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autore |
RAFAEL MONEO |
titolo |
L’ALTRA MODERNITA’. Considerazioni
sul futuro dell’architettura |
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editore |
CHRISTIAN MARINOTTI
EDIZIONI |
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luogo |
MILANO |
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anno |
2012 |
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lingua |
ITALIANO |
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Argomento
e tematiche affrontate |
“L’Altra Modernità”
raccoglie una serie di saggi di Rafael Moneo
scritti negli anni tra il 1978 e il 2011. L’autore descrive la crisi della
modernità, i suoi esiti postmoderni negli ultimi trent'anni, senza evitare le
differenze interne e i punti di vista diversi espressi molte volte proprio
dai protagonisti di questa generazione; da Ungers
ad Aymonino, da Rossi a Venturi, allo stesso Moneo, oltre ai dibattiti tra alcuni critici e storici
sempre della stessa generazione, da Tafuri a
Benevolo, da Eisenman a Frampton
per citarne alcuni. Il libro di Moneo è composto da sei diversi saggi; il primo, del 1975, è intitolato «After Modern Architecture» e contiene, oltre ai sentimenti sulla crisi imminente, alcuni giudizi sulla fine della tradizione del progetto moderno, che oggi non sono condivisibili perché il pensiero della modernità non può essere ridotto all'idea di funzione, ma che lo stesso Moneo corregge, sia nei quattro saggi successivi (tutti molto più recenti e databili a partire dai primi anni Novanta), sia nell'intervista finale, dove più chiaramente si rivela il nucleo centrale delle sue intenzionalità: costruire un giudizio sulle ragioni delle concrete architetture che si propongono, soprattutto a partire dagli anni Novanta. I quattro testi centrali si muovono da titoli molto promettenti a cui danno risposte ma su cui propongono anche interrogativi di grande interesse, specie per le loro critiche alle condizioni attuali della pratica architettonica e del linguaggio delle sue scelte. Per esempio, quando scrive della sostanza della specificità disciplinare delle idee di durata e di luogo e dell'incombere su di esse del «dovunque» e del temporaneo. Oppure quando, nel terzo saggio, scrive della pratica della frammentazione, delle sue origini piranesiane e della loro trasformazione a partire dagli anni Novanta come opposizione dell'idea di forma ed esaltazione di quella di superficie. Questa attitudine verso «l'informe» è segnalata, nel quarto saggio, come modo altro di intervenire a servizio della società così come essa si presenta. La conclusione è
offerta dal quinto saggio dove Moneo constata
concretamente, con esempi, la opposizione tra moderno e contemporaneo. Una
conclusione certamente non positiva per un giudizio intorno alle architetture
di successo mediatico dei nostri anni, ma che, ammonisce infine l’autore,
deve prendere coscienza delle incertezze e delle contraddizioni che le nuove
possibilità offerte dalla globalizzazione propongono o impongono alla
specificità della pratica architettonica. |
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Giudizio
Complessivo: 8 (scala 1-10) |
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Scheda
compilata da: Edoardo Mellia |
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Corso di
Architettura e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013 |
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Autore |
Rafael Moneo (Tudela, Navarra, 1937) si laurea a Madrid nel 1961, con un apprendistato presso lo studio di Francisco Saenz de Oiza. Dopo le esperienze internazionali, quella danese con Jorn Utzon e il soggiorno a Roma presso l’accademia di Spagna, assume la guida intellettuael della ETSA di Barcellona e successivamente di Madrid. Dopo aver insegnato alla Cooper Union di New York, a Princeton e alla EPFL di Losanna, dal 1985 è titolare della cattedra Josè Luis Sert dell’Università di Harvard. Ha ricevuto numerosi premi internazionali, tra cui spicca il Pritzker Architecture Prize del 1996 (unico spagnolo ad oggi) e il recente premio Principe de Asturias |
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CAPITOLI |
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Capitolo 1 – After Modern Architecture |
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Nel primo capitolo il
cammino percorso dall’architettura nel Novecento viene diviso dall’autore in
quattro parti corrispondenti ai quarti di secolo; nel primo si assiste alla
lotta intrapresa dagli architetti moderni per imporre una nuova sensibilità,
parallela a quella di altre discipline quali pittura, poesia, musica, fisica,
con un atteggiamento presentabile come programma (“Vers
une Architecture”); il secondo quarto vede queste tendenze prendere forma ed
essere accettate, con la costruzione del maggior edificio istituzionale
dell’epoca, il Palazzo delle Nazioni Unite, secondo i canoni della modernità;
dal 1950 al 1975 vi è invece un periodo in cui le critiche al Movimento
Moderno, si susseguono senza sosta, presagendone la scomparsa. I principi su
cui si era fondato – funzione, tecnica e società – subiscono aspre critiche:
da Kahn che separa l’opera di architettura da un’ interpretazione
strettamente funzionale, in un’operazione di recupero del significato; a
Venturi che attacca le inespresse preferenze iconografiche dei moderni da cui
nasce l’interpretazione errata del funzionalismo; anche l’interpretazione tecnologica
data da Giedion comincia a barcollare, mentre la
fiducia riposta dal Movimento Moderno nell’architettura come mezzo per
contribuire all’evoluzione della società si spegne. L’architettura
dell’ultimo quarto secolo risvegliata così dal sonno della ragione cerca da
un lato di affermare la propria autonomia assumendo nuovi volti, dall’altro
si avvicina il più possibile alla realtà e all’architettura già data, antica.
