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 | autore  | ANTONIO MONESTIROLI | 
| titolo  | L’ARCHITETTURA DELLA REALTA’ | |
| editore  | UMBERTO ALLEMANNI & C. | |
| luogo | TORINO | |
| anno | 2004 | |
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| lingua | ITALIANO | |
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| Prima edizione:  1979 CLUP, MILANO | ||
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 | Argomento e tematiche affrontate | |
| Questo libro comprende quattro testi elaborati da
  Antonio Monestiroli nel corso degli anni ’70. Il primo, “REALTA’ E STORIA DELL’ARCHITETTURA”, è
  apparso come piccolo libro autonomo nel 1977. Ad esso si sono aggiunti
  successivamente “LE FORME DELL’ABITAZIONE” E “LA CITTA’ COME CONOSCENZA” per
  formare nel 1979 la prima edizione dell’ARCHITETTURA DELLA REALTA’. Nel 1983 è stata pubblicata una seconda edizione che
  comprendeva un quarto testo “ARCHITETTURA, NATURA, STORIA” e si è stabilita
  la forma definitiva che il libro presenta oggi. L’obiettivo di Monestiroli è quello di identificare le
  principali categorie che solcano il territorio dell’architettura e applicarle
  allo studio dei grandi esempi di quelle opere e quei progetti ai quali si può
  sempre tornare perché la sorgente del loro insegnamento è inesauribile. Il compito che il libro si impone serve a definire non
  solo, con nitidezza, il programma delle successive ricerche teoriche, ma
  anche ad affinare e mettere a punto i suoi nuovi strumenti di progetto. Uno dei temi più importanti affrontati, nonché uno dei
  principi fondamentali dell’architettura moderna è il riconoscimento che non
  vi è avanzamento artistico senza avanzamento conoscitivo e che l’obiettivo
  dell’architettura è di costruire le forme della realtà con un livello sempre
  più alto di autocoscienza. Infine Monestirole suggerisce che il vero compito dell’architetto
  consiste proprio nell’interporre la realtà strutturandola con l’intervento
  del pensiero e cercandola di renderla intelligibile, cioè dotandola di
  un’architettura. | ||
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| Giudizio
  Complessivo: 7 (scala 1-10) | ||
| Scheda compilata da: Valentina Bellotti | ||
| Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2
  a.a.2012/2013 | ||
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 | Autore | |
| Antonio
  Monestiroli è nato a Milano nel 1940, dove si è
  laureato presso il politecnico nel 1965 con Franco Albini. Dal
  1968 al 1972 è stato assistente e collaboratore di Aldo Rossi. Dal
  1970 ha insegnato Composizione architettonica alla facoltà di
  Architettura del Politecnico di Milano e dal 1997 alla facoltà di
  Architettura Civile. E’
  considerato, grazie ai suoi progetti, solo in parte realizzati, una delle
  figure dell’architettura italiana del nostro tempo. Ha
  curato l’edizione italiana del libro di L.Hilberseimer
  su Mies Van Der Rohe(Milano 1984) e ha pubblicato, tra gli altri, i
  volumi “L’architettura secondo Gardella” (Roma
  1997) e la “Metopa e il triglifo” (Roma-Bari 2002) | ||
| Antonio Monestiroli | ||
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| Contenuto  | ||
|  Nel primo
  capitolo si definisce l’architettura come attività conoscitiva che scaturisce
  sia dalla realtà sociale che dalla realtà storica; si mette in evidenza
  l’importanza della ragione collettiva degli edifici e della loro
  riconoscibilità. Il secondo capitolo affronta lo studio della relazione
  tra forme della residenza e costruzione della città e mostra come
  l’architettura parta sempre dalla riflessione delle forme del passato viste
  alla luce della realtà presente. Il terzo capitolo si concentra sulla cultura urbana del
  settecento in particolare dell’illuminismo. Si analizza la città com’era e le varie proposte
  avanzate dai teorici illuministi per risolvere i maggiori problemi presenti
  nella realtà urbana dell’epoca.Si sottolinea in particolar modo il punto di
  vista di Ledoux e il suo pensiero sulla costruzione della città. Infine nel quarto capitolo si studia il tema
  dell’analogia e delle sue funzioni in architettura. Molto importanti sono l’analogia con la storia, con la
  natura e con la tecnica; si osserva infine come tre grandi architetti del
  movimento moderno le applicano al fine di costruire e creare tre diversi
  linguaggi. | ||
