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autore |
ALDO ROSSI |
titolo |
AUTOBIOGRAFIA SCIENTIFICA |
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editore |
PRATICHE EDITRICE.PE |
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luogo |
MILANO |
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anno |
1990 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale: a Scientific Autobiography; 1981
Cambridge, Oppositions Books |
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Argomento e tematiche affrontate |
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La redazione di
questo libro da parte di A. Rossi è da far coincidere più o meno con la
considerazione che ha iniziato ad avere riguardo all’arte: essa è una
descrizione delle cose e di noi stessi; per capire e spiegare meglio
l’architettura bisogna ripercorrere le impressioni e le cose vissute e
cercare il modo di descriverle. Da questa concezione
egli parte con la stesura di questa autobiografia che ripercorre in un
‘discreto’ disordine ricordi di luoghi e cose abbandonate, citazioni di testi
e di autori apprezzati e frammenti di oggetti; scientifica perché è piuttosto
oggettiva ed è esplicito l’interesse non puramente architettonico come
finalità di questa opera |
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Giudizio
Complessivo: |
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Scheda compilata da:
Valentini Samuele |
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Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2
a.a.2012/2013 |
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Autore |
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Aldo Rossi nasce a Milano il 3
marzo 1931. Nel 1949 si iscrive al Politecnico di Milano, dove si laurea nel
1959. |
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Aldo Rossi |
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CAPITOLI |
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Capitolo 1 – Tra Dante , M. Planck e l’Alberti |
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L’autore ha sempre
ammirato la Commedia perché è stata iniziata nell’età in cui bisogna compiere
qualcosa di definitivo e fare i conti con se stessi (30anni circa), dopo
questa infatti egli non avrebbe avuto più nulla da dire a riguardo. Planck è stato da
lui apprezzato per la sua deduzione a riguardo del lavoro che rimane
intrinseco nel materiale utilizzato fino a un certo punto , così secondo lui
ogni materiale deve prevedere la costruzione di un luogo e la sua
trasformazione: la continuazione dell’energia si mischia alla ricerca della
felicità. Egli amava le contaminazioni e i piccoli cambiamenti , insieme alle
ripetizioni. Per questo la sua ammirazione va’ anche a toccare l’Alberti,
nella sua ripetizione delle forme e dei linguaggi come se non esistesse
contemporaneità, poiché l’unico suo (di Aldo) interesse era la ricerca di una
forma precisa che combatteva il tempo fino a che non veniva distrutta. |
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Capitolo 2 – Evento – Cambiamento |
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Mettendo in
parallelo il Convento de las Pelayas
e il suo quartiere gallaratese soprattutto a livello di luminosità e di vista,
A. Rossi sostiene che con gli strumenti dell’architettura si debba favorire
un evento, che può accadere o non accadere, ma concentrando sempre su questo
un qualcosa di progressivo. Così l’architettura diventa un mezzo per lo
svolgersi di una cosa. Ora le costruzioni raggiungono un silenzio che fa
capire all’autore che è meglio vivere le cose e abbandonarle, e che è più
affascinante ciò che non può essere previsto. |
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Capitolo 3 – 3. Sacri Monti e Frammenti |
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Nei suoi disegni,
sostiene, è sempre presente una sorta di naturalismo ereditato dalla passione
per i Sacri monti, visitati durante l’ultima giovinezza, anche da lì egli
voleva concedersi una ‘finestra’ e ‘ uscire dalla condizione di chi passa’. A
questi si aggiunge anche l’interesse emotivo per i frammenti, ossia quei
relitti riscoperti che danno l’idea di un legame spezzato ma non del tutto:
secondo l’architetto forse ‘solo le distruzioni esprimono completamente un
fatto’. Ogni suo progetto, qualsiasi
esso sia, cattura l’essenza della sua funzione. |
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Capitolo 4 – Dall’incidente al cimitero di Modena _ La liquidazione della
giovinezza e l’interesse per la morte |
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Poche date sono effettivamente
riportate in questo scritto, è importante però ricordare che nel 1971 A.
