua opera sono stati pubblicati: Trentadue
domande a Francesco Venezia; Francesco Venezia. Le idee e le occasioni. |
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Francesco Venezia |
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CAPITOLI |
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Capitolo 1 – La separazione fatale (Novembre 2009) |
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L’argomento
riguarda la separazione tra il mondo dell’Architettura e quello
dell’Archeologia, che Francesco Venezia fa risalire al 1810, anno in cui
convenzionalmente si forgia appunto il termine ‘’archeologia’’.Da questa data
le rovine diventano oggetto di uno studio scientifico, fatto di ricostruzioni
e riflessioni che, seppur molto interessanti, prendono il sopravvento
rispetto alla vita, o meglio alla possibilità di vivere questi luoghi; ‘’il
mondo delle rovine è entrato in una sorta di riserva protetta, gelosamente
protetta, che è assolutamente separata dal luogo dell’Architettura’’. Nella
prima parte della conferenza l’autore introduce l’argomento delle rovine
utilizzando come riferimento le Confessioni di Sant’Agostino e, quindi, riflettendo sulla ‘’memoria’’. Questa è
fondamentale per ogni aspetto della civiltà, in particolare, in architettura,
l’idea non può che nascere dai pensieri, dalle esperienze sensoriali
depositate nella nostra memoria e quindi anche dalle rovine. La separazione fatale, che secondo Venezia
ha segnato il declino dell’architettura, è ben rappresentata dall’esempio di
piazza Municipio a Napoli. E’ da circa dieci anni che ‘’indomiti archeologi
stanno ripulendo con le loro scopette fra l’altro le fondazioni dei bastioni
demoliti negli anni trenta’’, bloccando la costruzione di una stazione
metropolitana (di cui esiste già il progetto) e privando un’intera
generazione del godimento della piazza centrale della propria città. Francesco
Venezia conclude presentando due progetti da lui realizzati, ottimi esempi di
ritrovata coesione tra Architettura e Archeologia. Il museo della
stratigrafia storica della città di Toledo ha la particolarità di essere
costruito contemporaneamente alle azioni di scavo; dopo aver eseguito dei
sondaggi per verificare la possibilità di posizionare i pali di fondazione
rispetto alle preesistenze archeologiche, vengono gettati i pali, sui pali si
gettano le strutture, le travi e le coperture, in ultimo procedono le opere
di scavo degli archeologi che posso quindi lavorare al riparo delle
coperture. La nuova costruzione emerge contemporaneamente alle rovine. Il
secondo progetto è l’allestimento di una mostra sulla civiltà etrusca a
palazzo Grassi in cui le rovine diventano fonte diretta per un’idea
contemporanea. L’atrio di Palazzo Grassi viene realizzato un grande pozzo
illuminato mediante una calotta infranta attraverso cui la luce penetra nella
sottostante camera ipogea. Il riferimento è una piccola camera sotterranea
(tre metri per tre) nella necropoli di Cerveteri, con un pozzo da cui pioveva
luce naturale. |
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Napoli, Piazza Municipio, gli scavi
per il progetto della metropolitana |
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Capitolo 2 – L’architettura
del suolo (Maggio
2008) |
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La conferenza tratta del rapporto
dell’edificio con il suolo, un rapporto che, secondo l’opinione di Francesco
Venezia, è fondamentale in architettura ed è purtroppo passato in secondo
piano per i progettisti contemporanei.
‘’L’architettura va giù dura, e il sito non ha alcun desiderio di
essere occupato dall’architettura; i siti stanno bene così come stanno,
qualunque intervento è un’azione violenta che noi esercitiamo su di essi’’.
