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autore |
FRANCO LA CECLA |
titolo |
MENTE LOCALE |
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editore |
ELèUTHERA |
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luogo |
MILANO |
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anno |
2011 |
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lingua |
ITALIANO |
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Prima edizione 1993 |
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Argomento e tematiche affrontate |
L'autore è interessato al
rapporto che l'uomo instaura con i luoghi che sperimenta, vive e conosce; su
questa linea occorre interpretare il "fare mente locale", ovvero
nella capacità di ambientarsi e di essere influenzati emozionalmente dallo
spazio circostante. Nel tentativo di esplicare ciò, si sofferma anche
sull'opposto: se da una parte la persona si riconosce nel luogo in cui si trova,
dall'altra è possibile che si senta persa, sradicata e lontana da ciò che
conosce. Quest'ultima situazione è sempre risolvibile dopo una chiacchierata
con un amico che aiuta a stabilire nuovi punti di riferimento o semplicemente
andando in giro, nella propria mente con il proprio corpo, finché la brutta
sensazione scompare o si trasforma. Il disorientamento risulta a volte
prezioso poiché offre la possibilità di fare nuovamente mente locale, è un
diverso punto di partenza per un nuovo approccio. D'altrocanto
se diventa condizione frequente, la persone si arrendono e non prestano più
attenzione alla sensazione di malessere. La Cecla
offre una vasta gamma di esempi che inducono il lettore a confrontarsi e
riflettere su questi temi, che ognuno vive in prima persona. |
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Giudizio Complessivo: 8 (scala 1-10) |
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Scheda
compilata da: Sara Lucini |
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Corso
di Architettura e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013 |
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Autore |
Franco La Cecla (Palermo, 1950), allievo di Ivan
Illich, antropologo e urbanista, ha insegnato a
Berkeley, Parigi , Venezia, Bologna e Milano. Autore di molti saggi
sull'antropologia del quotidiano, come Non è cosa, L'Ape, antropologia su
tre ruote saperci fare e Modi bruschi. E' stato condivisasulente
del Renzo Piano Building Workshop e di Barcellona Regional.
Ha fondato nel 2005 a Londra A.S.I.A. (ArchitectureSocial
Impact Assessment): un'agenzia che valuti l'impatto
ambientale delle opere di architettura. In collaborazione con la Cineteca di
Bologna ha creato un progetto quinquennale di censimento mondiale degli
archivi di filmati sull' emigrazione italiana. Insieme al regista Stefano
Savona ha realizzato alcuni documentari sull'emigrazione siciliana in Tunisia
e sull'impatto delle nuove tecnologie sulla vita quotidiana in India per il
Centre Pompidou di Parigi. Per gli speciali del TG1 ha realizzato il
documentario "I mari dentro" sulla comunità di pescatori di
Terrasini emigrata a Gloucester, Massachusetts (2009) che ha vinto il premio Coast Culture del San Francisco Ocean Film festival
(febbraio 2010). Collabora stabilmente con la
Repubblica, l'avvenire e il Sole 24 Ore. |
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Contenuto |
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I. Spazio e mente locale II. Pudore delle bussole III. Piccole storie di spazi IV. Ubiquità |
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Capitoli |
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Capitolo
1 -
Spazio e mente locale |
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Il primo capitolo si apre con
l’analisi della parola “spazio”, concetto ricorrente nel discorrere comune ma
anche ampio, vago e ricco d’accezioni. Probabilmente negli anni Sessanta e
Settanta, epoca della “conquista dello spazio”, era più frequente che il termine
assumesse valore di “cosmo”, “universo”; tuttavia esiste un altro spazio, per
capire il quale occorre parlare di “architettura”, “forma”, “paesaggio”,
“città”. Non solo, poiché esiste un linguaggio figurato: “non c’è spazio
per”, “fammi spazio”, “spazio sociale”; ciò mostra che il linguaggio stesso
tende ad essere spazializzato e con esso la realtà. “Spazio” diventa quindi
facilmente metafora, ma non è ugualmente semplice muoversi in quello “solido”
che ci circonda, che è sempre meno nostro, impossibile da manipolare intorno
a noi. Il cambiamento che ha condotto a ciò è stato grande, basti osservare
che prima nella città prevaleva l’idea di spazio arrangiato via via (favelas,
baraccopoli, bidonvilles), ora invece si