L’autore conclude affermando la necessità di dimenticare il “Modern Movement” come punto di
riferimento obbligato, per tornare a una riflessione sulla costruzione come
invenzione della forma. |
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Capitolo 2 – Su luogo, tempo
e specificità in architettura |
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In questo secondo saggio dei primi anni Novanta, Moneo, si occupa della trattazione di tre concetti fondamentali del pensiero architettonico: luogo, tempo e specificità. Senza il terreno, senza un luogo di origine singolare, unico, l’architettura non si può manifestare: è il luogo che garantisce la supremazia dell’architettura come “oggettualità”, come “linguaggio dell’immobilità sostanziale”. E’ implicito anche un senso di appartenenza dell’oggetto architettonico al luogo ed è quindi compito dell’architetto identificare, comprendere e reagire ai caratteri di un locum in modo che contesto e oggetto dialoghino. L’architettura scaturisce, infatti, per l’autore, da un dialogo tra il luogo e il libero pensiero dell’architetto. Il mondo di oggi e la sua globalizzazione sembrano opporsi all’idea del particolare e incombe l’ombra del “dovunque”, a cui l’architettura deve far fronte imponendo la sua specificità. La riflessione sul tempo parte dall’idea che l’essenza dell’architettura sia la vocazione alla permanenza. Infatti considerando la capacità degli edifici di sopravvivere nel corso del tempo, ci rendiamo conto della forza della presenza architettonica. Presenza, inoltre, che non è mai isolata e che raggiunge il suo culmine nella costruzione delle città. Le recenti costruzioni sembrano tuttavia appartenere al regno dell’effimero a causa di motivi economici ed è qui che si riallaccia il discorso di Moneo sulla specificità. L’architettura non può essere dettata dall’immediatezza e dalla necessità o essere il risultato di un processo automatico o l’espressione di gesti individuali. Costruire con
specificità significa essere coscienti e usare correttamente i meccanismi e i
metodi che consentono di dare forma alle idee. |
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Capitolo 3 – Paradigmi di
fine secolo: frammentazione e compattezza nell’architettura recente |
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Qui Moneo cerca di analizzare l’architettura degli anni Novanta, dominata dalla frammentazione, asserendo come questo concetto sia diventato una metafora che in termini formali aiuta a descrivere la realtà e il mondo esterno, che appare sempre più eterogeneo e spezzettato. Si reclama un mondo privo di forma, in continuo cambiamento dove l’azione è deificata; di conseguenza l’architettura contemporanea si interessa a forme spezzate, frammentate o ad artifici quali textures e riflessi, che esaltano le superfici annullando la forma. Le origini della frammentazione vengono fatte risalire ai disegni di Piranesi di Campo Marzio, in cui “lo scontro degli organismi, immersi in un mare di frammenti formali”, dissolve l’idea di forma e di unità. Accanto a questa tendenza frammentaria, rappresentata al meglio nella figura contemporanea di Frank Gehry, appare sul finire degli anni Ottanta un nuovo movimento, che predica un mondo senza forma. Questo atteggiamento, di origini prettamente contemporanee, si traduce nella questione sostanziale della continuità tra forma e materia. Prevale la pelle, l’architettura esalta le superfici e i riflessi, negando identità formale al volume costruito. La forma diventa quasi un anacronismo in questa concezione dinamica della realtà. L’autore riscatta poi,
attraverso la spiegazione di alcuni suoi progetti come il Kursaal di San
Sebastian e il Museo di Belle Arti di Houston , l’idea di compattezza. Questo
concetto, presente fin dall’architettura romana e musulmana, e ben delineato
da Scamozzi e Terragni in tempi più recenti, permette una saturazione degli
spazi che risponde alla realtà su due fronti: il tessuto urbano da una parte
e un mondo interno autonomo dall’altra. |
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Frank Gehry, Guggenheim museum, Bilbao Rafael Moneo, Kursaal, San Sebastian |
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Capitolo 4 – Cosa ci si
aspetta oggi dall’architettura |
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In questo saggio Moneo, partendo dal lavoro di alcuni architetti attuali,
afferma come l’architettura di oggi sembri aver dimenticato la città, il
costruito, alla ricerca di un individualismo sempre più estremo.
