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autore

FERNANDO ESPUELAS

titolo

IL VUOTO. RIFLESSIONI SULLO SPAZIO IN ARCHITETTURA

editore

MARINOTTI

luogo

MILANO

anno

2011

 

 

lingua

ITALIANO

 

 

Titolo originale: EL CLARO EN EL BOSQUE. Reflexiones sobre el vacìo en arquitectura

 

 

Argomento e tematiche affrontate

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 Giudizio Complessivo: 9 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Marilena Scarpitta

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013

 

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Autore

Fernando Espuelas, laureatosi in architettura nel 1978 è attualmente preside della Facoltà di Architettura dell’Università Europea di Madrid, a cui affianca la pratica progettuale; tra le sue ultime opere l’auditorium e la biblioteca a Colmenar Viejo e la biblioteca a El Escorial.

Le prime righe de “ Il vuoto” sono "Vuoto e materia formano la polarità di base dell'architettura" e infatti proprio per completare questa dicotomia, nel 2012, pubblica con Rizzoli un altro saggio “Madre materia” in cui indaga sull’ essenza primaria della materia, prima cioè che venga trasformata dall'uomo in materiale da costruzione.

CAPITOLI

PRIMA PARTE – IL VUOTO COME REALTA’ FISICA

Capitolo 1 - Vacuità

Nel primo capitolo ha inizio il cammino concettuale che parte dall’era neolitica, seguendo il filo rosso della fisicità del vuoto come categoria spaziale primaria, con il compito di ottenere uno spazio a servizio dell’uomo.

I primi esempi sono le tombe neolitiche considerate delle vere e proprie case per la vita ultraterrena. Il vuoto rappresenta l’intrusione in un luogo negato, sacro, e destinato a sconfiggere anche le pressioni del tempo.

Si prosegue con altri esempi di architettura come il Tesoro di Atreo, il quale, più di tutte le altre tombe ipogee, si compone di un vuoto perfetto, spazio purissimo, che non necessita di immaginazioni simboliche. È qui che maggiormente si avverte il predominio del’ “Lo spazio interno” su quello esterno.

Segue poi la descrizione delle tombe egizie (piramidi e mastabe) spiegandone le origini. Ciò che in questo caso sorprende, è la percentuale di vuoto all’interno del volume costruito (circa 0.082%) pressoché costante per ogni piramide, dalla più grande alla più piccola. Tutto ciò è dovuto all’idea di spazio interno come spazio prevalentemente privato, poiché luogo della continuazione delle abitudini terrene e in opposizione al volume apparente, simbolo invece, del potere reale e origine divina del defunto. La stessa concezione della vita ultraterrena come continuazione naturale di quella terrena si rispecchia con le dovute differenze anche nella tombe etrusche.

Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image003.jpg (1)            Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image004.jpg  (2)

 

Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image005.jpg (3)          Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image006.jpg  (4)

(1)   Camera funeraria megalitica, Newgrange (Irlanda), 3220 a.C. Interno.

(2)   Tesoro di Atreo, Micene, 1330 a.C. Interno.

(3)   Tesoro di Atreo, Micene, 1330 a.C. Sezione.

(4)   Schema dei vuoti interni nelle piramidi egizie.

 

Capitolo 2 – Lo spazio urbano

Le prime righe del capitolo illustrano in maniera chiara ed inequivocabile l’argomento trattato e il modo in cui viene affrontato. Il filo conduttore è ancora il vuoto inteso come discontinuità rispetto al volume costruito, ma con un salto di scala. Non a caso il titolo del capitolo rimanda alla scala urbana. In questo caso, infatti, il vuoto assume una connotazione “pubblica o collettiva, spazio del movimento e della trasformazione, del passare del tempo e della vita umana”.

