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Descrizione: autobio_scientifica

autore

ALDO ROSSI

titolo

AUTOBIOGRAFIA SCIENTIFICA

editore

PRATICHE EDITRICE.PE

luogo

MILANO

anno

1990

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

Titolo originale: a Scientific Autobiography; 1981 Cambridge, Oppositions Books

 

 

 

Descrizione: autobio_scientifica

Argomento e tematiche affrontate

La redazione di questo libro da parte di A. Rossi è da far coincidere più o meno con la considerazione che ha iniziato ad avere riguardo all’arte: essa è una descrizione delle cose e di noi stessi; per capire e spiegare meglio l’architettura bisogna ripercorrere le impressioni e le cose vissute e cercare il modo di descriverle.

Da questa concezione egli parte con la stesura di questa autobiografia che ripercorre in un ‘discreto’ disordine ricordi di luoghi e cose abbandonate, citazioni di testi e di autori apprezzati e frammenti di oggetti; scientifica perché è piuttosto oggettiva ed è esplicito l’interesse non puramente architettonico come finalità di questa opera

  

Giudizio Complessivo:

Scheda compilata da: Valentini Samuele

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013

  

 

 

 

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Autore

Aldo Rossi nasce a Milano il 3 marzo 1931. Nel 1949 si iscrive al Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1959.
Già nel 1956 , però, inizia un’ attività di collaboratore a Casabella-Continuità diretta da Ernesto N. Rogers (collaborazione che durerà fino al 1964).
Sempre nel 1956 inizia a lavorare con Ignazio Gardella e Marco Zanuso.
Dal 1961 Rossi inizia a frequentare le aule universitarie in qualità di professore, o meglio come docente ospite alla Deutsche Bauakademie di Berlino diretta da Hans Schmidt, poi nel 1963 come assistente di Ludovico Quaroni alla Scuola urbanistica di Arezzo e di Carlo Aymonino all'istituto universitario di architettura di Venezia.
Nel 1965 diventa Professore incaricato presso il Politecnico di Milano.
Nel 1966 pubblica "L'architettura e la città", saggio dove ridiscute i dettami del movimento moderno verso una posizione storica e tradizionale dell’architettura (Postmoderno). 
Nel 1970 ottiene delle cattedre a Milano e a Palermo, ma nel 1971 viene sospeso dall'insegnamento in Italia per attività politico-culturale nell'Università. 
In seguito, nel 1972, accetta l’incarico di professore al Politecnico Federale di Zurigo. 
L’anno dopo diventa direttore della sezione internazionale di Architettura alla Triennale di Milano, ma non solo: nello stesso anno gira un film intitolato “Ornamento e Delitto” .
Nel 1975 viene reintegrato nell'insegnamento in Italia. Ottiene così la cattedra di Composizione architettonica all'Università di Venezia.
Successivamente viene nominato direttore del Seminario internazionale di Santiago de Compostela. Dal 1976 inizia ad insegnare anche in diverse università americane, tra cui la Cornell University di Ithaca, la Cooper Union di New York, l’institute for Architecture and Urban Studies a New York, la Yale University e Harward.
Nel 1983 ricopre l’incarico di direttore della sezione Architettura della Biennale di Venezia.
Aldo Rossi muore il 4 settembre del 1997 a Milano.

Aldo Rossi

   

CAPITOLI

Capitolo 1 – Tra Dante , M. Planck e l’Alberti

L’autore ha sempre ammirato la Commedia perché è stata iniziata nell’età in cui bisogna compiere qualcosa di definitivo e fare i conti con se stessi (30anni circa), dopo questa infatti egli non avrebbe avuto più nulla da dire a riguardo.  Planck è stato da lui apprezzato per la sua deduzione a riguardo del lavoro che rimane intrinseco nel materiale utilizzato fino a un certo punto , così secondo lui ogni materiale deve prevedere la costruzione di un luogo e la sua trasformazione: la continuazione dell’energia si mischia alla ricerca della felicità. Egli amava le contaminazioni e i piccoli cambiamenti , insieme alle ripetizioni. Per questo la sua ammirazione va’ anche a toccare l’Alberti, nella sua ripetizione delle forme e dei linguaggi come se non esistesse contemporaneità, poiché l’unico suo (di Aldo) interesse era la ricerca di una forma precisa che combatteva il tempo fino a che non veniva distrutta.