Rossi subì un grave incidente d’auto vicino a Belgrado, e nell’ospedale lì
vicino disse di aver oltrepassato la giovinezza e porre parte del suo
interesse nei confronti della morte, iniziando e dedicandosi al progetto per
il Cimitero di Modena. |
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Capitolo 5 – L’ ‘Altro scritto’ e la corte |
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Nell’ Architettura della città Rossi vuole
già elaborare uno scritto definitivo , sicuramente più oggettivo, ma che lo ha
portato a una crisi e successiva perdita dell’identità subito dopo averla
scoperta e valutata come una scelta. ‘Ammettevo che il
disordine delle cose, se limitato e in qualche modo onesto, rispondesse
meglio al nostro stato d’animo’. |
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Capitolo 6 – La ricerca della felicità _ Le Case-capanna e la Casa dello studente
di Chieti |
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Altro importante
progetto, questo di Chieti nasce come una ricerca di felicità come condizione
di maturità. Egli ha osservato e tratto memorie dalle cabine sulle spiagge
italiane e non che sempre lo hanno attratto , considerandole come
un’architettura perfetta , capace di innestarsi ovunque; da qui arriva la
terminologia tecnica della piccola casa, dimensione minima del vivore. Ha associato queste a una definizione architettonica
da lui colta, creando una nuova dimensione basata sullo strapiombo. Da qui ha
concluso che non vi è forma di felicità se non con una parte di idiozia (e di
riscoperta) intrinseca in sé. Prese spunto anche dall’ Albergo Sirena. |
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Capitolo 7 – Il Teatro , o meglio , teatrino |
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E’ anche nella
concezione del teatro che troviamo le capanne-cabine da spiaggia presenti
come ‘scenografia’ e ‘capitale imponente che lo forma’ (impressions
d’Afrique) . In ogni sua architettura Rossi è sempre stato affascinato da
questa tipologia, nonostante abbia concluso solo due progetti. La struttura
del teatro è una delle forme migliori per esprimerne la vita stessa, in esso
proprio la vita viene ‘segnata’, e come modo di vivere può essere considerato
un’abitazione. Il termine teatrino, ribadisce rossi, non è da intendere in
senso vezzeggiativo o infantile, bensì serve a specificarne il carattere ‘di
privato, di singolare, di ripetitivo di quanto nel teatro è finzione’.
Caratterialmente dalla storia il teatro si identifica per la chiarezza del
timpano e per lievi accorgimenti della facciata, all’interno però è una
struttura che ci fa vivere l’inganno delle proporzioni non appena vissuta una
grandezza sensibile. |
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Capitolo 8 – Il progetto della villa e Dimenticare l’architettura |
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Tra gli schemi incompiuti
dell’architetto vi è un concetto importante chiamato ‘dimenticare
l’architettura’ che trova la migliore espressione nel progetto della villa
con interno. Nonostante il ringraziamento a Palladio, Rossi non è riuscito a
recuperare la tipologia dissoltasi della villa, intesa non come piccola casa, tracciando un corridoio
che lo portava solo a generare qualcosa di più distribuito come una caserma e
non al limitarsi nell’intimità dei rapporti di relazione ma anzi di
ostacolarli moltiplicandone gli spazi, così da rendere l’interno più forte
della costruzione. ‘E’ difficile
pensare senza un’ossessione, è impossibile creare senza una base rigida e
ripetitiva’ con questo Rossi trova maggiore conforto nel ‘rito’ , che riesce
a dare continuità , e lo applica nell’Unità Residenziale S. Rocco(1966). |
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Capitolo 9 – Gaudì e Alessandro Antonelli |
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Due importanti
influenze sono state la verticalità e la coerenza ossessiva di Antonelli, che
portava all’estremo costruzioni tradizionali, rompendo le regole per
confrontarsi, e la conduzione fino all’assurdo delle possibilità statiche di Gaudì, importatogli da Salvador Terragò. |
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Capitolo 10 – Orgoglio Sovietico |
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‘Ogni luogo è certamente
singolare proprio nella misura in cui possiede stremate affinità con altri
luoghi (..) e si ricorda nella misura in cui diventa un luogo d’affezione o
nella misura in cui siamo immedesimati. ‘
Ancora nella sua giovinezza Rossi si trova in Russia, attratto dal
realismo socialista, affermava che ha sempre preso le difese della sua
architettura del periodo stalinista , la quale poteva trasformarsi in una
valida alternativa all’orrore di quella moderna ed invece è stata
abbandonata. |
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Capitolo 11 – Adolf Loos e Boullèe |
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Ciò che è più caro
all’architetto è la specializzazione che vuole ottenere nell’osservare le
cose, la capacità di saperle leggere in tutti i possibili caratteri e in
seguito tramandarle con la memoria. Per lui A. Loos
ha fatto in architettura questa grande scoperta: identificarsi con la cosa
attraverso l’osservazione e la sua descrizione. L’architettura per essere
grande deve venire dimenticata o porre solo un’immagine di riferimento che si
confonde con i ricordi. La fama di germanista gli è stata conferita grazie
