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autore

MARIO BIRAGHI, GABRIELLA LO RICCO, SILVIA MICHELI

titolo

MMX ARCHITETTURA ZONA CRITICA

editore

ZANDONAI

luogo

ROVERETO (TN)

anno

2010

 

MARIO BIRAGHI, GABRIELLA LO RICCO, SILVIA MICHELI

lingua

MMX ARCHITETTURA ZONA CRITICA

 

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

Il gruppo di ricerca storico-critica GIZMO nel libro “MMX. Architettura zona critica.” Analizza le mancanze e il disorientamento caratterizzante il periodo contemporaneo. Il libro inizia dunque con una sezione intitolata “Ciò che manca” (riferimenti alle grandi architetture e ai grandi maestri, i ringraziamenti e le note, ecc.) mentre il resto è dedicato al “territorio” della realtà contemporanea cercando di analizzarlo nella sua complessità e, al tempo stesso, dividendolo anche in zone: zona architettura, zona città, zona verde, zona teoria, zona storia e zona futuro. All’interno di queste zone si trovano vari saggi/articoli che trattano ognuno un particolare tema: sono analizzati alcuni problemi di Milano, le Chinatown, problemi di rifiuti e inquinamento, apocalittiche città del futuro, rivolte universitarie del passato e progetti come “Roadmap” per il futuro. Ciononostante GIZMO attraverso questo libro non vuole fungere da “scuola” o indicare “nuove tendenze”. Vuole soltanto cercare di avere un ruolo positivo concludendo il libro con una sezione intitolata “l’architettura che mi piace”.

Ciò che raccorda in maniera essenziale le diverse “zone” del libro è la consapevolezza che questi problemi sono causati da uno scontro generazionale.  MMX s’impegna così in modo concreto nell’abbattere gli steccati generazionali, affiancando nelle sue pagine contributi di esponenti della generazione “di mezzo” a quelli di giovani ricercatori e di studenti universitari.

 

Giudizio Complessivo: 7 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Tasco Charlotte

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013

 

 

Autori

Marco Biraghi è nato a Milano nel 1959. Ha studiato architettura al Politecnico di Milano. Negli anni successivi, sempre a Milano, ha scolto attività di dottorato e post-dottorato, e ha collaborato con la Facoltà di Architettura di Genova e con lo IUAV di Venezia. Dal 2003 insegna Storia dell’architettura contemporanea presso il Politecnico di Milano. Ha collborato con diverse riviste di architettura e fa attualmente parte del comitato di redazione di “Casabella”. E’ inoltre consulente della casa editrice Einaudi per il settore architettura.

Gabriella Lo Ricco, architetto, insegna Critica dell’architettura alla Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano. Nel 2010 ha conseguito presso lo stesso ateneo il titolo di dottore di ricerca con una tesi incentrata sull’opera di Luca Meda.

Silvia Micheli, architetto, insegna Orientamenti dell’architettura nella città contemporanea alla Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano ed è visiting academic presso la University of Queensland, Australia. Nel 2007 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica all’Università IUAV di Venezia.

 

SEZIONI

ANTEFATTI                                                                         

Alessandro Mendini ovvero la gerontocrazia italiana – Silvia Micheli

Nel 2010 Alessandro Mendini torna a firmare la rivista Domus in seguito al triennio di Flavio Albanese e contemporaneamente viene dichiarato che dal 2011 il nuovo direttore sarà il più giovane architetto Joseph Grima.

Prima del 2010, in particolare negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta Mendini è stato un protagonista nell’editoria italiana e, nonostante in passato abbia scritto una pagina importante della rivista Domus, ci si chiede perché sia stato affidato proprio a  lui il compito nel momento in cui il periodo storico e la rivista stessa necessitassero di un cambiamento e di un’evoluzione. È facile pensare che questo cambiamento fosse temuto e che il suo nome fosse, nell’ambito editoriale, in ogni caso una garanzia: ciò è una  testimonianza del fatto che in Italia persiste un rigido sistema gerontocratico resistente al cambiamento.