 

Capitolo 2 – Evento – Cambiamento

Mettendo in parallelo il Convento de las Pelayas e il suo quartiere gallaratese soprattutto a livello di luminosità e di vista, A. Rossi sostiene che con gli strumenti dell’architettura si debba favorire un evento, che può accadere o non accadere, ma concentrando sempre su questo un qualcosa di progressivo. Così l’architettura diventa un mezzo per lo svolgersi di una cosa. Ora le costruzioni raggiungono un silenzio che fa capire all’autore che è meglio vivere le cose e abbandonarle, e che è più affascinante ciò che non può essere previsto.

Capitolo 3 – 3. Sacri Monti e Frammenti

Nei suoi disegni, sostiene, è sempre presente una sorta di naturalismo ereditato dalla passione per i Sacri monti, visitati durante l’ultima giovinezza, anche da lì egli voleva concedersi una ‘finestra’ e ‘ uscire dalla condizione di chi passa’. A questi si aggiunge anche l’interesse emotivo per i frammenti, ossia quei relitti riscoperti che danno l’idea di un legame spezzato ma non del tutto: secondo l’architetto forse ‘solo le distruzioni esprimono completamente un fatto’.

Ogni suo progetto, qualsiasi esso sia, cattura l’essenza della sua funzione.

Capitolo 4 – Dall’incidente al cimitero di Modena _ La liquidazione della giovinezza e l’interesse per la morte

Poche date sono effettivamente riportate in questo scritto, è importante però ricordare che nel 1971 A. Rossi subì un grave incidente d’auto vicino a Belgrado, e nell’ospedale lì vicino disse di aver oltrepassato la giovinezza e porre parte del suo interesse nei confronti della morte, iniziando e dedicandosi al progetto per il Cimitero di Modena.
I lavori dopo questo progetto iniziarono nel 1975 circa, fu seguito da numerose critiche e feroci attacchi, tradotto come un esperimento neoilluminista, in realtà rappresentava esattamente ciò che l’architetto aveva predisposto ‘questa casa dei morti ha un tempo legato alla vita’ . e da qui ‘ se dovessi rifare questo progetto forse lo rifarei uguale, forse rifarei uguale ogni progetto’  , per sottolineare che non è necessario un cambiamento radicale bensì un mutazione in progresso data da chi ‘’vive’’ davvero l’edificio.

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Capitolo 5 – L’ ‘Altro scritto’ e la corte

Nell’ Architettura della città Rossi vuole già elaborare uno scritto definitivo , sicuramente più oggettivo, ma che lo ha portato a una crisi e successiva perdita dell’identità subito dopo averla scoperta e valutata come una scelta.
Essendo milanese ha sempre amato la tipologia della corte (corral), vista come forma di vita tipica della città e anche della campagna (cascine), anche se da giovane si sentiva escluso ed entrava in esse con timore e curiosità.
Secondo lui sono i giusti innesti che creano le condizioni agevoli della vita, nuovi significati nati da nuove relazioni; così l’architetto deve usare i suoi strumenti come un tecnico, affrontare comunque un grado di imprevedibilità e innestare la vita con l’architettura stessa.

‘Ammettevo che il disordine delle cose, se limitato e in qualche modo onesto, rispondesse meglio al nostro stato d’animo’.

Capitolo 6 – La ricerca della felicità _ Le Case-capanna e la Casa dello studente di Chieti

Altro importante progetto, questo di Chieti nasce come una ricerca di felicità come condizione di maturità. Egli ha osservato e tratto memorie dalle cabine sulle spiagge italiane e non che sempre lo hanno attratto , considerandole come un’architettura perfetta , capace di innestarsi ovunque; da qui arriva la terminologia tecnica della piccola casa, dimensione minima del vivore. Ha associato queste a una definizione architettonica da lui colta, creando una nuova dimensione basata sullo strapiombo. Da qui ha concluso che non vi è forma di felicità se non con una parte di idiozia (e di riscoperta) intrinseca in sé. Prese spunto anche dall’ Albergo Sirena.