prediligono operazioni regolarizzate e piani che tengano in considerazione
l’intera estensione della città, che è concepita come rete di servizi e
residenze. Viene riportata la testimonianza
di Equiano, schiavo africano, che visse negli Stati
Uniti e poi a Londra. Egli ricorda la terra natia e spiega come lo spazio lì
venisse creato direttamente dall’uomo che vi viveva, tutto aveva un preciso
scopo ed era facile averne il controllo e godere della possibilità di
manipolarlo, situazione che spesso portava a soluzioni migliori di quelle sorte
nelle periferie del mondo industrializzato. La semplicità di gestione dello
spazio da parte di culture mondoeno avanzate venne
interrotta dal cosiddetto mondo civilizzato, il quale si propose di costruire
quartieri popolari, condomini alveari e altre soluzioni per evacuare i
villaggi considerati inappropriati. L’esito di questa operazione fu il
disorientamento delle popolazioni interessate, costrette al trasferimento in
luoghi che non rispondevano più alle loro usanze, progettati senza tenere
conto dei futuri utenti: esemplari furono gli Immeubles
d’habitation nella periferia di Casablanca, dove
l’assenza di spazi filtro semi privati indusse una maggiore reclusione per le
donne islamiche qui costrette. E’ naturale che in tale contesto
sia cruciale il concetto di “spazio funzionale”, quindi imprescindibile è la
poetica del Movimento Moderno. Nonostante il punto di partenza sia uno spazio
che risponda direttamente al bisogno, senza ornamento, alla fine i Moderni si
schierano per una rieducazione degli abitanti attraverso nuovi spazi,
progettati secondo il principio dell’essenzialità, sfuggendo però al
considerare l’abitare come base della forma dello spazio. La filosofia ha da tempo portato
in luce la problematica dello spazio quale entità relativa, che varia a
seconda delle visioni dei popoli abitanti; in questa direzione esso perde di
compattezza e vengono meno criteri oggettivi di misurazione e definizione.
Per comprendere l’architettura non basta una foto o un rilievo, occorre
comprendere prima lo spazio “sentito” dalla cultura ivi insediata. Ancora
spazio è percorso da direzioni privilegiate, da orientamenti che non sono
comprensibili a meno di conoscere i riferimenti stabiliti a priori. Tali
direzioni rimangono poi intrinseche negli usi posteriori, come la divisione
di ambiti, maschili e femminili, presente tuttora nei villaggi siciliani,
apparentemente senza ragione d’essere. Insediarsi vuol dire ritagliarsi
un posto nella genericità dei luoghi, ponendo il confine tra abitato e non
abitato. Questo è un gesto di fondazione, che implica a sua volta un
orientamento; il luogo abitato è ora in relazione al contesto che lo circonda
secondo direttrici orientate. Così ogni insediamento è caratterizzato da una
circoscrizione, ma anche da un legame con il cosmo intero. Inoltre è un cosmo
esso stesso, poiché si autoregola e autoproduce. Al principio della
fondazione di una città vi erano orientamento e delimitazione, che rimanevano
caratteristici per molti secoli della forma urbis, la quale ora è stata persa
per la continua e confusa espansione delle periferie, con il conseguente
inglobamento dei paesi limitrofi e la perdita degli spazi filtro tra i
diversi insediamenti: il non abitato ora è spazio di nessuno. Negli anni Settanta architetti e
pianificatori hanno invano cercato di dare identità alle grandi opere di
urbanizzazione, tuttavia non sono né standard né servizi sociali a creare
l’abitato, perciò la risposta ricevuta è stata una forte resistenza alla
demolizione forzata dei villaggi e al trasferimento degli abitanti nei nuovi
quartieri. Sono gli anni di una continua migrazione, conseguenza del fatto
che la percezione generale sia quella di uno spazio non appartenente a chi lo
abita. Medicina e filosofia definiscono un nuovo male: l’angoscia
territoriale, per la quale uomini abituati ad una vita pacifica ma onesta,
mal sopportano i cambiamenti che stanno avvenendo. Il processo di adattamento
è proprio delle capacità umane: dapprima ci si perde oltre il confine del
conosciuto, si stabiliscono relazioni con il punto di partenza e si conosce
così un nuovo reale. Praticamente al perdersi segue una fase in cui si fa
“mente locale”, stabilendo rapporti con ciò che ci è familiare per rendere
tale anche il nuovo. E necessario eliminare l’accezione negativa di errore
che la nostra cultura associa al “perdersi” e ritenerlo spunto di nuova
conoscenza, come avviene spesso nelle culture indigene. |
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Capitolo 2 - Pudore delle
bussole |
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“Fare mente locale” implica che il soggetto si
esteriorizzi e si guardi mentre tenta di focalizzare un luogo o un contesto.