La facoltà di architettura è occupata – Fiorella Vanini

Nel febbraio del 1963 la Facoltà di Architettura di Milano viene occupata dagli studenti, gli studenti lottano per un ordinamento universitario democratico, lottano per un’università come centro di elaborazione culturale autonoma e responsabile di fronte alle esigenze della società. Questo avvenimento inaspettato attira la stampa nazionale e internazionale oltre all’appoggio di numerosi professori.

L’inadeguatezza della struttura accademica appare evidente già a partire dagli anni Cinquanta, in seguito all’inizio del 1963 gli studenti cercano un confronto con i docenti, alcuni dei quali rifiutano. A febbraio inizia l’occupazione: gli occupanti riassumono le loro richieste in 10 punti. Questa tendenza molto presto esce dalle mura della facoltà e si diffonde in altri enti universitari fino a marzo dello stesso anno in cui gli studenti occupanti prendono atto dell’istituzione della Commissione paritetica sgombrano la Facoltà. Si adotta  un programma di sviluppo della facoltà redatto da Gio Ponti sulla base delle rivendicazioni degli studenti riassunte nei 10 punti che porterà nell’anno successivo ad ottenere alcune delle richieste. Successivamente però queste conquiste si rivelano momentanee e parziali, se non addirittura illusorie e devono passare ancora alcuni anni perché esse vengano consolidate.

Oggi di quelle conquiste non ne rimane praticamente nessuno, ma rimane il modello di azione.

 

ZONA CITTA’

Chinatown alla conquista del pianeta: connivenza o seduzione? – Linda Stagni

Oggi si può riscontrare un numero considerevole di Chinatown diffuse a livello planetario. Questo fenomeno conferma il processo di globalizzazione assunto dalla città contemporanea e il ruolo fondamentale che occupa attualmente la Cina. Inizialmente il termine Chinatown si riferiva a una dimensione circoscritta, mentre oggi indica un “altro” diffuso e complesso con una prevalenza di attività e residenti cinesi ma che, nel contempo, è ibridato e generato anche nella cultura nella quale va ad insediarsi. Il ristorante cinese è esemplificativo di questo concetto: prodotto dalla cultura immigrata ma destinata alla cultura ospitante. Altro esempio è il luogo del tempo libero: questo, utilizzato dagli abitanti della città ospitante (shopping, turismo), coincide con il luogo del lavoro cinese. Attualmente è possibile affermare che le Chinatown sono presenze reali che agiscono, intervengono e si muovono all’interno della parte di città loro concessa trasformandola in modo concreto. Tuttavia non va inteso come un processo di colonizzazione subita e passiva da parte dell’occidente, quanto piuttosto come un’accondiscesa e lenta contaminazione che spesso non ha permesso agli “ospiti” di valutarne gli esiti, ma  ciononostante lascia presagire che sia potenzialmente in grado di “conquistare il mondo” dato il suo sistema resistente e allo stesso tempo versatile.

Il progetto Superstar: A Mobile China Town  dei Mad (architetti con sede a Pechino ma di formazione prevalentemente occidentale), presentato alla XI Biennale di Venezia, coglie a pieno le peculiarità del sistema precedentemente descritto.

I nuovi Zar di Mosca. Tra luci e ombre un viaggio nella “nuova” capitale Russa – Edoardo Rovida

La “nuova rivoluzione” cioè il processo evolutivo che sta coinvolgendo Mosca, è riconducibile a due eventi: l’elezione di Jurij Luzkov come sindaco di Mosca nel 1992 e quella di Vladimir Putin come primo ministro nel 1999. L’alleanza di queste due persone storiche ha permesso un progetto di restyling culturale, architettonico e sociale e la sua attualizzazione. Infatti Mosca e la Russia sono da 10 anni in un processo di profonda trasformazione che ha come obiettivo di portare questa città e nazione al livello delle piu grandi potenze mondiali: come mezzo per effettuare questo cambiamento è stata scelta l’architettura. Tuttavia non è puacevole constatare che questo processo sta avvenendo attraverso una profonda cesura con il passato e la storia di questo paese e cercando di “omologarsi” allo storico nemico americano.