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Capitolo 7 – Il Teatro , o meglio , teatrino

E’ anche nella concezione del teatro che troviamo le capanne-cabine da spiaggia presenti come ‘scenografia’ e ‘capitale imponente che lo forma’ (impressions d’Afrique) . In ogni sua architettura Rossi è sempre stato affascinato da questa tipologia, nonostante abbia concluso solo due progetti. La struttura del teatro è una delle forme migliori per esprimerne la vita stessa, in esso proprio la vita viene ‘segnata’, e come modo di vivere può essere considerato un’abitazione. Il termine teatrino, ribadisce rossi, non è da intendere in senso vezzeggiativo o infantile, bensì serve a specificarne il carattere ‘di privato, di singolare, di ripetitivo di quanto nel teatro è finzione’. Caratterialmente dalla storia il teatro si identifica per la chiarezza del timpano e per lievi accorgimenti della facciata, all’interno però è una struttura che ci fa vivere l’inganno delle proporzioni non appena vissuta una grandezza sensibile.

  

Capitolo 8 – Il progetto della villa e Dimenticare l’architettura

Tra gli schemi incompiuti dell’architetto vi è un concetto importante chiamato ‘dimenticare l’architettura’ che trova la migliore espressione nel progetto della villa con interno. Nonostante il ringraziamento a Palladio, Rossi non è riuscito a recuperare la tipologia dissoltasi della villa, intesa non  come piccola casa, tracciando un corridoio che lo portava solo a generare qualcosa di più distribuito come una caserma e non al limitarsi nell’intimità dei rapporti di relazione ma anzi di ostacolarli moltiplicandone gli spazi, così da rendere l’interno più forte della costruzione.

‘E’ difficile pensare senza un’ossessione, è impossibile creare senza una base rigida e ripetitiva’ con questo Rossi trova maggiore conforto nel ‘rito’ , che riesce a dare continuità , e lo applica nell’Unità Residenziale S. Rocco(1966).

  

Capitolo 9 – Gaudì e Alessandro Antonelli

Due importanti influenze sono state la verticalità e la coerenza ossessiva di Antonelli, che portava all’estremo costruzioni tradizionali, rompendo le regole per confrontarsi, e la conduzione fino all’assurdo delle possibilità statiche di Gaudì, importatogli da Salvador Terragò.

 

  

Capitolo 10 – Orgoglio Sovietico

‘Ogni luogo è certamente singolare proprio nella misura in cui possiede stremate affinità con altri luoghi (..) e si ricorda nella misura in cui diventa un luogo d’affezione o nella misura in cui siamo immedesimati. ‘  Ancora nella sua giovinezza Rossi si trova in Russia, attratto dal realismo socialista, affermava che ha sempre preso le difese della sua architettura del periodo stalinista , la quale poteva trasformarsi in una valida alternativa all’orrore di quella moderna ed invece è stata abbandonata.

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Capitolo 11 – Adolf Loos e Boullèe

Ciò che è più caro all’architetto è la specializzazione che vuole ottenere nell’osservare le cose, la capacità di saperle leggere in tutti i possibili caratteri e in seguito tramandarle con la memoria. Per lui A. Loos ha fatto in architettura questa grande scoperta: identificarsi con la cosa attraverso l’osservazione e la sua descrizione. L’architettura per essere grande deve venire dimenticata o porre solo un’immagine di riferimento che si confonde con i ricordi. La fama di germanista gli è stata conferita grazie anche al maestro (sotto cui lavorava per Casabella) E.N. Rogers che ha letto e consigliato per primo il libro di Loos. Inoltre, con la traduzione di Boullèe, ha voluto sottolineare la sua scoperta: il carattere cronologico che la luce e le ombre danno all’architettura nei momenti in cui viene osservata.

 

Capitolo 12 – I Musei (vuoti)

A. Rossi ha provato attrazione dai musei quando ha capito che si annoiava. Secondo lui questi sono solo delle ‘truffe’ perché rendono magnifico il tutto a grandi linee, distraendo le persone dallo specifico , senza un filo conduttore , al contrario dei teatri che garantiscono l’inizio lo svolgimento e la fine di una vicenda.

Egli non vuole parlare dei suoi insuccessi ma accenna soltanto al fatto che i suoi progetti più belli sono stati sempre bocciati.

Capitolo 13 – Misura Luogo Tempo

Il più difficile problema dell’architettura è quello della misura, il binomio tra realtà e descrizione è complessissimo , e spesso è difficile trovare la giusta via di mezzo. E’ sempre più forte la scena di chi la vive, nonostante sia determinante, ed è giusto valorizzare questo confronto tra labile e resistente, applicato da Rossi nei suoi materiali.
oltre a ciò è importante un approccio e una partecipazione attivi e teorici per affrontare l’altra più difficile concezione dell’architettura, ossia il tempo e il luogo. La sua dedizione va a questa autobiografia che serve a lui per descrivere i suoi progetti, anche se non sa di preciso se sia meglio prima o dopo il fatto accaduto.