Per capire l’impatto che un qualsiasi edificio ha col suolo basta osservare
le fondazioni e come esse stravolgano totalmente la natura di quel luogo; il
progettista deve essere pienamente consapevole di questa azione violenta e
del potere che il nuovo edificio ha di ‘’dare a quel luogo un’immagine
inimmaginabile senza la presenza di quell’intervento’’. Queste considerazioni si fondono con una
critica all’architettura contemporanea rea di non aver più un rapporto col
suolo, ma di essere solo composta da oggetti di design che ‘’simili a turaccioli
galleggiano sull’acqua e non esercitano nessuna azione di contrasto verso il suolo’’. La
critica di questi ‘’oggetti di design’’, che sembrano realizzati apposta per
far da sfondo agli spot pubblicitari, non riguarda solo l’aspetto formale ma
anche, e soprattutto, l’aspetto concettuale; negli ultimi anni sembra che
ogni progetto debba apparire come qualcosa di nuovo e mai visto, senza
pensare al fondamento teorico e concettuale di esso. Venezia, per far
comprendere l’importanza della base concettuale che ogni progettista deve
possedere, utilizza la metafora della piramide: il piramidione
(la parte conclusiva della piramide che ne costituisce il coronamento ‘’a
punta’’) rappresenta un progetto, mentre tutto il resto della piramide
rappresenta il patrimonio di idee, di sensazioni che il progettista si è
costruito con anni di esperienza e che è fondamentale per sostenere un’idea
di progetto. La rilevanza
dell’impianto a terra è inoltre data dal suo essere senza tempo; l’alzato di
un edificio dipende in gran parte dalla sensibilità dell’epoca, mentre il
suolo su cui si edifica è lo stesso da sempre. Un esempio sono i templi
greci: dorico, ionico o corinzio si distinguono negli aspetti formali, mentre
il basamento dell’edificio è lo stesso. |
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Capitolo 3 – Il controllo dell’orizzonte (Marzo 1995) |
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In questa
lezione Venezia sottolinea l’importanza di chi vive l’architettura, cioè
l’uomo. Quando si progetta si deve
tener conto che sarà l’uomo, con le sue misure, le sue proporzioni, il suo
ritmo nel camminare, a muoversi nello spazio: l’orizzonte si alza e si
abbassa insieme ai nostri occhi. L’edificio è anch’esso fatto di misure, e
quest’ultime devono rispettare le misure dell’uomo. Vengono quindi presentati diversi modi di
trattare il progetto dell’orizzonte. Piazza del
Campidoglio, ‘’straordinaria macchina del controllo dell’orizzonte’’, sfrutta
il grande dislivello di circa dodici metri che nasconde in parte i due
edifici laterali grazie anche all’imbuto prospettico e fa ‘’inghiottire’’ la
piazza stessa dalla linea d’orizzonte. Una volta salita la gradonata la
piazza si rivela nella sua unità, ora è la città ad essere sotto la linea
d’orizzonte e, quindi, nascosta alla nostra vista. Michelangelo progetta
questo spazio pensando al movimento dell’uomo e al suo sguardo. Piazza Navona sfrutta invece l’introduzione
di elementi intermedi (le fontane) per evitare l’appiattimento prospettico, e
facilitare all’uomo la misura dello spazio molto profondo. Casa Malaparte a Capri è considerata da
Venezia una ‘’macchina suprema del controllo dell’orizzonte’’ perché ‘’essa
subordina il carattere domestico alla volontà di celebrare la natura
dell’isola, di divenirne espressione. E divenire espressione dell’orizzonte
marino che, al nostro muoverci, per la configurazione orografica acquista
mobilità straordinaria’’. Il segreto sta nelle due gradinate contrapposte
che, a seconda della posizione in cui ci si trova, nascondono, intercettano,
rivelano parzialmente o totalmente l’orizzonte che si adagia sul mare. |
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Le Corbusier,
Unitè d’abitation, Marsiglia Adalberto Libera, Villa Malaparte,
Capri |
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Capitolo 4 – Il controllo della luce (Novembre 1993) |
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La luce solare è una parte
fondamentale della progettazione di un edificio. Come sostiene Venezia ‘’attraverso
il calcolo, la matematica, e attraverso la geometria noi predisponiamo,
soltanto predisponiamo una metà dell’edificio; l’altra si dispiegherà nella
luce delle ore, dei giorni, delle stagioni’’. Non si deve, quindi, subire gli effetti
del sole sull’edificio, bensì prevederli per programmarli e farli propri nel
progetto; ma come? Ogni punto della Terra ha
condizioni astronomiche proprie che dipendono da latitudine, longitudine,
altitudine; gli effetti che ha la luce su un edificio sono gli stessi che
avrà tra cento anni (salvo impercettibili variazioni) e studiando
geograficamente il luogo è possibile prevedere il percorso della luce, la sua
durata e le ombre che porterà sulle membrature orizzontali e verticali
dell’edificio. ‘’Mai frangisole mobili.
I frangi-sole devono essere fissi. E’ il sole che si muove’’. Questa frase di
Le Corbusier viene utilizzata da Venezia per
evidenziare una concezione fondamentale, ossia l’architettura come misura
delle cose e, quindi, anche del tempo tramite lo studio e la progettazione
delle ombre. Il progettista ha il compito
di ideare le parti dell’edificio in modo tale che le ombre prodotte siano
previste e controllate come reali elementi mutevoli della composizione,
unitamente a quelli fissi: ‘’dobbiamo progettare ombre utili e belle’’. |
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Capitolo 5 – Il rapporto tra edificio e suolo
(Novembre 1993) |
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Nel
lavoro dell’architetto esiste un aspetto indipendente da quello di situare un
edificio, e cioè quello di creare un modello ideale, astratto rispetto alle