Inoltre alla base di questo cambiamento c’è una sostanziale differenza: questa rivoluzione, a contrario di quelle storiche precedentemente avvenute, è voluta da una grandissima maggiornarza della popolazione e non solo da un ristretto numero di persone.

Per realizzare questo processo sono stati coinvolti i piu importanti architetti europeri e americani ai quali veniva proposto di dare libero sfogo a fantasia e intraprendenza. Da allora sono sorti: la Torre 2000, l’Expocenter di Zaha Hadid, la Federation Tower di NPS Tchoban Voss, la Russia Tower di Norman Foster, ecc. dopo 10 anni di incessanti cambiamenti la Russia appare effettivamente completamente diversa, ma il prezzo pagato per questa rinascita è tra i piu alti che una città possa sostenere: la progressiva rimozione della sua storia e delle tracce della sua memoria come l’hotel Moskva, la fabbrica di cioccolato e l’hotel Rossija. Ovviamente questo fenomeno non ha lasciato indifferenti le autorità di salvaguardia del patrimonio che per il momento sono riusciti a bloccare la distruzione della grandi opere storiche, ma cosa ne sarà delle opere minori di altrettanto pregio e valore storico?

ZONA ARCHITETTURA

Milano Centrale. Opera di resistenza – Silvia Micheli

Le caratteristiche architettoniche di questa stazione, costruita a inizio Novecento come simbolo del progresso, risiedono nella grande tettoia di ferro e vetro che “fa sentire la tensione del viaggio”. Rispetto alla forza espressiva di questo intervento emergono le debolezze del recente intervento di riqualificazione approvato nel 2008. Questo progetto, elaborato dall’architetto Tomino, ha come obiettivo la conversione di questa in “centro commerciale” per ammortizzare i costi gestionali. Questo progetto e altri elaborati dallo stesso architetto per Grandi Stazioni, si basano su un unico concept ad un alto grado di flessibilità , da “adattare” alle 13 maggiori stazioni italiani facenti parte del progetto. In questo modo le peculiarità architettoniche delle singole stazioni (derivanti dall’epoca di costruzione, dal contesto in cui sono inserite, ecc.) vengono programmaticamente trascurate per giungere ad un omologazione generale. Questo è ciò che è avvenuto appunto a Milano Centrale. La biglietteria all’ingresso è stata sostituita da grandi cartelli pubblicitari (che causano inquinamento acustico e visivo) e i piani interrati sono stati occupati da un gran numero di negozi. Ciò ha complicato i percorsi, diminuito le sale di attesa e spostato in luoghi secondari la biglietteria e gli infopoint costringendo cosi il viaggiatore ad attraversare “il centro commerciale” assecondando cosi gli obiettivi progettuali. A questo invasivo intervento fortunatamente l’edificio di Stacchini compie una straordinaria opera di resistenza architettonica.

Herzog & De Meuron o delle preesistenze “ideali – Marco Biraghi

L’idea della Fondazione Feltrinelli è buona: conferirebbe a Milano un luogo in cui leggere, parlare, chiacchierare e oziare che non sia una biblioteca o un parco. Questo a Milano manca. Ciononostante l’idea esecutiva non è delle migliori poiché gli architetti Herzog & De Meuron a giustificazione della forma portano la tradizione gotica e le cascine lombarde. Non sarebbe meglio evitare questi rimandi e concertrarsi su un’architettura “bella”?

Passato e presente. Un edificio di Aldo Rossi a Berlino – Gabriella Lo Ricco

L’edificio per uffici progettato da Aldo Rossi a Berlino riassume alcune delle dinamiche contemporanee che sottendono la costruzione dell’architettura. Comissionato nel 1992 il progetto era chiaro: posizionato in un punto strategico della città, l’obiettivo del progettista era quello di riqualificare il nodo stradale e il suo intorno attraverso un edificio la cui definizione architettonca trae i suoi caratteri da rielaborazione di alcuni dei monumenti che contraddistinguono Berlino (torre all’angolo, corpi allineati alle strade, corte interna parzialmente percepibile dall’esterno). Per una serie di motivi il progetto di Rossi non è stato ultimato ed è stato protagonista di numerose vicissitudini: il progetto viene venduto numerose volte e rielaborato i modo da perdere tutta la ricchezza di contenuti che ne costituivano l’identità fino, nel 2006, ad essere omologato come albergo.