Vengono riportate le origini e l’evolversi dello spazio urbano, si parte dall’ “appartato luogo urbano” dell’agorà ateniese e dell’intero impianto ippodameo della polis. Passando per l’insediamento sul Tigri  Tell Arpasiyya, sviluppatosi nel sesto e quinto secolo a.C. e composto da tholoi disposte in maniera casuale, ma con l’assenza di uno spazio di filtro tra quello privato interno e quello naturale esterno. Seguono poi esempi di insediamenti pressoché coevi, che ben poco si discostano dal primo per quanto concerne il trattamento dello spazio immediatamente esterno alle abitazioni, sino alla città di Gerico che con la muraglia che la circonda produce una netta separazione con l’ambiente naturale circostante, creando quello che abbiamo si è detto essere “spazio pubblico”. Infine si arriva ad Atene in cui “lo spazio urbano cessa di essere il semplice residuo tra le edificazioni e viene trattato come entità a se stante”.

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Pianta dell’agorà II secolo a.C.

 

Capitolo 3 – Less is more

Il seguente capitolo è l’apologia dell’architettura miesiana. Si apprezza in essa soprattutto la sua autoreferenzialità. In effetti, Mies si discosta completamente da distorsioni e condizionamenti esterni, producendo un’ architettura “intransitiva” che mira ad esprimere solo se stessa. Tutto ciò si riflette nei propri disegni. Mies rappresenta i suoi edifici popolati da uomini che, vestiti del solo colore del buio, esistono e non esistono. La mancata definizione di coloro che vivono l’architettura, facendo proprio l’eventuale mutamento sociale e culturale al passare del tempo, la rendono eterna. Altro aspetto dell’architettura di Mies ammirato dall’autore è la confluenza tra pensiero ed opera esplicitata attraverso il concetto di verità (“Una questione relativa alla Verità”).

Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image008.jpg (1)          Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image009.jpg (2)

(1)   Mies Van Der Rohe, schizzo

(2)   Le Corbusier, schizzo

Capitolo 4 – Flessibile, mutevole

Il seguente è il primo dei quattro capitoli (capp. IV, V, IX, X) del saggio dedicati alla cultura giapponese e che si riferiscono in particolare al ruolo che il vuoto occupa nella cultura compositiva nipponica.

Si parte con la descrizione della casa giapponese, della sua storia, dello scenario domestico “aperto, duttile e vuoto” e delle sue parti componenti.

Nella casa giapponese il vuoto:

-          È l’elemento compositivo più importante;

-          Permette una maggiore fluidità dello sguardo che si muove all’interno senza essere attirato da nessun oggetto in particolare;

-          Non accetta interferenze da parte di mobili e pareti;

-          Diventa uno scenario di intimità, del cambiamento e della mutabilità della vita dell’uomo;

-          È simbolo della cultura giapponese, allo stesso tempo intima e sofisticata;

-          È la confluenza tra l’austerità zen e la funzionalità ritualizzata che danno come risultato uno spazio utile e flessibile, accogliente e riposante;

-          Insieme all’utilizzo di materiali naturali, come il legno e fibre vegetali, e l’ordine dominante, denota l’attesa, la vigilia e non permette l’oblio.

I concetti che si potrebbero approfondire, sono l’uso delle gallerie che allo stesso tempo dividono e collegano i diversi ambienti delle dimore aristocratiche, e il concetto del ma, complesso e univocamente indefinibile, il quale “incorpora lo spazio e il tempo in termini strettamente spaziali”.

Ciò che prevale da questi quattro paragrafi legati alla cultura giapponese è che la concezione di vuoto, spazio e relazione con la natura è profondamente legata alle religioni scintoista (cap. V, pag. 103) e buddhista e alla cultura zen.

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Casa giapponese, interno.

 

SECONDA PARTE – IL VUOTO COME MEZZO DI SIGNIFICAZIONE

Capitolo 5 – La radura nel bosco

Shikinen sengu è il rinnovamento periodico dei templi scintoisti. Il tempio sorge su una radura, il primo passo per il rinnovamento è la delimitazione dello spazio sacro. Per i fedeli che volevano invocare un kami (divinità), la prima cosa da fare era preparare un luogo sacro collocando quattro pali agli angoli di un rettangolo vuoto attorno all’elemento nel quale si credeva potesse risiedere la divinità, e unirli con una corda. Questo è il modo originale e semplice per i giapponesi di delimitare uno spazio. In uno spazio di questo tipo si percepisce lo scambio tra il mondo della realtà e quello dell’irrealtà. La forma per indicare il luogo dove i kami discesero è proprio il ma. Ma è il vuoto momento di attesa di questo scambio.