I concetti sono stati all’origine dei luoghi, poiché è dai luoghi che nascono
i pensieri. La mente rintraccia ricordi esplorando un territorio che non è
passato ma spazio passato: nel vivere uno spazio c’è il processo di
conoscenza e il muoversi è la prima esperienza di se stessi, infatti vuol
dire parametrizzarsi rispetto l’intorno. Ancora orientarsi significa
conoscere un contesto relativamente a se stessi posti in quel contesto. Lo spazio sembra immenso, perciò
occorrono categorie, iscrizioni spaziali (una casa, una casata...) che ne
permettano l’analisi; inoltre porre limiti non vuol dire chiudere, bensì
segnare dove qualcosa ha inizio. Possiamo quindi parlare non più generalmente
di spazio ma di luoghi, caricati da una tensione esterna che preme contro i
limiti. Per ribadire scostantememnte e
riappropriarsi del proprio spazio nascono rituali come le processioni per le
vie del paese: sono pratiche di ricaricamento dello spazio e di riconferma
dei suoi confini. Viene quindi naturale chiedersi se lo spazio sia
scandibile, in modo da renderlo finito e accessibile. Descrivere un luogo che è parte
della nostra vita non può voler dire farne un ritratto, non sarà mai una
mappa o una foto, bensì la nostra “mente locale”, il nostro dimorare in quel
luogo. La città diventa mappa della vita: un uomo che cerca di descrivere la
sua città non può che essere indotto ad indagare la sua identità. Dimorare
significa anche rendersi conto della separazione tra l’io e quello che c’è
fuori, di cui comunque cerchiamo incessantemente di godere e di essere
soddisfatti. L’uomo ha bisogno dell’esterno (la città, il mondo) per vivere e
la dimora è il suo punto di partenza, un luogo sicuro dove ritirarsi. Dimorare
è dunque la manifestazione della separazione dal luogo, ma anche la felicità
di esserlo, poiché è sinonimo di essere “di qualche parte”. La “mente locale” trasforma il
mondo in insediamento: negli abitanti avviene la trasformazione dei luoghi, infatti
la loro geografia diventa visibile nella cultura, ovvero nei tipi di case, di
coltivazioni, di cibi,... Con l’arrivo della modernità si sono perse molte
tradizioni ma saper ricordare nel tempo permette agli uomini di ricostruire i
propri punti fermi, anche per esempio nel caso di insediamenti distrutti da
calamità. Ciò che è davvero vissuto non può più essere sostituito e in quel
momento prendono forma insediamenti quali culture dell’abitare. |
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Capitolo 3 - Piccole storie di
spazi |
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Il capitolo si pare riportando
come esempio la situazione di Palermo dopo la conquista da parte di
Garibaldi, quindi il regime di Vittorio Emanuele. La città aveva una
struttura e anche usi e costumi derivati dall’influenza araba, come
l’utilizzo di spazi comuni come patii e cortili per una vita in comunità. Gli
spazi pubblici erano usati liberamente e fu difficile comprendere le ragioni
delle proibizioni attuate dal nuovo governo. La vita di prima era
caratterizzati da abitudini, a cui non è ora più concesso luogo. Segue la
descrizione di un paese siciliano, Terrasini, con l’intento di mostrare come
i luoghi possano caricarsi di significati simbolici, ancora suggellare
divisioni di ambiti, tradizioni, lingue. Domini e identità si appropriano di
territori, ne difendono i confini e a volte segnano le soglie in momenti
rituali (l’es. era quello del letto matrimoniale che veniva utilizzato i
primi otto giorni dopo il matrimonio e poi rimaneva come simbolo, in cui la
coppia ci dormiva di nuovo solo in occasioni significative). Viene analizzato il lavoro di
Filippo Castro, il quale si era recato a Terrasini per imparare ad usare il
garbo (strumento per la progettazione delle barche): è l’espediente per
mostrare come il progetto deve adattarsi via via alle esigenze, come la barca
viene dapprima progettata in base alle richieste del committente, poi
adattata al fine della funzionalità e poi dovrà modificarsi ancora quando
sarà chiamata ad ospitare motore ed elica. La forma risponde alla funzione e
il buon gusto è visto come adattamento alla forma, in opposizione all’informe
e al deforme, come è spesso avvenuto nella storia. |
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Capitolo 4 - Ubiquità |
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Contrariamente al pensiero
comune, anche la nostra epoca, come quelle passate, ha elaborato mitologie che
persistono e continuano a influenzare modi di vivere e valori delle persone.
