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autore |
COLIN ROWE
E FRED KOETTER |
titolo |
COLLAGE
CITY |
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editore |
THE MIT
PRESS |
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luogo |
CAMBRIDGE,
MASSACHUSETTS |
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anno |
2010 |
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lingua |
INGLESE |
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Prima
edizione: 1983 |
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Argomento
e tematiche affrontate |
Teoria dell’urbanistica e del ruolo dell’ Architetto-Urbanista nel
contesto urbano. |
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Giudizio
Complessivo: 7 (scala 1-10) concetti interessanti ma
il libro è molto complicato |
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Scheda compilata da: Giovanni Pancotti |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013 |
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Autori |
Colin Rowe (Rotherham, 27 marzo 1920 – Contea di Arlington, 5 novembre
1999) Architetto e
urbanista britannico, teorico dell’urbanistica. Ha studiato Architettura a
Liverpool e storia dell’arte a Londra. Ha insegnato in diverse facoltà e tra
i suoi studenti vi fu Peter Eiseman. I suoi scritti hanno influenzato il
pensiero di molti architetti del ventesimo secolo riguardo alla
pianificazione urbana. Fred Koetter, professore in diverse facoltà di prestigio come Yale e
Harvard, co-autore del libro. |
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Colin Rowe |
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Contenuto
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Il libro è una critica ai
metodi di progettazione urbana a partire dall’utopico “progetto totale”. Gli
autori propongono un metodo innovativo che si basa sulla frammentazione e la
ricomposizione a collage. |
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CAPITOLI |
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Utopia:
decline and fall? |
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Questo capitolo fa una carrellata delle principali utopie della storia
da quella metaforica del rinascimento con Thomas More per poi analizzare
quella degli anni Venti (le Corbusier “ville radieuse”) che affonda le sue
origini nel pensiero di Darwin, Hegel e Marx. La conclusione è disincantata
e, con l’esempio del complesso di Pruitt-igoe che fu subito distrutto, ci
mostra come queste teorie siano poco attuabili concretamente. |
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Il falansterio di Charles Fourier 1829 |
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After the
Millenium |
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Gli autori descrivono la citta moderna partendo dalle critiche che le sono
fatte individuando due filoni capeggiati uno dai Superstudio e l’altro dal
modello della Main street di Disneyworld. Il primo propone un mondo privo di
edifici e oggetti, dove la vita è nomade e dove l’unica necessità sono delle
coordinate cartesiane dalle quali scaturirà poi un’esistenza equilibrata. Il
secondo invece propone una riduzione esagerata del paesaggio urbano
rendendolo immediato, di facile comprensione ed egualitario. Queste due conclusioni sono figlie di due mondi diversi e, per assurdo, l’una
dell’altra poiché i Superstudio in Italia vivono in un mondo con una
sovrabbondanza di segni e riferimenti mentre gli americani sono abituati al
deserto dello Iowa. Da queste immagini, dove una esclude l’altra, si arriva a
definire due tipologie di edifici, uno come teatro della profezia l’altro
come teatro della memoria, che hanno un rapporto complementare poiché se si
concepisce uno non si può non concepire anche l’altro e, quindi, entrambi
devono essere presenti in una città ideale. |
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Superstudio “Landscape with figure” 1970 Disneyworld Main
street |
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Crisis of the Object: Predicament of Texture |
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Il capitolo comincia a focalizzare l’attenzione sulla ricerca di una
metodologia di progetto. Si parte dalla critica che Popper fa dell’utopia,
quindi del concetto che anche una fusione tra utopismo e storicismo rivolto
al futuro sarà sempre un rallentamento delle idee progressiste. Da qui deriva
la critica al progetto totale, rappresentato dal caso emblematico di
Versaille messo in confronto con Villa Adriana a Tivoli. La Seconda è un
insieme di parti costruite in tempi diversi e da regimi differenti, ma che
rappresenta comunque uno dei massimi esempi di Architettura. Questi concetti,
legati all’analisi di un saggio di Isaiah Berlin, nel quale egli denuncia la
mancanza di personalità che abbiano un sapere ampio e preso da contesti
diversi (Volpi) a differenza di quelli che invece “ne sanno una grande”
(Ricci), porta a delineare la tesi sostenuta dagli autori: “è meglio pensare
ad un aggregato di piccoli moduli, anche se in contraddizione tra loro,
piuttosto che coltivare fantasie di soluzioni totali e infallibili destinate
a non riuscire a causa dei presupposti della politica” |
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Villa Adriana a Tivoli |
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Collision city and the politics of “bricolage” |
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In questo capitolo viene presentata la figura del bricoleur, descritto
come “colui che fa un lavoro con le proprie mani ma che usa mezzi diversi
rispetto a quelli usati da chi è del mestiere”. A questa figura è accostata
quella dell’Architetto-urbanista che deve lavorare e controllare una serie di
sistemi chiusi e non cerca una visione di sintesi definitiva del problema. Un
esempio di questa politica urbanistica è Roma, sia quella imperiale, sia
quella papale che, con le sue antitesi (campi in collisione e detriti
interstiziali), è riconosciuta come un modello. |
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Roma Imperiale |
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Collage City and the Reconquest
of Time |
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Il capitolo conclusivo spiega la tecnica del collage partendo da aluni esempi
artistici, in particolare da Picasso, il quale fece grande uso di questa
tecnica; ne è un esempio la “testa di Toro” fatta con un sellino e un
manubrio da bicicletta. La contrapposizione di questi elementi ne rafforza il
significato e, allo stesso tempo, crea due o piu livelli di lettura
arricchendo così la composizione. Da qui si apre un dibattito sul tempo, in
quanto, se lo si vede con una mentalita ciclica, il collage risulta molto
efficace poichè la situazione sperimentale che si andrebbe a formare potrebbe
essere continuamente variata e mai anacronistica, a differenza di quanto
succederebbe con una visione lineare. Questa strategia favorirebbe, nonstante
potrebbe inglobare frammenti utopistici e storicistici, il cambiamento, la
storia e il movimento. Essa è vista come l’unico collante possibile tra
queste differenti situazioni trovando un equilibrio tra passato e futuro. |
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Testa di
Toro, Picasso, 1943 |