Ogni tempio scintoista è delimitato da quattro diversi tipi di recinzioni e si compone di due zone: una vuota, quella dell’assenza (kodenchi, l’area occupata dal precedente tempio ormai dismesso e che verrà occupato in futuro, un vuoto in attesa), e una piena, quella della presenza. Il divino appare allo stesso modo presente e assente; la chiave di questo simbolo è rappresentata dal pilastro del cuore (shin no mihashira). Quest’ultimo si potrebbe paragonare ad un ombelico. Da questo punto emerge il sacro.

La trascendenza viene definita da una cornice e dall’uso sapiente del vuoto, non vi è alcunché di aggiunto. La funzione del recinto internamente vuoto ha l’unica funzione di evidenziare un’intenzione.

Il vuoto appare quindi in tre diversi significati: cornice, richiesta e attesa.

Il rinnovamento del tempio, inoltre, è il corrispettivo artificiale del rinnovarsi della natura.

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Santuario di Ise. Vista aerea

 

Capitolo 6 – Il recinto

Con un salto spazio temporale si approda a Cnosso dove mito, storia e archeologia si fondono. La penna dell’autore questa volta si sofferma sul patio o grande piazza centrale attorno alla quale si sviluppa il Palazzo di Cnosso.

Un po’ come il pilastro del cuore per il tempio scintoista, il grande spazio vuoto è il centro e allo stesso tempo origine generatrice del costruito che gravita su di esso, ma in negativo, in quanto, a differenza dello shin no mihascira, è un vuoto al centro del pieno. La vera funzione di questo spazio non è univocamente distinta.

Il patio minoico si potrebbe leggere come la traslazione del primitivo santuario naturale. Stabilisce un relazione con l’intera costruzione e nel caso di Cnosso anche la relazione con il tema del Labirinto. Come nel labirinto (simbolo di sconcerto e disorientamento), così anche nel palazzo esiste un centro. In entrambi i casi il centro rappresenta il luogo felice del ristoro.

“Se l’architettura avesse generi, la casa della Labris (il Palazzo di Cnosso è così chiamato per l’ascia simboleggiante la Dea Madre posizionata su un altare all’interno del patio) sarebbe femminile. Il suo interno più recondito è il vuoto dell’eccezionalità, il luogo del piacere e del gioco. La cultura minoica, all’interno dei suoi palazzi, sembra aver voluto simboleggiare l’utero nel quale si sarebbero sviluppate le molte generazioni con le quali potesse essere inaugurata l’Europa storica” (pag. 130).

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Palazzo di Cnosso, Pianta

 

Capitolo 7 – Vuoto, pletorico

Il vuoto è il concetto prediletto dal taoismo, ma dal molteplice significato. Le varie concezioni di vuoto però, sono tutte evidenti nel giardino taoista, simbolo dell’intero universo seppure attraverso un luogo piccolo e perfettamente definito nei limiti. È luogo di intimità e ristoro e poichè progettato per riflettere il cielo, diventa simbolo del Paradiso (“Ciò che è in alto, è come ciò che in basso”). La caratteristica comune a tutti i giardini cinesi è infatti la naturalezza (al contrario della casa e dei campi in cui tutto è manipolato e artificiale).

Il giardino trasmette tre forme di vuoto. Quello proprio del Tao (vd. pag. 134 per il significato della parola), creatore, provvidente e fine di tutte le cose. Il vuoto personale della non-azione (wu-wei) riscontrabile nell’attitudine di adattamento  al luogo tramite il concetto di paesaggio prestato o l’effetto ritrovato (ottenuto tramite il rispetto delle vocazioni del luogo). E infine il vuoto yin (vd. Pag. 135), il vuoto femminile, che si manifesta nella cavità delle rocce, nelle ombre dei tronchi, nel letto dei ruscelli.

Le regole per la costruzione di un giardino cinese sono:

-          Evitare la percezione della dimensione che non può essere colta visivamente in una solo sguardo e da una sola prospettiva;

-          Il bordo non si significa come limite ma come fondale ( di solito bianco e incerato, l’effetto neutro ed evanescente crea un fondo nebuloso);

-          Evidenziare ciò che del mondo è mutevole. Il cambiamento è ottenuto attraverso la complementarietà nella dualità yin-yang ;

-          Ogni cosa del giardino è sostituzione e simbolo di un qualcosa dell’universo.