L’altra sede. Verso una nuova identità milanese – Silvia Micheli

Il 23 gennaio 2010 è stata inaugurata la nuova sede della Regione Lombardia frutto della collaborazione progettuale di tre studi di architettura. Il progetto comprede 4 edifici curvilinei di nove piani fuori terra sovrastati da una torre di 161 metri. Le forme di questi edifici hanno alla base motivazioni piuttosto deboli: dicono essere frutto dell’intersezione di 22 cerchi e riprendere le curve del monti, delle valli e dei fiumi della Lombardia. Inevitabile è il confronto con il “vecchio” palazzo della Regione Lombardia , cioè il grattacielo Pirelli. Il nuovo grattacielo è vero che supera di qualche decina di metri quest’ultimo ma non presenta le caratteristiche e innovazioni, sia tecnologiche sia architettoniche, che hanno fatto del grattacielo Pirelli un capolavoro della storia dell’architettura come, ad esempio, evita il problema dell’attacco a terra della torre siccome va ad innestarsi negli edifici curvilinei. La nuova sede manca quella spregiudicatezza costruttica che caratterizza il “Pirellone”.

Formigoni inoltre ha voluto che l’altra sede diventasse sia un luogo di incontro della cittadinanza sia uno spazio di connessione tra le differenti parti della città: gli architetti per adempire a questa funzione hanno pensato ad un vuoto urbano che trova il suo più naturale riferimento nella Galleria Vittorio Emanuele.

Citylife. “Pizza, amore e mandolino”Florencia Andreola

Citylife è un progetto per l’Expo di Milano del 2015 firmato dai più importanti architetti internazionali tra i quali Zaha Hadid, Arata Isozaki e Daniel Libeskind. Questo progetto, nato dal concorso emanato nel 2004, prevede la realizzazione di case di lusso, tre grattacieli “vertiginosi”, una grande piazza rialzata con gallerie commerciali, il MAC e il MUBA. Questo progetto tuttavia non esprime un “nuovo modo di vivere la città” come inizialmente voleva far credere, ma al contrario è possibile notare come sia stato progettato in modo superficiale e discontinuo tra le parti che lo compongono: testimonianza di ciò è il fatto che la progettazione degli appartamenti è stata riaffidata ad architetti locali per renderli vendibili. Tuttavia lo stato di avanzamento dei lavori e la mediocrità della progettazione fa salire il timore per una nuova santa Giulia. Infatti il livello di avanzamento lavori al 2010 prevedeva solo alcuni immobili per appartamenti e le fondazioni di una delle tre torri.  Questo progetto dovrebbe rappresentare una nuova parte di città innovativa e aperta a tutti ma il mero interesse e l’estrema volubilità degli investimenti che hanno portato alla sua progettazione a parziale costruzione, gestiti solo da banche e società assicurative che non hanno a cuore il bene collettivo, stanno portando al fallimento della città come luogo condiviso.

Il cemento diventò trasparente – Alberto Anselmi 

“Il cemento diventò trasparente” è il titolo dell’articolo pubblicato nel 2008 sul corriere della Sera riguardo il Padigione italiano per l’Expo di Shanghai.

In Italia l’uso del cemento risulta diffuso in modo capillare: questo perchè ottimizza il rapporto tra i costi di progettazione e la realizzazione da un lato, e i vincoli imposti dalla normativa dall’altro. Tuttavia, escludendo il magistrale uso del cemento di Pier Luigi Nervi, in Italia oggi si tende a nascondere la sostanza di cemento armato degli edifici, ad esclusione di alcuni prestigiosi progetti firmati per la maggior parte da architetti stranieri come il MAXXI di Zaha Hadid e la galleria di Punta della Dogana di Tadao Ando.

