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autore |
LUISA BONESIO |
titolo |
GEOFILOSOFIA DEL
PAESAGGIO |
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editore |
MIMESIS |
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luogo |
MILANO |
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anno |
2007 |
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lingua |
ITALIANO |
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Titolo originale:
Luisa Bonesio, Geofilosofia
del paesaggio, Mimesis 1997 |
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Argomento e
tematiche affrontate |
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L’autrice mischiando
i campi dell’estetica, della geografia e della filosofia, si interroga sulla
possibilità di leggere in chiave contemporanea il tema del paesaggio inteso
non da un punto di vista puramente estetico ma come il luogo del nostro
abitare, il luogo dove noi affondiamo le nostre radici e dove ci
identifichiamo con esso. Ne parla elaborando una propria riflessione che
accinge al pensiero filosofico che va da Nietzsche a Heidegger,
a Jùnger. La sua riflessione si basa anche sul
constatare la graduale e quasi inesorabile sorte che sta correndo la nostra
natura, in balìa dell’uso a volte indiscriminato che l’uomo fa di essa,
elaborando teorie e modi di pensare altri, mirate a una convivenza più
serena e adeguata tra uomo e natura. |
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Giudizio
Complessivo: 7 (scala 1-10) |
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Scheda compilata da:
Davide Adorno |
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Corso di Architettura
e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013 |
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Autore |
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Luisa Bonesio insegna Estetica
nell'Università di Pavia. Studiosa del pensiero di Nietzsche, Spengler, Jünger e di estetica
del paesaggio, si sta dedicando da alcuni anni all’elaborazione di un
pensiero geofilosofico delle differenze
territoriali, con particolare attenzione alla montagna e alle regioni alpine.
Promotrice
e responsabile dell’osservatorio “Estetica del Paesaggio” della Società
italiana di estetica (SIE); ha partecipato alle trasmissioni televisive RAI
Educational “La storia siamo noi” e “Tema” sulle tematiche del paesaggio e
della natura, e a numerose interviste radiofoniche sui temi geofilosofici delle identità territoriali, del paesaggio
e
dell’abitare.
Tra i suoi scritti : La
terra invisibile (Marcos y
Marcos 1993); Geofilosofia del paesaggio, Mimesis 1997, 2001; Passaggi
al bosco. Ernst Jünger nell’era dei Titani (con Caterina Resta, Mimesis 2000). |
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Luisa Bonesio |
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CAPITOLI |
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Capitolo 1 – Forme e limiti del
paesaggio (Geotopographica) |
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Dal punto di vista della
geografia, il termine “paesaggio” indica il paesaggio culturale.
Bisogna specificare che non tutto è visibile nel paesaggio:
l’invisibile sta in una serie di messaggi cifrati che l’osservatore sa
intendere. Il paesaggio presuppone quindi un osservatore colto o competente e
inoltre esso non esisterebbe senza la presenza dell’uomo; allora non esiste
il paesaggio culturale senza l’uomo colto. Perché ci sia paesaggio occorre ci
sia la concomitanza di alcune condizioni che distinguono le culture con una ragione
paesaggistica da quelle che ne sono prive: i modi linguistici per indicare il
paesaggio, le rappresentazioni letterarie, orali o scritte, che esprimono la
bellezza del paesaggio, le rappresentazioni pittoriche del paesaggio, la
presenza di un estetica del giardino. Solo in presenza di tutte queste
condizioni si può parlare di cultura paesaggistica. Una volta legittimato il
significato di paesaggio ci si può chiedere come valorizzarlo soprattutto nei
termini di geosimbolo. Il paesaggio dunque avrà caratteristiche
ben precise, rese tali da una valorizzazione della presenza umana; si può
quindi parlare di stile, ovvero come dice Lehmann, che la geografia può
intervenire per indicare le leggi fisiche che condizionano la comparsa di
certe forme, scoprendo quindi certe connessioni tra valore espressivo e
formale. Il vocabolo tedesco Landshaft (paesaggio)
esprime l’unicità, l’individualità; bisogna perciò, prima di agire nel
paesaggio, conoscere l’identità simbolica che si è persa negli ultimi anni
per evitare la manomissione dei paesaggi ed una loro perdita di unicità.