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| CAPITOLI | ||
| Capitolo 1 – REALTA’ E STORIA
  DELL’ARCHITETTURA | ||
| Si parte
  dall' ipotesi che la progettazione sia un' ATTIVITA' CONOSCITIVA con determinate
  regole e ci si chiede quale sia l' oggetto da conoscere nel progetto:
  l'architettura stessa, l'universo logico delle sue FORME oppure la vita reale
  degli uomini? La
  risposta non è immediata: per fare il primo passo nell'elaborazione di un
  progetto si deve definire l'IDEA fondamentale, nella quale si deve celare il
  FINE ULTIMO dell'architettura. Tale IDEA
  ARTISTICA è il risultato di un' intensa, precedente, attività conoscitiva
  che ha come oggetti concreti sia la REALTA' ESTERNA(nei suoi nessi con
  l'architettura) sia la REALTA' STORICA; tale attività è volta a definire il
  fine di ogni architettura. Inoltre l'
  IDEA ARTISTICA deve essere definita da una forte aspirazione alla
  razionalità, la quale permette di evidenziare il rapporto che
  l'architettura ha con la FORMA. Quindi
  l'IDEA che si sta cercando si concretizzerà in una FORMA REALE che dovrà
  rappresentare il superamento delle forme del passato. Tutto ciò
  significa che l'ARCHITETTURA, concretizzandosi tramite una forma, è sempre
  legata alla REALTA' e la realtà, essendo costituita da uomini, è
  COLLETTIVITA'; ne consegue che l'ARCHITETTURA è COLLETTIVITA'. Il legame
  che tiene salda l'architettura alla realtà è il “TEMA DI ARCHITETTURA”
  determinato dalla stato di necessità e dalla riflessione sulla storia
  della città. Naturalmente
  questo tema, essendo il legame tra architettura e realtà, è  prima di tutto elemento di costruzione
  della città in cui vivono gli uomini, ma 
  ha anche, dentro di sé, una VOLONTA' COLLETTIVA che ha il compito di svelare
  la sua stessa RAGIONE. L'architetto
  deve perciò rendere evidente ciò che deve trasformare stando attento a non
  cadere nel simbolismo e nel funzionalismo: l'obbiettivo è quello di far
  riconoscere l'architettura, altrimenti il proprio scopo non è raggiunto! Per
  riuscire in questo intento, come già detto, il TEMA DI ARCHITETTURA deve
  avere una RAGIONE che deriva dagli aspetti più profondi della funzione;
  quello su cui bisogna riflettere è la destinazione del proprio oggetto
  architettonico, intesa come rapporto con la collettività e come
  rappresentazione della vita che vi si svolge. Inoltre la
  RAGIONE si definisce attraverso l'esperienza della sua costruzione storica;
  ciò significa che non è mai fissa ed immutabile. Un buon
  progettista quindi deve saper guardare l'architettura del passato, capire che
  è prevalentemente costituita da forme che indicano le varie attività umane
  che vi si svolgono ed infine deve essere in grado di trasformare tali forme
  del passato adeguandole al presente, cercando di porre il proprio punto di
  vista in un' “ottica collettiva”. “L'ARCHITETTURA
  è CONOSCENZA e per farla avanzare essa si deve COSTRUIRE CONCRETAMENTE nella
  STORIA liberandosi da tutto ciò che scinde la sua RAGIONE. Non è una
  rappresentazione di un' ideologia ma VOLONTA' DI COSTRUZIONE REALE di un
  Mondo diverso.”  | ||
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| Teatro di Epidauro, pianta, IV
  secolo a.C. Teatro di Marcello, modello, 13
  a.C. | ||
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| Capitolo 2 – LE FORME DELL’ABITAZIONE | ||
| “Voglio avere una casa che mi assomigli,
  una casa che assomigli alla mia umanità, in bello.” E.N. Rogers In questo capitolo si studia la
  relazione tra le forme della residenza e la costruzione della città. In particolare si cerca di studiare
  le forme del passato per poi cercare di riadattarle in chiave moderna. Gli strumenti necessari ad
  un’analisi di questo tipo sono:  -conoscere la necessità storica in
  cui la casa è stata costruita -l’ipotesi di liberarsi da questo
  stato di necessità tramite forme più libere -essere coscienti del fatto che non
  basta una sterile analisi funzionale -bisogna analizzare e criticare
  guardando il rapporto tra le forme e l’idea generale di abitazione di una società,
  dopo di che si può passare all’elaborazione teorica per riuscire ad
  attribuire un’IDENTITA’ all’abitazione. Partendo dall’analisi della casa
  antica dei Greci e dei Romani si capisce come il principio costruttivo
  fondamentale della casa antica è definire un LUOGO; l’importante è il