Le ragioni di tale progressiva scomparsa sono rintracciabili in una scelta di gestione del progetto. La struttura ormai è affidata esclusivamente a strutturisti, di conseguenza questi creano strutture pressochè simili indipendentemente dalla destinazione finale dell’edificio e poi sta agli architetti, divenuti quindi stilisti, a caratterizzare l’involucro dello stesso.

Di conseguenza, tornando al Padiglione itliano per L’expo di Shanghai, è sicuramente giusto che esso sia in cemento armato perchè rappresenta la tipologia costruttiva prevalente in Italia, anche se nel paese stesso non è esplicitata.

 

ZONA VERDE

Boeri verde – Riccardo Villa

Da qualche tempo nei progetti di Boeri Studio si può riconoscere una contaminazione verde. Ne sono un esempio il Metrobosco, il CERBA e il Bosco Verticale: questi, insieme ad altri, richiamano la naturalità e l’ecologia e si declinano in svariate modalità. Quella del “verde” sembra essere una tendenza dell’ultimo periodo in quanto sembra essere il miglior rimedio ai mali della città contemporanea e l’idea del bosco verticale era gia stata anticipata da Rem KoolhaasinDelirious New York”.

Alla fine, sia nel Metrobosco che nel Bosco verticale, il verde ha più il ruolo di “pelle”, di “confine” tra pubblico e privato, tra campagna e città. Nel bosco verticale diventa un camouflage come ce ne erano stati tanti altri prima ma solamente piu complesso e variabile con le stagioni.

I critici, riguardo questo intervento, si sono domandati se questa “pelle verde” non abbia solo lo scopo di ingentilire un intervento massiccio e se un’architettura verde, come questa vuole essere, sia necessariamente un’architettura ecologica e sostenibile a risposta di due temi assolutamente attuali.

L’invincibilità dell’automobile – Marco Biraghi

In un dossier su “La Repubblica” del 2006 è emerso che in Italia 598 abitanti su 1000 hanno una macchina. Questo dato è superato solo da paesi come gli Stati Uniti, l’Australia e il Lussemburgo. Tutti gli altri paesi hanno un dato inferiore. Inoltre è emerso che nelle città compatte e dense la media è nettamente inferiore alle città diffuse e disperse. Ad esempio NY presenta una media di più della metà inferiore rispetto a quella di LA. Questa regola fa eccezione in Italia dove città come Roma e Milano, paragonabili per struttura urbana e densità a Madrid, Berlino e Londra, presentano un rapporto tra abitanti e automobili superiore del doppio. I principali problemi italiani che causano questi dati sono l’inefficienza dei trasporti pubblici e una generalizzata inciviltà. Il primo problema è di natura politica e amministrativa, mentre il secondo è, purtroppo, di natura culturale. In Italia si crede ancora che la macchina sia espressione di un certo status sociale, quando in realtà nella società contemporanea questa tendenza di è capovolta.

ZONA TEORIA

Denaturalizzare la gentrificazione – Mara Ferreri

Prima di tutto con il termine “gentrificazione si indicano i cambiamenti socio-culturali in un'area, risultanti dall'acquisto di beni immobili da parte di una fascia di popolazione benestante in una comunità meno ricca. Tale investimento può avvenire tramite l’acquisto e la ristrutturazione di immobili preesistenti (gentrificazione classica), oppure attraverso un processo di nuove edificazioni chiamato “new built gentrification”. La materia che studia queste tipologie di fenomeni è la geografia attuale che, infatti, non è più considerata una scienza naturale, ma si occupa di descrivere la “natura” degli spazi, denaturalizzare e analizzare i processi, ecc.