“Il vuoto, come attributo del Tao, non è confondibile col nulla, è ciò che non riusciamo a nominare, definire, concepire. Le costruzioni logiche ed intellettuali non possono riempirlo”.

Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image013.jpg (1)    Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image014.jpg (2)   Descrizione: http://images.gg-art.com/p/p1u8qmhc.jpg (3)

(1)   (2) Giardini taoisti.

(3)Li Gongnian, Paesaggio invernale, XIII sec.

 

Capitolo 8 – Lo spazio universale

Con un altro salto spazio temporale si arriva a Roma, nell’edificio che è uno degli archetipi della storia dell’architettura: il Pantheon.

Come il giardino cinese anche il Pantheon è il simbolo dell’universo. Il primo è costituto da elementi della natura, accostati secondo regole ben precise che lavorano per metafora ed accostamenti; il Pantheon, invece,allude all’universo attraverso la centralità, la pienezza della cupola, la monumentalità del vuoto interno, la globalità degli dei venerati.

È evidente come il Pantheon sia un edificio la cui vocazione sia la globalità, i meccanismi che la generano sono:

-          L’accumulazione di elementi, sia all’interno che all’esterno;

-          L’estensione, diametro uguale all’altezza, la concezione della sfera contenuta all’interno dell’edificio legata all’ontologico e al divino. Il Pantheon come imago mundi;

-          La negazione, pianta circolare sormontata da una cupola, tutto fa riferimento al centro come punto generatore, ma tale centro risulta vuoto. Questo vuoto è indipendente nel suo carattere unitario e, contemporaneamente, funziona da collante della diversità. Dio viene collegato al nulla e nello stesso tempo alle possibilità infinite. Questo legame impossibile avviene solo nel vuoto perfetto, come quello costituente il Pantheon.

Descrizione: I:\bibliotecacondivisa\1018_file\image016.jpg      Descrizione: http://1.bp.blogspot.com/_sF6pFTSK88c/S_5WJFTQf8I/AAAAAAAAABs/_2GtXRbXd48/s1600/roman_pantheon.jpg

Pantheon, Roma.

 

TERZA PARTE – IL VUOTO IN AMBITO PERSONALE

Capitolo 9 – Rosario di pietre

Il giardino zen nasce dall’integrazione tra il buddhismo, la cultura zen e il taoismo, e prende le mosse da criteri grafici e percettivi dedotti dalla pittura paesaggista cinese.

La caratteristica principale ancora una volta è il vuoto, concetto fondamentale per il taoismo e che il buddhismo ricrea nella sua più alta espressione nell’elaborazione del giardino secco o giardino di pietra. “Il giardino zen diviene una metafora materializzata, della concezione mistica e nel contempo,uno strumento in grado di propiziare la meditazione, come i grani di un rosario.” “È lo spazio sacro dove trova posto l’intangibile. Nel vuoto stesso, creatore di bellezza, l’essere terrestre si redime. I suoi sensi si fanno tutt’uno con l’anima. Questo è ciò che è stato chiamato  meditazione e rimozione di ogni preoccupazione.”

Buddhismo, taoismo e zen hanno però una diversa concezione del vuoto.

Nel buddhismo il vuoto è la via della rinuncia all’illusorio e al contingente per fondersi con il vero io: la mente universale.

Nel taoismo invece è il principio (yin) che si contrappone ed è complementare al mondo delle entità visibili (yang).

Per lo zen invece, che disdegna qualsiasi elaborazione concettuale e si compiace della fisicità, della concretezza e dell’immediatezza, il vuoto è il principio ispiratore dell’arte (come è esplicito nei giardini di pietra).