Nella cultura occidentale ci sono luoghi che sembrano non appartenere a
categorizzazioni scientifiche ed estetiche, che sembrano invisibili ad uno
sguardo paesaggistico comune. Per esempio i luoghi sacri non corrispondono a
quei tratti di distinzione a cui noi siamo abituati per giudicare un luogo
dal punto di vista estetico. Infatti per alcune religioni, tutti gli elementi
naturali hanno una loro forza vitale e quindi vengono trattati in modo diverso,
con più rispetto quindi. Perciò luoghi che ad un primo approccio possono
sembrare “naturali” possiedono in realtà una loro sacralità e sono
profondamente naturali e simbolici. Quindi al paesaggio serve una
comprensione molto più sofisticata perché possa essere salvaguardato nella
sua identità. |
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Capitolo 2 – Dalla natura alla terra (Geotopographica) |
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Ognuno di noi, salvo chi ha una
particolare attenzione e predilezione verso il tema della natura, tende a identificare
la natura con il paesaggio. Il paesaggio possiede delle caratteristiche che a
volte non sono visibili ad un semplice sguardo, perché magari possiede valori
storici e nostalgici di cui non sappiamo l’esistenza. Non essendoci più
quindi questa distinzione tra natura e paesaggio, vi è un consumo progressivo
della natura imputabile ad una incapacità di vedere da parte dell’uomo, ma
per la stragrande quantità di immagini che hanno sostituito l’immaginario
della natura, sia per una visione della natura come materiale inerte,
manipolabile a proprio piacimento dall’uomo. Non c'è più quindi nella
maggior parte degli uomini, quel senso di stupore e di meraviglia verso la
natura, e quando si pensa ad essa in questi termini lo si fa con un richiamo al
passato, con la sensazione di un qualcosa che tanto non ci tornerà più. |
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Capitolo 3 – Identità
del paesaggio (Geotopographica) |
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La
terra desolata è
un libro di G.S.Eliot, grande poeta del Novecento.
La desolazione della terra a cui allude Eliot è più profonda di quella
provocata dalla guerra e allude a una domanda che noi tutti dovremmo porci;
egli chiede come sia possibile perdere di vista la terra che noi abitiamo,
calpestiamo e coltiviamo, la terra che ci ospita. Per spiegare questo
possiamo fare un esempio filosofico; Cartesio aveva affermato che bisognava
modellare la Natura per renderla più accessibile all’uomo, quindi creando
grandi pianure, viali diritti e eliminando i dislivelli. Così facendo l’uomo
si ritroverà agevolato, ma inesorabilmente si è destinati a perdere la terra.
Bisogna chiedersi allora come agire sulla terra. Per fare questo bisogna
parlare di paesaggio: parlando di paesaggio si parla di un uomo estraneo ad
esso che osserva e in cui il paesaggio provoca delle emozioni. Esistono
diversi paesaggi, ognuno con una singolarità propria derivanti da fattori
diversi, alcuni più visibili altri meno, ma ce comunque da ricordare che i
vari paesaggi che noi osserviamo in tutte le loro differenziazioni, fanno
tutti parte di un’unica terra. Quindi non si deve mai pensare ad un paesaggio
come se fosse inquadrato da una cornice, ma pensare ad esso in termini più
generali e ampi. Le immagini che si hanno dei paesaggi sono generalmente dei
luoghi comuni: questo perché sono il risultato non tanto di un rapporto
individuale che si ha con essi, ma dalla sovrapposizione di stereotipi
causati da un loro consumo di massa. Infatti i paesaggi sono ormai
accessibili a tutti grazie alla facilità delle loro vie d’accesso, diventando
così dei “luoghi comuni”. Diventano così dei “non luoghi” della vita
metropolitana, una loro copia, perdendo il loro valore simbolico e
spirituale. Quindi i paesaggi diventando non luoghi, perdono quella
singolarità che hanno e che in passato caratterizzava un senso di
appartenenza culturale. Infatti il problema del paesaggio riguarda anche il
problema del mantenimento d’identità di una località e quindi il
problema di conservare, da parte di una cultura o di una popolazione, la propria
fisionomia culturale che non dovrebbe essere separabile dalla specificità del
luogo. Si può quindi vedere un paesaggio come definizione di una località
culturale; la manomissione della sua identità simbolica costituisce quindi
anche una forma di lesione del sistema di identificazione culturale. |
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Capitolo 1 – La
montagna nella tradizione occidentale (Geosymbolica) |
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La
montagna una volta era vista quasi con terrore, vi era paura di essa ed era