Il geografo Neil Smith propone una riflessione sulla diffusione e generalizzazione di un processo simile che aveva coinvolto porzioni di città come New York e Londra negli anni Sessanta e Settanta. In seguito ponendo la sua attenzione agli anni Novanta individua 5 importanti novità: innanzitutto è da considerare la diffusione del fenomeno dal centro alle periferie, non solo lateralmente (ossia dalle città nordamericane e dell’Europa Occidentale alle grandi metropoli del sud globale come San Paolo e Shanghai), ma anche verticalmente lungo la gerarchia territoriale che va dalle capitali economico-culturali a più modeste città imprigionate in reti di competizione infraurbana. Successivamente la trasformazione del ruolo delle amministrazioni locali, che da organi regolatori del mercato diventano parte integrante di partnership pubblico-private. Inoltre è fondamentale il ruolo giocato dalle operazioni  del mercato finanziario internazionale che sono sempre più slegate dagli spazi d’uso quotidiani prodotti dai loro investimenti. In seguito c’è da aggiungere una generalizzazione settoriale, ovvero l’aggiunta nel progetto di elementi, quali esercizi commerciali, verde, ristoranti, pensati in funzione delle esigenze della classe che vi andrà ad abitare. Infine va considerata la diffusione di strategie per limitare quelle forme urbane di contestazione e resistenza secondo un modello di governance territoriale.

Questi 5 elementi hanno modificato drasticamente l’ambito in cui l’architettura contemporanea deve agire.

ZONA STORIA

Appunti sulla storia e sull’architettura – Vittorio Pizzigoni

1.     “ogni generazione ha il diritto di scrivere la propria storia”: ha il diritto si scegliere il proprio argomento, il proprio percorso. Molti di questi scompariranno mentre altri rimarranno indelebili per lungo tempo. Infatti solo quando una storia racconta il proprio tempo ma risponde alle domande di altri tempi può rimanere viva.

2.     “La storia è critica” (Argan) perché inevitabilmente esprime un giudizio riguardo all’oggetto che riguarda. Tuttavia il compito dello storico non è solo quello di giudicare ma anche di far progredire la conoscenza attraverso un giudizio che fa proprie anche le posizioni a lui contrarie. Se la storia è un attocritico, l’architettura condivide con essa il medesimo destino.

3.     Risulta quasi impossibile separare l’architettura dalla sua storia, sia perche gli storici usano molti strumenti propri dell’architetto (disegno) sia perché gli architetti non possono fare a meno di riferirsi alla propria disciplina. Molto prima che gli storici si occupassero di architettura, infatti, erano gli stessi architetti che scrivevano delle loro opere, come oggi la maggior parte dei critici d’architettura e stata prima architetto.. per gli architetti è impossibile separarsi completamente dalla propria tradizione, anche i Movimenti pùinnovatori (come quelli dell’inizio del Novecento) hanno ripreso una storia alternativa.

4.     L’architettura non si può trasportare né collezionare. Inoltre il suo valore è molto simile al suo valore materiale: dipende dal sito, dai materiali e in minimaparte dall’architetto. La storia dell’architettura non ha influenza dul valore economico dell’edificio, ma al contrario è spesso sede di conflitti politici, sociali ed ideologici e poi queste diventano più importanti della forma stessa dell’edificio.

5.     Negli ultimi anni la storia dell’architettura ha subito un notevole sviluppo: si è rivolta una maggiore attenzione agli aspetti costruttivi e alla figura dell’ingegnere oltre a quella del singolo architetto. Questa sembra una risposta alle richieste del mondo contemporaneo.

La storia della spirale. Ovvero la spirale della storia – Marco Biraghi

“Il tempo e l’architetto” di Francesco Dal Co, analizza il Guggenheim di New York, una delle architetture più celebri e criticate del secolo scorso.

Lo fa ricostruendone minuziosamente la storia, i presupposti, i problemi con la committenza, ecc, prendendo in considerazione sia i problemi materiali e costruttivi, sia quelli interpersonali e spicologici. Lo fa attraverso una prosa elegante, un discorso pertinente e ricco di proprietà. In un unico punto l’autore sembra perdere l’aderenza dimostrata in tutto il resto del libro: nel momento in cui invita i lettori a rivalutare  quel luogo comune in base al quale vi era un legame diretto tra le opere wrightiane con il contesto circostante e la natura.

Questo sembrerebbe un espediente per percercare un facile applauso ma anche significherebbe sottovalutare la reale concezione della natura per Wright. Ifatti Wright esprime il suo distacco dalla città e non dalla natura in quanto in quel particolare contesto non vi è alcuna natura che possa “riconoscere” come tale e con cui conseguentemente possa rapportarsi.