Il giardino di pietra:

-          Non circonda l’edificio, è limitato da quest’ultimo;

-          È di piccola estensione;

-          È composto basicamente da ghiaia, muschio e rocce. Per il collegamento con la paesaggistica cinese le rocce simboleggiano le montagne, la ghiaia la nebbia che rende il paesaggio sottostante indefinibile infine il muschio la vegetazione delle montagne che spunta dalla nebbia; oppure in un paesaggio marino, le rocce sono le isole e la ghiaia il mare. In entrambi i casi, la ghiaia rappresenta la mutevolezza e il cambiamento continuo, in contrapposizione con la fissità delle rocce;

-          È posizionato all’interno del giardino monastico, vicino alla sala della meditazione;

-          È formato da più gruppi di rocce tra loro separati, la collocazione delle singole pietre è in relazione con le altre del proprio gruppo e con quella degli altri gruppi, il muschio segna il distacco tra la ghiaia e le pietre;

-          Ha un aspetto finto aleatorio, naturale;

-          Non si può cogliere con un solo sguardo, perché le posizioni delle pietre sono studiate affichè ogni volta una si nasconde dietro l’altra.

Il vuoto nel giardino zen, come il kodenki nel tempio scintoista, non è altro che materializzazione della promessa, dell’attesa, ed è rappresentato dalla omogenea molteplicità e dal colore bianco che dentro di contiene tutti gli altri. Ma solo attraverso la forma possiamo capire il vuoto, ecco perchè non basta la ghiaia, seppure con tutti i suoi significati, ma si necessita della rocce.

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Giardino zen

 

Capitolo 10 – La casa della cerimonia

Della casa giapponese di cui si è discusso nel capitolo IV, si prende in esame ora un particolare ambiente: la stanza del tè.

La stanza del tè è una parte importante della casa in quanto luogo in cui si celebra la cerimonia del tè. Lo zen elevò l’atto di prendere il tè a via di realizzazione spirituale, al pari della stessa meditazione. Il suo fine ultimo consiste nel liberare la persona dalle preoccupazioni quotidiane per permetterle di abbandonarsi al piacere estetico dei fiori e delle pitture poste nel tokonoma, posto d’onore nella stanza.

All’inizio la cerimonia del tè si teneva nella sala della meditazione, nel XVI secolo invece, nacque il cosiddetto Padiglione del tè posizionato in un angolo del giardino. Il sentiero che si deve attraversare per raggiungere il padiglione è già il primo atto di purificazione e aiuta il processo di isolamento che raggiunge il massimo risultato all’interno del padiglione stesso.

La casa del tè aveva una struttura fragile da suggerire immediatamente il pensiero di transitorietà e vanità delle cose, non vi è nessuna simmetria (lo zen la reputa artificiale).

Il culto del tè significa quindi piacere e pienezza e non si può confondere con la sala da tè, quest’ultima non è altro che un rifugio contro la pioggia.

Lo spazio vuoto, se nell’intera casa giapponese significava flessibilità e mutevolezza, domesticità; nel caso della stanza del tè è una porta attraverso la quale si passa dalla realtà ordinaria, nei quali i sensi sono imprigionati tra tensioni e preoccupazioni, allo spazio del piacere sensoriale.

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(1)   La stanza del tè all’interno della casa giapponese, è ben visibile il tokonoma.

(2)   Il padiglione del tè all’interno del giardino taoista.

 

Capitolo 11 – Assenza

Questo, a mio avviso, è tra tutti i capitoli il più bello e profondo, perché maggiormente vicino alla concezione personale e allo stesso tempo universale del vuoto. Riassumerlo con parole diverse da quelle dell’autore, rischierebbe di contaminarne il senso con interpretazioni personali. È per questo che ho preferito riportarne soltanto un passo chiave e delle foto, in modo che ognuno possa trovare la personale idea e interpretazione di vuoto.

 

“La relazione che lega uno spazio e la persona che lo occupa definisce il luogo stesso e l’esperienza che di esso hanno gli altri come ambito privato. Spazio ed occupante compongono una unità naturale che perde valore in caso questi sia assente. Un osservatore, in tale circostanza, percependo una frustrazione di una sua aspettativa, oggettiva il luogo come vuoto.

Esistono tre componenti di questa situazione: il luogo, privato, colonizzato dall’abitare quotidiano; il tempo, sospeso nell’abbandono e, infine, lo sguardo dell’osservatore, che carica di significato l’ambiente vuoto che osserva”.