Il ventesimo secolo ha idolatrato la velocità, in seguito al nuovo rapporto
spazio-tempo, alterato improvvisamente con le scoperte tecnologiche: il tempo
viene per la prima volta messo in discussione. La vita stessa risulta
accelerata, ma essere costantemente di fretta comporta ingorghi, traffico,
ovvero persone immobilizzate; l’importante è il senso circolante di libertà,
poiché essere liberi è sinonimo di potersi muovere, viaggiare e tornare. Alla fine del secolo arriva la
rivoluzione informatica, quella che avrebbe reso indifferente il luogo in cui
ci si trova, essa parte infatti dalla neutralizzazione dello spazio: non c’è
più mente locale del luogo, bensì tutto ciò che è mente viene despazializzato e reso disponibile. Più lo spostamento
avviene velocemente e più esso è perdita di tempo, la nuova società tende
alla possibilità di essere dovunque: l’ubiquità. Chiaramente il sogno è
utopico, ma la civiltà continua a crederci a meno chiaramente di uno schermo
davanti al quale tutto è raggiungibile. La contemporaneità agisce sul
tempo comprimendolo a tal punto da far diventare tutto lo spazio del mondo
uno spazio continuo, che abbia le stesse caratteristiche del tempo ovvero sia
fruibile nell’istante in cui lo si voglia. Il desiderio alla base è la
fruizione di più spazi allo stesso tempo. Anche le svariate personalità che
si possono avere sul web sono conseguenza di ciò, in quanto esplicitazione
della volontà di costruire un proprio io, più ricco di sfaccettature rispetto
quello che effettivamente si è nella vita. Il limite di tale ubiquità è il
vivere davvero, con tutte le emozioni possibili, determinate esperienze;
sostituito dalla tensione verso la vertigine dell’essere in più luoghi
contemporaneamente (simile a quella del jet-lag).
L’impressione di onnipresenza e la frustrazione della sua impossibilità sono
la chiave dell’essere contemporanei. Occorre godere dell’ubiquità con
coscienza del limite: “mente locale” oggi vuol dire sentirsi a casa, il
mettere le radici in mezzo a migliaia di prospettive. |
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Glossario |
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Insediarsi: Ritagliarsi
un posto nella genericità dei luoghi, ponendo il confine tra abitato e non
abitato (gesto di fondazione). |
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Angoscia territoriale: Condizione
vissuta da uomini abituati ad una vita pacifica ma onesta, i quali mal
sopportano i cambiamenti che avvengono nel corso della storia. |
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Processo di adattamento: Capacità
insita nell'uomo, il qual nel momento in cui si perde oltre il confine del
conosciuto, stabilisce nuove relazioni con il punto di partenza e conosce un
nuovo reale. |
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Fare mente locale: Facoltà
che tutte le popolazioni possiedono di vivere ciò che le circonda, di creare
mappe mentali che consentano di abitare i luoghi; permette di immaginare
costruire e trasformare gli spazi, quindi di usarli. |
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Luogo: Spazio
caricato di categorie, iscrizioni spaziali, che ne consentano l'analisi. |