 

Capitolo 14 – Il desiderio (tra Trieste e Chieti)

L’attaccamento a un qualcosa porta spesso un disturbo nella capacità di esprimerlo, secondo A.Rossi una cosa è rappresentabile solo una volta perso il desiderio, vale la pena viverlo dove il desiderio è morto.
Per i progetti triestini e quello di Chiedi egli fa riferimento a una visita in un ospedale psichiatrico e da lì osserva e ricerca i rapporti che si instaurano tra persone conosciute immedesimandosi nei giovani e nei ricoverati che ‘dovevano ricostruirsi una casa’ immersi in una architettura-città.

Del quartiere Gallaratese a Milano del 1970 c’è da sottolineare la semplicità delle scansioni, la dimensione e il senso di rigore ingegneresco.

Capitolo 15 – Il Teatro Di Venezia

Il suo ultimo progetto fu il Teatro Galleggiante alla Biennale di Venezia del 1979/80. Nella città dove tutto sembra fluttuare tra mare e cielo, anche se in realtà è ancorato alla terra delle isole della laguna, Rossi crea davvero un’architettura galleggiante, destinata a incarnare per un attimo veneziani e turisti. Una magia scenografica che ha riproposto per pochi mesi i fasti della tradizione veneziana dando origine a un nuovo, inusuale teatro. La forma è generalmente semplice , i panorami sono visibili anche dall’interno grazie alle vetrate che fanno si che la natura sia la scenografia stessa. Rimandando al classicismo Palladiano, il Teatro gli sembra un luogo dove finisce l’architettura e inizia il mondo dell’immaginazione, ed è bello per il suo ‘saper stare nella città’. Il prestigio è dato da un’insolita mescolanza di tipologie tra cui la galleria , l’anfiteatro , il percorso delle scale e il palcoscenico centrale.

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Capitolo 16 – Regista

L’unica esperienza nel campo del cinema Rossi l’ha avuta con la Triennale di Milano nel 1973; il film aveva il titolo del più bel saggio di architettura (Ornamento e Delitto) ed era un collage di opere d’architettura e pezzi di film nel tentativo di immettere il discorso dell’architettura nella vita e nello stesso tempo vederlo come sfondo delle vicende dell’uomo. La parte finale del cortometraggio è stata girata nella periferia milanese all’alba.

 

Capitolo 17 – L’America e l’architettura moderna

Nei confronti dell’architettura moderna Rossi ha sempre mantenuto un atteggiamento ambiguo ma sempre propenso al rifiuto (ecco perché valorizzava l’architettura stalinista). Egli la osservava e la studiava attentamente ma ne denunciava tutti quei caratteri moralistici e piccolo borghesi in essa caratterizzanti, e questo non solo in Europa. L’America (quella del nord) è stata valutata come un vero fallimento in campo architettonico perché di tutte le masse giganti costruite ciò che maggiormente la caratterizza sono le steppe e le campagne.

 

Capitolo 18 – Conclusione

Queste critiche non hanno abbattuto l’architetto, anzi hanno prodotto in lui una nuova grande voglia creativa e un nuovo interesse per l’architettura. La sua paura più grande era il rappresentare il passato con il desiderio presente, ma un desiderio ormai morto, che si potesse colorare solo di speranza. Egli non ha concluso nulla se non forzatamente. E’ puramente vero nell’uomo un amore incompiuto per il progetto , una voglia continua di rifare ma non per cambiare radicalmente, bensì per una strana profondità del sentimento delle cose , e dedizione ad esse.. Il compimento va oltre l’architettura, ogni cosa è la premessa di ciò che vogliamo fare. C’è una amore vero e proprio per l’inizio e la fine , il distruggersi e ricomporsi , e un rifiuto nel soffermarsi troppo nelle fasi intermedie , dove si rischia di essere troppo prevedibili. E’ così che comunque ogni cosa deve concludersi anche solo per essere ripetuta con piccolissime variazioni. ‘Ancora ho visto come, scrivendo tutto questo, si crei un altro progetto che ha in sé qualcosa di imprevedibile e di imprevisto’.