condizioni specifiche di un luogo. Il risultato di questa creazione si può
chiamare tipo o forma di architettura; ‘’il gran numero di edifici esistenti
deriva da un esiguo numero di tipi’’. Un
esempio può essere la forma dell’ipostilo, una sala nella quale lo spazio è
fittamente occupato da colonne; forma che è il principio di progetti come la
Grande Moschea a Cordova (primo secolo), gli uffici Johnson a Racine (1936-39), la sala dei Passi Perduti del
parlamento a Chandigarh (1955). Queste
forme, da cui il progettista può attingere per adattarle a nuovi programmi e
scopi, si sono sviluppate e perfezionate nel tempo indipendentemente dal
rapporto con determinati siti. Quest’ultimi
influenzano però la struttura o la forma particolare dell’edificio; i templi
nella piana di Paestum, che si adagiano dolcemente sul suolo, hanno
un’immagine ben diversa dal tempio di Apollo a Delfi che, su un lato, si
appoggia a enormi sostruzioni essendo posizionato sul bordo di un declivio. ‘’Tutta
l’architettura si gioca tra l’elaborazione di una forma – con
l’organizzazione delle parti che assolvono a compiti funzionali – e
l’impianto al suolo di quella forma stessa’’. ‘’Oggi
noi abbiamo perduto – insieme al controllo dell’orizzonte, insieme al
controllo della luce solare, insieme al controllo di tante altre cose –
abbiamo perduto anche il controllo della messa a terra di un edificio e come
questa possa conferire bellezza e forza a un edificio’’. Nell’architettura
contemporanea è ormai consuetudine spianare una collina, intubare corsi
d’acqua, considerando le problematiche del sito come ostacoli da eliminare;
un tempo invece era chiaro come ‘’la bellezza dell’architettura, o in senso
più generale, della città, non fosse soltanto legata alla bellezza degli
edifici , ma anche alla costruzione del suolo’’. La
lezione prosegue con esempi di architettura in cui il rapporto col suolo si rivela
fondamentale. Iniziando dal tempio della regina Hatshepsut, di epoca egizia,
in cui il cuore dell’edificio, cioè la cella del tempio, è scavato nella
roccia viva, e da qui si sviluppa un sistema ti terrazze digradanti che si
collegano al suolo; passando per l’epoca romana, l’architettura del Palladio,
di Louis Kahn, l’abbazia di Mont Saint-Michel, la moschea di Oman a
Gerusalemme; arrivando infine alla Fallingwater di
Frank Lloyd Wright dove, nel centro soggiorno, emerge la roccia, roccia che è
il nucleo fondativo di quest’abitazione, la sua
ragione d’essere; e così come nel tempio di Hatshepsut la cella viene
inserita nella roccia, al masso viene addossato tutto il nucleo tipico
dell’architetto americano: la torre che contiene il camino e tutte le dotazioni
impiantistiche. Wright ha introdotto le nuove tecnologie (calcestruzzo
armato, elettricità..) senza perdere i principi insediativi di civiltà
lontane nel tempo. ‘’Nel
nostro lavoro (l’architetto) qualunque novità deve fondare su di una solida
base ideale costituitasi nel corso di un tempo lunghissimo. Il vero nuovo può
nascere solo dalla tradizione’’. |
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Tempio di Hatshepsut, Luxo r( Fallingwater,
Frank Lloy Wright (1936) |
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Capitolo 6 – Rovine e non finito (Novembre 2005) |
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In questa lezione Francesco Venezia approfondisce il significato di
rovina, di cui si parla già nel primo capitolo in relazione all’archeologia,
e introduce il concetto di non finito. ‘’Non c’è rinnovamento nell’architettura senza il rapporto col passato’’
e senza profonda conoscenza di esso; in architettura gran parte di questo
passato è rappresentato dalla rovina. Questa col passare del tempo ha perso parti dell’edificio che rappresentavano
la sensibilità del periodo in cui era
stato concepito e acquista un significato più universale, di ‘’eterna
attualità’’ poiché è sopravvissuta al passaggio di numerose civiltà; è
rimasta unicamente con la sua ‘’potenza di forma’’. Il progettista deve
essere in grado di vedere la potenzialità universale della rovina farla
rivivere ideando nuove funzioni per quella forma. Venezia afferma anche di come sia fondamentale saper ‘’progettare belle
rovine’’; ciò che viene realizzato oggi, tra alcuni anni diventerà rovina e
dovrà essere in grado di nutrire le menti delle nuove generazioni di
architetti, così come ad esempio le rovine delle terme di Diocleziano hanno
ispirato a Michelangelo la basilica di santa Maria degli Angeli e dei
martiri. Mentre la rovina è ciò che resta di un edificio compiuto, il non finito
è ciò che resta di un progetto compiuto. Anche l’edificio non finito contiene
una forte valenza estetica poiché ‘’nella loro incompiutezza hanno la forza
di commuovere, di conseguire nuova o diversa bellezza’’. |
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Michelangelo,santa Maria degli Angeli e dei martiri, Roma |
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Capitolo 7 – Intervento al convegno Lafayette Park, Detroit (Ottobre 2010) |
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L’intervento
riguarda l’architettura di Mies van der Rohe. Venezia fa un
parallelo tra le rovine dei templi sulla piana di Paestum e la Nationalgalerie. Questi edifici hanno in comune una
perenne ‘’inattualità’’. Il tempio di Nettuno e la Basilica hanno perso col
tempo il superfluo diventando universali. L’opera di Mies
ha rinunciato al superfluo, alle cosa alla moda, pur utilizzando materiali
attuali, l’acciaio e il cristallo, ‘’nasce universale’’. |
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Fotomontaggio di Francesco
Venezia, templi sulla piana di Paestum e Nationalgalerie di Mies van der Rohe |