  rapporto della casa con quest’ultimo. Per definire come l’abitazione sia
  stata gradualmente lo strumento che ha costituito le città si definiscono
  successivamente tre periodi dell’organizzazione delle residenze in città: 1-    
  Periodo in cui prevale l’abitazione unifamiliare che forma la città per
  isolati 2-    
  Periodo in cui si aggiunge, vicino agli isolati, la casa di affitto e
  si definiscono le unità residenziali complesse. 3-    
  Dalle unità residenziali si cercano forme tipiche per costruire aree
  residenziali. Partendo dal PUNTO 1- si analizzano i tipi della città preindustriale, come la
  casa a blocco e a corte di cui si analizzano il carattere e la corrispondenza
  del tipo con l’idea di casa. Per la CORTE si parte dalla “domus”
  come prima forma di abitazione urbana, in seguito si vede la sua
  trasformazione nel medioevo, nel quale si dà importanza non solo alla corte
  interna, ma anche all’affaccio su strada , passando poi al suo ruolo nel
  rinascimento fino ai tempi moderni. Nel rinascimento si capisce come la
  corte si trasformi. Palladio non considera più la “ domus Romana”, ma la
  trasforma dando importanza solo al cortile centrale tramite l’uso dell’ordine
  gigante: la corte viene a coincidere con la casa stessa. Nella città moderna verrà ripreso
  il tipo a corte con nuove forme e dimensioni per trovare le forme più adatte
  all’abitazione di massa. Tramite questa analisi si vede come
  “la corte” abbia avuto una continuità nella storia e abbia sempre contenuto
  in sé il concetto di delimitazione di un LUOGO.  Per il BLOCCO si fa capire come la
  sua organizzazione si basi su un principio opposto a quello della corte: il
  rapporto con la strada è predominante rispetto al rapporto con il suolo,
  Anche in questo caso non ci si interessa delle origine del tipo, bensì  si cercano i suoi caratteri propri nella
  storia. Si cerca
  di capire come i fattori esterni, come la forma del lotto o l’organizzazione
  urbana abbiano condizionato la forma della casa. Successivamente
  si osserva come l’aggregazione dei tipi appena citati formino gli ISOLATI,
  ossia la più piccola parte di città delimitata da un tracciato viario.
  Conseguentemente si analizzano i vari tipi di isolati della città
  preindustriale che si possono definire “chiusi”: l’isolato a schiera,
  l’isolato a blocco, l’isolato a corte. Passando
  al PUNTO 2- e 3- si denota come,
  dopo l’ XVIII secolo, si sviluppino diverse tendenze per la costruzione delle
  varie aree residenziali e vengono riassunte in 4 punti: a)     La tendenza  a dare continuità all’esperienza di costruzione
  delle aree residenziali per isolati. b)     La tendenza a definire un rapporto
  tra tipologia edilizia e morfologia urbana, ossia i vari tipi edilizi sono
  elementi di costruzione della città. c)      La tendenza a definire delle unità
  residenziali complesse, ossia dentro a queste si riscontra la gerarchia degli
  spazi liberi propri della città d)     La tendenza ad avanzare delle
  ipotesi alternative basate su un nuovo rapporto tra città e campagna. Sono
  tendenze che vengono formulate in un arco di un secolo per rispondere alla
  crescita improvvisa e caotica delle città europee e la sempre più presente
  contraddizione tra campagna e città. Si passa
  così ad analizzare le nuove tipologie delle case di affitto che sempre più si
  affiancano alle case unifamiliari, sottolineando come le prime debbano andare
  bene a tutti e non abbiano nessun carattere individuale. Per quanto
  riguarda il problema dell’espansione indiscriminata del tessuto ottocentesco
  e della continua differenziazione tra città e campagna viene presentata la
  ricerca di Paul Wolf ; egli cerca le regole per la
  costruzione dei luoghi dell’abitazione nella grande città secondo il
  principio di rapporto con il suolo e con la natura. Wolf
  è alla ricerca di principi ordinatori di una Grande città e pone la questione
  “città-campagna” come prioritaria. Definisce inoltre un nuovo contesto
  urbano, i “sobborghi”: luoghi in cui città e campagna si intersecano. Inoltre
  critica le città ad alta densità per il loro rapporto con il suolo e la loro
  mancata identità con le residenze; non risparmia neanche la città giardino
  descrivendo come essa rinunci a definire i vari elementi urbani. Alla fine