anche al maestro (sotto cui lavorava per Casabella)
E.N. Rogers che ha letto e consigliato per primo il
libro di Loos. Inoltre, con la traduzione di Boullèe, ha voluto sottolineare la sua scoperta: il
carattere cronologico che la luce e le ombre danno all’architettura nei
momenti in cui viene osservata. |
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Capitolo 12 – I Musei (vuoti) |
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A. Rossi ha provato
attrazione dai musei quando ha capito che si annoiava. Secondo lui questi
sono solo delle ‘truffe’ perché rendono magnifico il tutto a grandi linee,
distraendo le persone dallo specifico , senza un filo conduttore , al
contrario dei teatri che garantiscono l’inizio lo svolgimento e la fine di
una vicenda. Egli non vuole
parlare dei suoi insuccessi ma accenna soltanto al fatto che i suoi progetti
più belli sono stati sempre bocciati. |
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Capitolo 13 – Misura Luogo Tempo |
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Il più difficile
problema dell’architettura è quello della misura, il binomio tra realtà e
descrizione è complessissimo , e spesso è difficile trovare la giusta via di
mezzo. E’ sempre più forte la scena di chi la vive, nonostante sia
determinante, ed è giusto valorizzare questo confronto tra labile e
resistente, applicato da Rossi nei suoi materiali. |
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Capitolo 14 – Il desiderio (tra Trieste e Chieti) |
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L’attaccamento a un
qualcosa porta spesso un disturbo nella capacità di esprimerlo, secondo A.Rossi una cosa è rappresentabile solo una volta perso
il desiderio, vale la pena viverlo dove il desiderio è morto. Del quartiere Gallaratese
a Milano del 1970 c’è da sottolineare la semplicità delle scansioni, la
dimensione e il senso di rigore ingegneresco. |
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Capitolo 15 – Il Teatro Di Venezia |
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Il suo ultimo
progetto fu il Teatro Galleggiante alla Biennale di Venezia del 1979/80.
Nella città dove tutto sembra fluttuare tra mare e cielo, anche se in realtà
è ancorato alla terra delle isole della laguna, Rossi crea davvero
un’architettura galleggiante, destinata a incarnare per un attimo veneziani e
turisti. Una magia scenografica che ha riproposto per pochi mesi i fasti
della tradizione veneziana dando origine a un nuovo, inusuale teatro. La
forma è generalmente semplice , i panorami sono visibili anche dall’interno
grazie alle vetrate che fanno si che la natura sia la scenografia stessa.
Rimandando al classicismo Palladiano, il Teatro gli sembra un luogo dove
finisce l’architettura e inizia il mondo dell’immaginazione, ed è bello per
il suo ‘saper stare nella città’. Il prestigio è dato da un’insolita
mescolanza di tipologie tra cui la galleria , l’anfiteatro , il percorso
delle scale e il palcoscenico centrale. |
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Capitolo 16 – Regista |
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L’unica esperienza
nel campo del cinema Rossi l’ha avuta con la Triennale di Milano nel 1973; il
film aveva il titolo del più bel saggio di architettura (Ornamento e Delitto)
ed era un collage di opere d’architettura e pezzi di film nel tentativo di
immettere il discorso dell’architettura nella vita e nello stesso tempo
vederlo come sfondo delle vicende dell’uomo. La parte finale del
cortometraggio è stata girata nella periferia milanese all’alba. |
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Capitolo 17 – L’America e l’architettura moderna |
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Nei confronti
dell’architettura moderna Rossi ha sempre mantenuto un atteggiamento ambiguo
ma sempre propenso al rifiuto (ecco perché valorizzava l’architettura
stalinista). Egli la osservava e la studiava attentamente ma ne denunciava
tutti quei caratteri moralistici e piccolo borghesi in essa caratterizzanti,
e questo non solo in Europa. L’America (quella del nord) è stata valutata
come un vero fallimento in campo architettonico perché di tutte le masse
giganti costruite ciò che maggiormente la caratterizza sono le steppe e le
campagne. |
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Capitolo 18 – Conclusione |
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Queste critiche non
hanno abbattuto l’architetto, anzi hanno prodotto in lui una nuova grande
voglia creativa e un nuovo interesse per l’architettura. La sua paura più grande
era il rappresentare il passato con il desiderio presente, ma un desiderio
ormai morto, che si potesse colorare solo di speranza. Egli non ha concluso
nulla se non forzatamente. E’ puramente vero nell’uomo un amore incompiuto
per il progetto , una voglia continua di rifare ma non per cambiare
radicalmente, bensì per una strana profondità del sentimento delle cose , e
dedizione ad esse.. Il compimento va oltre l’architettura, ogni cosa è la
premessa di ciò che vogliamo fare. C’è una amore vero e proprio per l’inizio
e la fine , il distruggersi e ricomporsi , e un rifiuto nel soffermarsi
troppo nelle fasi intermedie , dove si rischia di essere troppo prevedibili.
E’ così che comunque ogni cosa deve concludersi anche solo per essere
ripetuta con piccolissime variazioni. ‘Ancora ho visto come, scrivendo tutto
questo, si crei un altro progetto che ha in sé qualcosa di imprevedibile e di
imprevisto’. |