All’architettura odierna si chiede di essere visibile, emblematica; la
celebrazione dell’iconografia diventa il programma che l’architettura deve
assolvere e soddisfare. Il linguaggio viene quindi superato dalla continua invenzione formale e i nuovi strumenti di rappresentazione sono il punto di partenza per la creazione linguistica a dispetto della sintassi. Accanto a questa
tendenza rimane, in alcuni esempi, il desiderio dell’architettura di
inserirsi nella società e nel contesto urbano della città, ricorrendo a
categorie che il passato ci aiuta a scoprire ed utilizzare; questa condizione
urbana dell’oggetto architettonico malgrado limiti la sua presunta autonomia
conferisce all’opera un’intensità di indubbio valore. |
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Capitolo 5 – L’altra modernità |
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Nel
saggio che dà il titolo al libro Moneo cerca di
definire le differenze esistenti tra l’architettura contemporanea e quella
“moderna”. Il primo concetto analizzato è l’idea di spazio: l’architettura “moderna” faceva dello spazio la sua sostanza e la sua giustificazione, dallo spazio organico di Wright alla promenade di Le Corbusier. Per i contemporanei, invece, lo spazio è il prodotto, e non l’origine, dell’azione progettuale, come ben dimostrato dalla biblioteca di Seattle di Koolhaas. Un altro aspetto di diversità tra tradizione moderna e attuale è costituito dall’uso dei materiali come alternativa al linguaggio: l’architettura contemporanea non ha infatti inventato un linguaggio universale e condiviso, come quello della modernità classica. Oggi si è sostituita la ricerca di un linguaggio con la scoperta e l’esplorazione dei valori espressivi dei materiali, come traspare nell’opera di Herzog & de Meuron. L’architettura moderna, inoltre, ha ereditato dalla storia e dall’architettura antica la condizione di oggettualità degli edifici, mentre a partire dagli anni Ottanta e Novanta l’idea di oggetto è andata sfumando fino a trasformare l’edificio in paesaggio. Anche il rapporto tra forma e funzione ha subito negli ultimi anni un brusco distacco: nell’attualità infatti si costruiscono icone architettoniche capaci di assumere nella loro disponibilità astratta qualunque funzione possibile. Oggi, in virtù della liberta di espressione individuale, l’architetto può assumere inoltre un atteggiamento di indifferenza nei confronti del luogo e del contesto, come si osserva ad esempio nei progetti di Will Aslop. Infine anche il valore attribuito alla costruzione, alla struttura vera e propria, evidenziato con forza dai moderni, ha perso la sua essenza, tanto che la volontà di far coincidere struttura e programma, che ispirò tanti architetti del secolo scorso, è ormai priva di senso e la struttura stessa tende a scomparire. L’autore,
definite le radicali differenze tra l’architettura moderna e contemporanea,
analizza quindi l’esempio reale della Casa della Musica di Oporto di Rem Koolhaas, dimostrando come in essa confluiscano tutti i
concetti esaminati in precedenza. |
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Capitolo 6 – L’architettura
attuale italiana vista dalla Spagna |
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Prima di soffermarsi
sulla situazione attuale dell’architettura italiana, l’autore fa un breve
excursus sulla storia architettonica in Italia dal dopoguerra agli anni
Ottanta, evidenziando come questa abbia influenzato enormemente la Spagna.