  del capitolo, si capisce  che il
  processo che scaturisce da tutte le analisi fatte(anche da alcune città europee),
  è proprio dell’abitazione e della sua storia, ma anche dell’architettura e
  della storia della città. La
  costruzione della città deriva da un processo di continua ricerca delle forme
  dell’abitazione le quali corrispondono a degli ideali costruiti per essa,
  attraverso la liberazione dalle forme del passato. Le forme
  devono diventare sempre più libere e consapevoli, anche se il movente
  principale per il quale il progettista porterà avanti una ricerca
  sull’abitazione sarà certamente la necessità di rispondere ai bisogni
  materiali della società; bisogna però essere in grado di andare oltre anche
  con l’immaginazione per cercare di definire sempre dei caratteri umani della
  città. | ||
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| Priene, isolati a blocco e tipi edilizi del IV secolo a.C. | ||
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| Berna, tipi edilizi a blocco in profondità | ||
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| Capitolo 3 – CITTA’ COME AVVENTURA DELLA CONOSCENZA Architettura e teoria
  dell’architettura nella città dell’Illuminismo. | ||
| “Tutto il resto del giorno, immergendomi nella foresta, vi cercavo e vi
  scoprivo l’immagine dei primi tempi di cui tracciavo fieramente la storia, e
  svelando le menzogne degli uomini, osavo denudare la natura” J.J.Rousseau. In questo capitolo si analizza la
  città dell’illuminismo, in particolare il rapporto tra l’architettura della
  città e le teorie della progettazione di questa. Si parte definendo la città come
  “luogo della conoscenza”, ossia  un
  luogo dove, nella propria costruzione storica, si possono riconoscere le
  rappresentazioni  del destino degli
  uomini, le forme assunte per quest’ultime e i loro rapporti nella città
  stessa. Di conseguenza gli uomini,
  percorrendo la città, possono e devono riconoscere i propri destini. Si passa ad esaminare prima di
  tutto la realtà storica urbana alla fine del settecento, in particolare si fa
  capire come sia difficile comprendere le analisi che gli illuministi potevano
  aver condotto per arrivare ai propri progetti di trasformazione della città. Si passa così a ricostruire
  storicamente la realtà urbana sottolineando le TRASFORMAZIONI DELLA CITTÀ;
  prima di tutto l’importante passaggio tra economia mercantile ed economia
  industriale e le derivate conseguenze, successivamente la separazione tra
  lavoro e proprietà che porterà ancora di più ad una netta divisione tra città
  e campagna. Successivamente si considerano  I MODI INI CUI SI È FORMATA LA CITTÀ:  la presenza di un’economia mercantile porta
  alla formazione di una  città europea
  di piccole dimensioni, l’incombere del mercato coloniale
  porta alla formazione di una grande città. Di conseguenza nascono le grandi
  capitali europee, luoghi di amministrazione dello stato. In
  seguito  si riporta come la CITTA’ SIA
  COSTITUITA da tre parti: 1-     Il vecchio centro storico 2-     Aree residenziali della borghesia 3-     Larghe zone periferiche Supponendo
  che gli illuministi avessero avuto di fronte la suddetta REALTA’ URBANA, si
  studia il dibattito sulle problematiche di essa: 1-     Una parte di essi presenta  una volontà di controllo della città con
  gli strumenti dell’urbanistica classica. 2-     Una seconda parte vuole portare
  avanti una politica di negazione del fenomeno urbano e arriva a proporre una
  dispersione delle attività nel territorio. Lo
  sviluppo della realtà urbana seguirà naturalmente una terza via poiché ne la
  prima ne la seconda proposta erano attuabili, per due questioni: la città
  cresceva troppo in fretta e non c’era abbastanza tecnologia per permettere un
  decentramento della città. Nel cuore
  del capitolo si espongono finalmente le varie proposte di costruzione della
  città dell’illuminismo: LA CITTA’ COME FORESTA LA CITTA’ COME RAPPORTO DI ELEMENTI
  DISTINTI LA CITTA’ DISPERSA NELLA NATURA LA CITTA’ COME FORESTA Si presenta la visione di Laugier. Egli propone di considerare la
  città come foresta, nella quale le strade della prima sono i viali di
  quest’ultima  e devono essere tracciati
  nello stesso modo. Bisognerebbe avere la stessa
  bizzarria e lo stesso ordine che vengono usati per creare i parchi; più in
