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autore

REM KOOLHAAS

titolo

JUNKSPACE

editore

QUODLIBET

luogo

MACERATA

anno

2006

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

Titolo originale: Rem Koolhass, Junkspace

 

 

 

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Argomento e tematiche affrontate

Il libro nasce come una raccolta di tre saggi scritti separatamente nell’arco di 10 anni da Rem Koolhaas, in questo libro raccolti insieme quasi a voler dare un seguito al suo più famoso libro sulla teoria architettonica “Delirious New York” del 1978, testo ad oggi fondamentale per capire il pensieri dell’architetto olandese. “Bigness, ovvero il problema della grande dimensione” e “ La città generica” sono i primi scritti dei tre che compongono il libro e trattano il tema del rapporto  fra storia ed identità,esaminando a fondo  vige fra storia ed identità, andando a demolire il concetto di relazione con il contesto storico che caratterizza le città. L’ultimo scritto, sia in ordine di tempo che di presentazione all’interno del libro, è “junkspace”, da cui il titolo del libro. Questo saggio affronta un altro tema importante per Rem Koolhass, ovvero il tema dello spazio che viene qui affrontato in maniera cruda, smascherando le forse che regolano lo spazio nelle nostre città

 

Giudizio Complessivo: 8

Scheda compilata da: Marisa Bardhi

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013

 

 

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Autore

Rem Koolhaas nasce a Rotterdam (Olanda), egli si forma dapprima come giornalista e scenaggiatore cinematografico, per poi studiare architettura alla fine degli anni ’60, prima a Londa e poi a New York. Nel 1975 fonda con altri l’”Office for Metripolitan Architecture” (Oma), di cui nel 1977 diverrà socia anche Zaha Hadid. Dal 1975 realizza opere in diversi paesi che lo porteranno a meritare nel 2000 il Pritzker Prize, il massimo riconoscimento per un architetto. Nel 1995 ha dato vita ad una struttura gemella “ Architecture Media Organization” (AMO), la quale ha lo scopo di indagare del possibilità della’rchitettura come attività intellettuale. Sempre nello stesso anno diviene professore d’architettura all'Università Harvard, Cambridge, Massachusetts. Grazie alla sua amicizia con Miuccia Prada, ha la possibilità di realizzare diversi stores della maison fra Los Angeles e New York e numerosi allestimenti in occasione delle sfilate della casa di moda.

Egli non si dedica solo alla parte “pratica” e compositiva dell’architettura, ma si occupa anche di capirne i concetti teorici che la originano. 

Rem Koolhas

 

Contenuto

All’interno di questa raccolta di saggi, Rem Koolhaas ci dà un’idea di come dovrebbero essere intesi l’architettura e il mondo, e del modo in cui quest’ ultimo venga plasmato e segnato dall’architettura. I tre scritti sono le tappe di un percorso che raccontano come un’architettura concepita come un insieme di spazi stia cambiando il mondo e di come si siano originati questi spazi.

 

CAPITOLI

Capitolo 1Bigness, ovvero il problema della grande dimensione

Bigness, ovvero il problema della grande architettura” è l’unico dei tre saggi ad avere caratteri puramente architettonici all’interno del quale Koolhaas si occupa di codificare i caratteri dell’architettura e di dargli una misura.

Koolhass afferma che al superamento di una certa massa critica, un’opera architettonica non è più semplicemente un edificio, ma è un “grande edificio” che rende impossibile il suo controllo progettuale attraverso un unico gesto architettonico, rendendo necessario lo sventramento dell’ edificio in unità più piccole e facilmente analizzabili che, a questo punto, diventano del tutto autonome. Le varie parti dell’edificio vengono perciò svincolate le une delle altre, diventando a tutti gli effetti dei veri e propri progetti distinti e con caratteristiche distinte che a volte possono non dialogare e comunicare con le caratteristiche dell’elemento architettonico immediatamente adiacente (ad esempio la faccia può non rivelare più ciò che avviene all’interno dell’edificio). Come le varie parti di un edificio assumono autonomia le une rispetto alle altre, allo stesso modo il Grande Edificio si autodetermina rispetto al contesto storico e culturale all’interno del quale viene inserito; tutto il pensiero di Rem Koolhaas da questo punto di vista può essere riassunto citando una celeberrima frase contenuta, appunto, all’interno del saggio stesso, “Funck the contest”.

Secondo l’autore, la bigness è l’unico veicolo in grado di ridare autonomia e forza all’architettura, poiché è capace di svincolarsi dai movimenti ideologici e artistici del modernismo, che tendono a far ristagnare l’architettura ed è, perciò, capace di dare nuova forma alla città, andando essa stessa a costituirla senza lasciar più spazio al caso e alla disorganizzazione, trasformando lo spazio aperto come uno spazio di risulta paragonabile ad una retta su un foglio bianco.