 

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Descrizione: http://www.ibiblio.org/wm/paint/auth/hopper/interior/hopper.rooms-sea.jpg (2)

 

Descrizione: http://www.homolaicus.com/arte/images/f_0482.jpg (3)

(1)   Juan Navarro Baldeweg, Quinto interior. Luz y metales. Installazione alla Sala Vinçon, Barcellona, 1976.

(2)   Edwar Hopper, Stanza vicino al mare, 1951.

(3)   Vincent Van Gogh, Stanza di Van Gogh ad Arlés, 1888.

  

Capitolo 12 – La nostalgia

Un altro tipo di vuoto è quello che Piranesi utilizza nelle proprie incisioni. Non è né un vuoto fisico, né metaforico, ma un vuoto di significato, in cui l’unico sentimento possibile è la nostalgia.

I veri signori gloriosi (i romani) sono scomparsi, gli uomini contemporanei si muovono nell’architettura e nella storia come indigeni che usufruiscono di un passato non meritato. La loro timida presenza non si impone allo spazio, che anzi li ignora. Quell’architettura chiusa in se stessa e rassegnata alla povertà dei nuovi tempi trasuda, appunto, di nostalgia. Ciò che ai nostri occhi può sembrare arbitrario, forse per Piranesi era solo un mezzo per esprimere l’inevitabile incapacità di conoscere un passato irrimediabilmente scomparso. Qualsiasi mezzo legato all’intelletto per comprendere l’essenza di queste rovine si dimostra insufficiente. Kaufman lo accusò di rinunciare all’ordine e produrre il caos, ci si dovrebbe chiedere se questo caos per Piranesi fosse davvero tale o piuttosto la manifestazione di un ordine indecifrabile.

Il vuoto di significato che Tafuri attribuisce all’opera piranesiana forse è solo un modo di esprimere un enigma implicito in un altro vuoto, quello dei creatori di queste architetture e che induce nell’autore la nostalgia per certe virtù. Nella misura in cui tale enigma rimane insoluto diventa la formalizzazione di un’impotenza.

“Nella crisi, sembra voler dimostrare Piranesi, si è sconfitti e la vera magnificenza è accogliere liberamente tale destino”.

Descrizione: https://encrypted-tbn1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSxRSN79uQLXDJpvdF9H2H7nuQ1lVLpEpIa5z3KfUtwXrcv5O7uDescrizione: http://www.info.roma.it/foto/roma_sparita/grandi/91.jpg

Piranesi, Incisioni.

 

GLOSSARIO

Concetto chiave – Penetrabilità

Accezione primaria dello spazio. Categoria dello spazio nella quale si sviluppano il  movimento e la trasformazione.

Concetto chiave  – Possibilità

Lo spazio vuoto, non occupato e non caratterizzato è un luogo disponibile, è il territorio della casualità.

Concetto chiave  – Flessibilità

Il vuoto non caratterizzato è adattabile e declinabile ad usi infiniti.

Concetto chiave  –  Scenario

Il carattere transitivo dello spazio si concretizza nella sua capacità di accogliere l’azione e farla risaltare.

Concetto chiave  –  Purezza

La vacuità in architettura, intesa come soppressione del superfluo, di ciò che distorce, diventa uno strumenti per la sua stessa valorizzazione.

Concetto chiave – Eccezionalità

La vacuità, intesa come qualità che esprime una bassa densità nell’occupazione fisica dello spazio, costituisce frequentemente una rarità. È in questa eccezionalità che risiedono certe utilizzazioni del vuoto.

Concetto chiave – Magnetismo

Il vuoto, grazie alla sua minore densità relativa,attrae a sé gli spazi attigui.

Concetto chiave – Magnetismo

L’ aggettivazione di vacuità per uno spazio determina l’esplicitazione di un’assenza. Il vuoto così inteso non è tanto una carenza di caratterizzazione quanto la frustrazione di un’aspettativa. Questo contenuto di conoscenza è realizzato in due modi: quello dell’assenza, di carattere percettivo, e quello della nostalgia, sentimento per ciò che è stato irrimediabilmente perso.