vista come un qualcosa di inaccessibile e da rispettare. Le connessioni
esplicitamente simboliche e sacrali che sono ancora mantenute in Oriente, in
Occidente sono andate smarrendosi e ormai la montagna viene solo considerata
sotto il profilo della “realtà concreta”. Gli antichi non praticavano
l’alpinismo anche perché sarebbe stato dare l’assalto alla sede delle forze
superiori: così conservavano i caratteri di inaccessibilità e inviolabilità e
dunque la potenza simbolica della montagna rimaneva intatta. Oggi tutte le
montagne sono state conquistate materialmente e si corre il rischio che anche
questa parte della nature perda il significato simbolico che gli resta. |
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Capitolo 2 – Solitudo, o l’allontanamento della natura (Geosymbolica)
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Sul finire
del secolo scorso è come se un grido si levasse angoscioso: “il deserto
cresce: guai a chi favorisce i deserti!”. È Nietzsche, che ebbe una visione
dei tempi a venire, e scoprì il vero volto della modernità come un deserto
che avanza, inesorabile. Dice che la natura propriamente desertica della
metropoli moderna sta nella sua emancipazione dalla terra che ne segna
contemporaneamente la sua effimera vittoria e la fine. Nietzsche dice: “Prive
di radici, morte per tutto ciò che è cosmico, caduta inesorabilmente sotto il
potere delle pietre e dello spirito” e ancora “ mentre tutte le lingue delle
forme di una civiltà insieme con le storie della loro evoluzione sono legate
a una teoria d’origine, ogni forma civilizzata si trova a suo agio in
qualsiasi posto e una volta apparsa, è portata ad esportarsi
illimitatamente”. Giunti a questo punto, bisogna introdurre un nuovo tema su
cui riflettere: la solitudine nella natura. L’ipotesi è che il progressivo
allontanarsi dell’uomo dalla natura abbia contribuito alla solitudine
moderna. Al giorno d’oggi un esperienza diretta e singolare della natura è
molto difficile perché ormai la natura è largamente colonizzata e là dove non
lo è, viene presa d’assalto dai turisti. Come dici Rilke,
la maggior parte degli uomini che però si trovasse da sola in un bosco, non
resisterebbe a lungo senza vedere suoi simili. Rilke
dice che la scelta di costruire città sia stata fatta con lo scopo di non
vedere la natura e consolarsi con la natura artificiale del mare di case
costruite dall’uomo. Perciò l’uomo preferirebbe una solitudine fra simili
rispetto a quella con la natura. |
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Capitolo 3 – La terra selvatica e l’anarca (Geosymbolica)
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L’idea di bosco, secondo Junger, è quella di una dimensione spirituale altra
rispetto al nichilismo moderno, il cui emblema da Nietzsche in poi è il
deserto. Bisogna intendere bosco e deserto secondo la loro portata simbolica,
così come il paesaggio. Il bosco ricorda un qualcosa di intatto dalla
civiltà. Eliade diede un’altra affermazione,
analoga a quella di Junger, secondo cui “ colui che
comprende un simbolo, non solamente si apre al mondo soggettivo, ma al tempo
stesso riesce ad uscire dalla propria situazione particolare ed accedere ad
una comprensione dell’universale. Il cammino del bosco è simile alla
posizione dell’anarca nell’ambito della società. L’anarca, non andando comunque contro le regole
dell’autorità, ha una posizione di indagine critica e non appoggia le varie
ideologie seppur non andando contro di esse. L’anarca
non si fa notare, non gioca sull’esaltazione dell’individualità; è solitario
e Junger afferma che “In fondo, è sempre ed
ovunque, un uomo della foresta, sia alla macchia come nelle metropoli, sia
nella società che fuori di essa”. In base a queste considerazioni, alla selva
può accedere solo una persona spiritualmente differenziata, per la quale il
bosco diventa il luogo di una scelta, dove possa esprimere un pensiero
diverso (un po’ come le alpi per Nietzsche); quindi si distacca dall’idea
“naturale” di vita, assumendo come idea di luogo di una coscienza della
simbolicità. |
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GLOSSARIO |
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Landschaft – termine tedesco che letteralmente significa
“paesaggio” ma che contiene in sé anche il senso di unicità ed individualità che
contraddistingue un determinato paesaggio. |
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Nonluogo – con questo termine, altamente
rappresentativo dell’epoca moderna, si indicano tutti quegli spazi che hanno
la prerogativa di non essere identitari, razionali e storici. Diventano così
semplici luoghi di passaggio. |