Nella condizione di isolamento in cui era immersa la nazione spagnola, i
testi e gli esempi italiani rappresentavano infatti, il principale canale di
accesso all’architettura moderna. L’Italia degli anni Sessanta era un vero e
proprio modello da seguire, sia dal punto di vista culturale che politico. La
generazione di architetti milanesi affascinava Barcellona e le sue accademie
per il suo intendere l’architettura come manifestazione di cultura. Con la
crisi del petrolio l’Italia divenne un vero e proprio campo di battaglia
ideologico ed è da queste premesse che si svilupparono le dominanti figure di
Aldo Rossi e Manfredo Tafuri, che furono i
protagonisti indiscussi della cosiddetta “generazione di mezzo”. L’ansia di
raggiungere l’utopia, le fantasie e l’inquietudine che avevano mantenuto viva
la discussione teorica in quegli anni crollarono negli anni Novanta,
lasciando un vuoto nel panorama architettonico italiano, nonostante alcuni
ottimi esempi di architettura, a causa della mancanza di peso sulla vita
culturale. Il testimone dell’italianità è passato, dopo la scomparsa di Aldo Rossi, a Renzo Piano, che lavora però su temi diversi e non può essere considerato l’erede né degli interessi dei maestri del dopoguerra né delle inquietudini dei suoi compagni di generazione degli anni Settanta. La situazione attuale vede decadere la posizione di rilievo che molte pubblicazioni di architettura avevano avuto nella cultura del paese negli anni dal dopoguerra: non sono più portavoce di una tendenza e non documentano neanche una discussione teorica come in passato. Questo, unito a una progressiva scomparsa degli italiani dalla scena delle esposizioni internazionali di Milano e Venezia, ha ridimensionato il ruolo che l’architettura italiana ebbe negli anni Sessanta e Settanta. La crescita delle città non è più affidata a piani regolatori ma a concorsi di idee, sviluppati su aree dismesse, in cui la garanzia di qualità è data dalla presenza di architetti di spicco. L’idea di città e di “piano” viene sostituita dallo “splendore” dell’architettura d’autore. Il panorama
architettonico italiano si deve scontrare, quindi, con un ambiente
consolidato e statico, in cui si differenziano varie tendenze: una di
continuità con i vecchi maestri, l’altra di sperimentazione formale. |
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Capitolo 7 – Riflessioni
sulla critica d’architettura e sul futuro delle città |
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Il capitolo finale
si delinea come una conversazione in cui Rafael Moneo
risponde a vari temi, iniziando dal diverso approccio sviluppato nei due
progetti del museo del Prado e della Banca di Spagna: mentre il primo è un
progetto espansivo che dissolve nella città i vari ampliamenti del museo, il
secondo è un completamento e si sviluppa dall’esterno verso l’interno. La conversazione si sposta poi sul tema di appartenenza al luogo dell’architettura, già affrontato nei precedenti saggi, che viene ulteriormente approfondito: l’intervento in un luogo non consiste nel completarlo dal punto di vista del contesto ma invece di ampliare la comprensione del contesto stesso. L’autore risponde anche al tema dell’insegnamento affermando l’esigenza di acquisire un sapere disciplinare che aiuti gli studenti nell’identificazione dei principi della composizione, e la necessità, inoltre, di comprendere e assimilare le nuove tecniche costruttive che accompagnano l’evoluzione dell’umanità. Una scuola di architettura dovrebbe porsi come priorità la scoperta e l’esplorazione di quella conoscenza architettonica che permette agli studenti di muoversi in modo efficace nella macchina produttiva. In ultimo una riflessione sulla città, vista dall’autore come il risultato del lavoro degli architetti che vi hanno costruito. Moneo porta come esempio lampante di ciò Milano, in cui la città è andata costruendosi con gli architetti e questo ne ha configurato il carattere. |
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Casa Caccia Dominioni,
Sant’Ambrogio, Milano |
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GLOSSARIO |
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– Luogo Terreno, sito, a cui l’oggetto
architettonico appartiene, che permette il manifestarsi dell’architettura, e
grazie ad essa si completa. |
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– Specificità Caratteristica dell’architettura per cui la definizione unica e singolare di un oggetto costruito è data dai metodi compositivi e costitutivi individuali che consentono di dare forma reale all’idea. |
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– Frammentazione Concetto che dissolve l’idea di forma e unità. Diviene nell’architettura contemporanea una metafora per la descrizione del mondo attuale eterogeneo e spezzettato. |
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– Compattezza Concetto che si oppone
alla frammentazione e predica, invece, il rispetto per il perimetro e le
superfici regolari, scomponibili internamente in una serie di figure che
riempiono lo spazio con densità e continuità. |