Il Grande Edificio non ha bisogno di una città, è la città stessa e in quanto tale, è in grado di sopravvivere e di insediarsi in contesti privi di riferimenti.

 

Capitolo 2 – La città generica

Mentre il primo saggio contenuto nel libro è, come abbiamo detto, puramente architettonico ed affronta l’architettura attraverso la sua teorizzazione, il secondo testo, “La città generica”, si pone l’obiettivo di osservare la metropoli contemporanea e di analizzarne l’evoluzione.

Rem Koolhaas critica l’eccesso di identità all’interno delle città nello stesso modo in cui Friedric Nietzche critica la visione statica della storia; entrambi, infatti, affermano che queste possano paralizzare l’uomo e la società se non si fa di loro un utilizzo critico e volto all’evoluzione collettiva, ma se ci si limita a vedre in essi il punto d’arrivo più alto ed invaricabile della cultura umana, impedendo perciò all’uomo di progredire ed alla città di rinnovarsi ed espandersi in maniera libera.

L’ architetto olandese afferma che il centro delle città, visto come un nucleo di valore e di senso, è distuttivo e contraddittorio poiché deve essere allo stesso tempo sempre il più vecchio ed il più nuovo, il più statico ed il più dinamico e deve permettere l’evoluzione senza che questa minacci la sua staticità. La città generica è, perciò,  la città che si è liberata dalla “schiavitù del centro” e dall’identità culturale in cui è costretta e che impedisce il suo sviluppo; è una città che riflette sull’odierno senza i limiti imposti dal passato, che è in grado di ospitare tutti e che si plasma sulle necessità dell’uomo. 

Nella città generica viene abbandonato ciò che non funziona, anche a costo di abbandonare la città stessa se questa non si confà più alle necessità dei suoi cittadini; è costituita da piccoli elementi ripetuti all’infinito che ne permettono la costruzione in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo della Terra poiché questa non necessità di un contesto culturale, anzi, lo rifiuta in quanto impedimento per la sua realizzazione; non a caso Rem Koolhaas afferma che la città generica possa essere una città qualsiasi ma vede la sua realizzazione nelle moderne città asiatiche che nascono per lo più in ambiti privi di contesto.

La tipologia edilizia ricorrente e caratteristica della città generica è il grattacielo il quale è capace di esistere ovunque e di contenere diverse attività ed è quindi la tipologia edilizia più generica possibile; per conservare la sua autonomia, i grattacieli devono essere gli uni molto distanti dagli altri per evitare che questi si contami fra loro; per questo motivo l’elemento architettonico essenziale per la città generica è lo spazio vuoto.

La città generica è la città non città che si pone solamente in funzione delle necessità umane.

 

Capitolo 3Junkspace

Junkspace è il terzo ed ultimo saggio contenuto all’interno del libro ed è forse il più emblematico; qui la qualità dello scrittura cambia lasciando spazio ad un fiume ininterrotto di considerazioni e parole, necessario per descrivere la complessità e allo stesso tempo, la vacuità del Junkspace.

Il Junkspace viene definito dallo stesso Koolhaas come “ciò che resta dopo che la modernizzazione ha fatto il suo corso”, non è infatti uno spazio controllato e progettato, ma è uno spazio di risulta orginanto dall’accumulo incessante di materia su materia; è perciò uno spazio non voluto  ma che caratterizza fortemente le nostre città ed è perciò un elemento da valorizzare e da cui l’architettura dovrebbe ripartire. Il junkspace nasce come lo spazio residuo su un terreno interessato dall’insediamento di un’architettura progettata e definita; il junkspace si “attacca” ad un progetto nello stesso modo in cui un virus attacca un organismo vivente; esso ha bisogno di un progetto per esistere ma al suo interno il progetto stesso muore.

Il junkspace è fortemente anarchico, è uno spazio privo di forma e di un’identita prefissata, è uno spazio libero all’interno del quale troviamo membri di diversa estrazione sociale accumunati solo dalla mancanza di elmenti condivisi, e muta con il il carattere dei suoi fruitori.

Mentre apparentemente crea unità, in realtà il Junkspace divive poiché esso crea collettività attraverso la mancanza di condivisione di regole ben definite.

Il junkspace è uno spazio orfano ma tuttavia sorprendentemente autoritario che, come dice Koolhaas, finirà per governare il mondo in quanto è una diretta conseguenza dello sviluppo sociale e dell’espansione delle nostre città;  finirà per trasformare il mondo in un’immenso luogo pubblico senza limiti, linguaggio e forma.