  questi ci sono disegni incrociati, figure differenti, possibilità di scelta
  di contrasti più essi sono di una bellezza stimolante e deliziosa. Perciò Laugier
  esorta ad applicare le stesse idee e auspica che i disegni dei parchi servano
  da piani delle città dell’illuminismo. LA CITTA’  COME RAPPORTO DI ELEMENTI DISTINTI Nella città dell’illuminismo, come
  nella città antica, l’abitazione e gli edifici pubblici assumono un ruolo
  distinto riferito al loro diverso carattere. A tal proposito si analizza il
  progetto di Gwynn per la parte Ovest di Londra e si
  nota  come l’area della residenza non
  coincide con la città, ma ne è solo una parte. Gli edifici pubblici, invece, hanno
  un’altra logica di localizzazione, derivante dal fatto che la città impone
  loro di assumere dimensioni considerevoli per fare emergere i loro caratteri
  monumentali; sono talmente grandi che devono essere visibili dalla campagna,
  considerata come parte della città attraversata dai tracciati che collegano
  funzioni propriamente urbane. Ogni elemento della città è
  costruito secondo la propria ragione. LA CITTA’ DISPERSA NELLA NATURA E’ una città che stabilisce con la
  natura un rapporto molto forte , si conforma con essa. La volontà è quella di costruire
  una città immersa in una foresta, costruita con case unifamiliari tutte identiche
  tra loro, simili a capanne dinanzi al recinto del proprio giardino. Esponente di spicco di questa
  teoria è Ledoux, la cui sfida è definire i
  caratteri della casa al di fuori del contesto urbano. Egli vuole trovare una logica
  attraverso cui ricostruire l’architettura, la sua idea è quella di percorrere
  la città dando la possibilità di scoprire i luoghi dell’architettura come
  luoghi significativi della conoscenza. Dalle varie ipotesi di città
  illuminista se ne deduce che l’obiettivo principale degli architetti
  illuministi è la definizione del carattere degli edifici e la ricerca del
  modo più semplice per rappresentarlo. Molta importanza viene data inoltre
  agli edifici pubblici che hanno la funzione di rappresentare il carattere
  della città; essi sono occasione di trasformazione della città e ogni singolo
  edificio pubblico deve avere in sé un tema ed una storia. L’ architettura serve quindi a
  rappresentare il destino degli uomini, deve 
  portare qualsiasi costruzione alla perfezione, e per arrivare a questo,
  bisogna riflettere sulla destinazione degli edifici e la definizione del loro
  carattere. Per manifestare quest’ultimo
  bisogna tener conto dei principi della natura e delle sue leggi: così facendo
  gli uomini abiteranno un’architettura della natura. Si costruisce così, da questi
  principi della natura, una seconda natura che ha origini da principi più
  alti: quelli della ragione. Infine si passa a constatare il
  rapporto che gli illuministi avevano con l’antichità, per far capire come
  fosse importante la ricerca della propria identità nelle origini.  | ||
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| Colin Campbell, pianta di un parco
  di Nottingham, 1715 (dal Vitruvius Brittannicus) | ||
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| Etienne-Louis Boullèe, progetto del Museo, 1783 | ||
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| Capitolo 4 – NATURA, TECNICA,STORIA  Le forme dell’analogia nel linguaggio architettonico | ||
| “Per noi ciò che decide è la vita” Mies Van Der Rohe Argomento di questo capitolo è il
  LINGUAGGIO ARCHITETTONICO definito come l’uso di elementi semplici
  dell’architettura  e il loro uso nella
  costruzione. Ci si chiede se sia possibile
  definire delle regole proprie di questo linguaggio per poi creare una teoria
  della progettazione architettonica. Per rispondere, si distinguono il
  significato di LINGUAGGIO e di TIPO: il primo è un sistema di
  rappresentazione del senso degli edifici, il secondo è l’adeguamento di un
  genere di edifici ad una destinazione. Se di tipi ne possono esistere tanti e
  diversi , il LINGUAGGIO è unico. La costruzione di un LINGUAGGIO
  corrisponde alla costruzione di uno stile, che può essere assimilato ad un
  linguaggio condiviso. Inoltre il LINGUAGGIO viene
  definito come un sistema formale che definisce  il senso degli edifici e contiene un
  generale punto di vista sull’architettura. Si passa successivamente a definire
  l’analogia, ossia il principio di definizione dell’arte come imitazione dell’arte
  stessa. I termini di riferimento che sempre
  si sono utilizzati sono la natura e la storia: la prima, nei tempi moderni,
  non è più perfezione, ma conoscenza di un ideale, la seconda è ricerca dentro
  la tradizione.  Di conseguenza si capisce come ogni
  architettura si fondi su una doppia analogia: quella con la natura che evita
  che le forme diventino delle pure convenzioni e quella con la storia che
  fornisce i materiali base del progetto. L’analogia con la natura non sussiste
  se non c’è anche quella con la storia, poiché la prima fornisce i motivi di
  rinnovamento di un contesto formale che si fonda sulla tradizione presente
  nella seconda. Successivamente si descrivono le
  tre funzioni dell’analogia: sintetica, fondata sull’unità de sapere,  evocativa , che stabilisce un rapporto
  visivo con le forme classiche ed ipotetica, dedicata alla costruzione per la
  collettività. Infine si passano ad analizzare le
  FORME DELL’ANALOGIA NELL’ARCHITETTURA MODERNA. Si riportano gli esempi di tre
  grandi architetti del movimento moderno: Loos, Le Corbusier e Mies Van Der Rohe, ognuno dei quali dà
  molta importanza sia all’analogia con la natura, sia all’analogia con la
  storia, ma anche a quella con la tecnica. Le Corbusier
  spiega come l’analogia con la tecnica abbia un ruolo fondamentale nella
  costruzione del linguaggio architettonico: “analogia con le forme tecniche”
  significa “adesione al rapporto con la natura e con le sue leggi”. La sua aspirazione è quella di
  diventare un architetto come un “costruttore di areoplani”, ossia costruire
  l’architettura come queste grandi macchine che definiscono la loro forma sul
  rapporto fra il loro scopo e le leggi della natura. Mies Van Der Rhoe adotta la medesima analogia , ma non si ferma alle
  forme tecniche, cerca la traduzione di esse in forme architettoniche. Loos invece è più legato all’analogia
  con la storia; infatti egli afferma che” stabilire un rapporto con essa
  significa voler essere all’altezza dell’architettura dell’antichità”. Ecco
  perché nei suoi edifici si trovano sempre citazioni delle forme storiche. Ciò
  non significa che Loos è un architetto storicista,
  anzi, la sua grandezza sta proprio nella sua modernità e nella capacità di
  andare oltre le forme storiche dell’architettura. La conclusione del capitolo fa
  capire che Le Corbusier, Mies
  e Loos non hanno costruito uno stile, bensì hanno
  dato forma a tre linguaggi diversi tra loro, poiché ognuno di loro ha scelto
  un diverso rapporto con la storia, con la natura e con la tecnica. Le Corbusier
  nonostante si sia accorto dell’importanza della tecnica ha fatto prevalere
  l’analogia con la natura, Mies ha dato più
  importanza all’analogia con la tecnica, mentre Loos
  ha ritenuto fondamentale il rapporto con la storia. Quello che però gli accomuna è che
  tutti e tre pongono il problema dello stile come esigenza unica
  dell’architettura, anche dell’architettura moderna.  Ogni progettista, oggi, è chiamato a
  riprendere la propria ricerca da dove questi grandi architetti l’hanno
  terminata. | ||
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| Adolf Loos, casa nella
  Michealerplatz, 1909-1911 | ||
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| Le Corbusier,
  La Tourette, 1959 | ||
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| Loudwing
  Mies Van Der Rohe, Convention Hall, foto del modello, 1953-1954. | ||
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| GLOSSARIO | ||
| FORMA: ciò che costituisce la realtà, in particolare ciò di cui
  è fatta l'architettura. | ||
| TIPI
  ARCHITETTONICI: ciò di cui è costituita
  l'architettura, sono in particolare famiglie di forme che corrispondono a
  determinate attività umane. | ||
|  COLLETTIVITA': ciò a cui deve mirare l'architettura. | ||
| TEMA DI
  ARCHITETTURA: legame diretto e concreto che
  l'architettura ha con la realtà e con la collettività. | ||
|  LUOGO
  DELL'ABITAZIONE: dove si abita, dove si “sta”, luogo in cui si vive la
  propria vita quotidiana | ||
| LINGUAGGIO: sistema di rappresentazione | ||
| ANALOGIA:principio di definizione dell'arte come imitazione dell'arte stessa:
  deve esistere una forma di riferimento intesa come forma esemplare. | ||
|  MIMESI: imitazione, primo livello del processo analogico. | ||