ZONA FUTURO

Roadmap 2050. Ecologia e Geopolitica – Matteo Vegetti

La questione energetica rappresenta oggi una questione di primaria importanza. L’European Climate Foundationha affidato al grupp OMA il compito di elaborare un progetto strategico volto a individuare la strada per una riduzione dell’80% entro il 2050 delle emissioni inquinanti in Europa.

L’European Climate Foundation ha scelto il gruppo capitanato da Koolhaas perché desidera un esercizio di pensiero radicale, uno sfrozo immaginato e creativo senza immediate preoccupazioni di fattibilità, nonostante poi questo sia un architetto, non abbia mai mostrato nessun interesse per la questione energetica (al contrario è un grande promotore dell’aria condizionata) e i suoi scritti siano una possibile variante dell’immoralismo nietscheziano.

Il progetto Roadmap 2050 si basa su un’idea la cui efficacia è pari alla sua semplicità: il processo di unificazione europea, fallimentare dal punto di vista politico-culturale, potrebbe attuarsi sotto la spinta della concreta necessità di cambiamenti e strategie energetici: OMA propone un campo di sinergie transnazionali basato sullo scambio delle energie rinnovabili nel quale l’asse Nord-Sud risulta fondamentale.

Quindi il territorio europeo viene scomposto in regioni caratterizzate dal tipo di energia rinnovabile che sono in grado di produrre, collegandoli al sistema reticolare dei flussi dai quali siamo immersi e dipendenti ignorando, ironicamente, il contesto, le identità storiche e la cartografia politica europea.

L’utopia che Roadmap 2050 rappresenta è gradualmente attuabile a patto che l’Europa vi riconosca la propria più essenziale priorità.

Le  città post-apocalittiche – Franco Marineo

Immaginare un futuro non è questione di poco conto. Costruire lo spazio urbano in un tempo futuro è ancora più difficile.

Il cinema assume, in questo ambito, un ruolo quasi divinatorio in quanto continua a vedere in anticipo spazi e luoghi che ancora non sono. Questo lascia un po attoniti in quanto oggi il cinema mainstream sembra far coincidere il futuro con un tempo che segue un avvenimento traumatico che ha quasi azzerato l’umanità cosi come la conosciamo: questi temi spesso denunciano le linee di frattura più probabili. È come se il futuro non possa più essere connotato da speranza e utopia.  Il cinema americano è, in questo ambito, quello capace di spostare un maggiore volume di immaginario, di intercettare paure e ansia globali. Alcuni esempi sono: “Apocalyptic Dread”, “American Film at the turn of the Millennium”, “Codice Genesi”, “Io sono leggenda”, “The Road” e molti altri.

Però forse la più angosciante città che sembra aver raggiunto il presente è l’insiemedi new town cotruite per i terremotati abruzzesi e mostrate in “Draquila”: la dislocazione della città distrutta dal sisma porta alla polverizzazione del tessuto urbano e a nuove forme di inclusione coatta. Non è fantascienza ma sepmlicemente un’inchiesta su cioò che non sappiamo di avere sotto gli occhi.

 

L’ARCHITETTURA CHE MI PIACE

Guillermo Vàzquez Consuerga, Museo nazionale di Archeologia Marittima

Cartagena, Spagna (1998-2007)

Luca Lanini

Il tramonto del franchismo, la rinnovata importanza data alle autonomie locali, alcune rilevanti occasioni internazionali hanno rappresentato le premesse del rinascimento dell’architettura iberica. Nasce così la sequenza dei Musei tra i quali il Centro di Ricerca Marittima e il Museo Nazionale di Archeologia Marittima. L’edificio che ospita il Centro presenta un rigidissimo andamento lineare, parallelo all’andamento del molo; l’altro, una grande teca vetrata, procede con un andamento spezzato suberndo anche torsioni sul piano verticale. Tale deformazione permette la creazione di un piazzale di accesso che risucchia lo spazio urbano.

Entrambi gli edifici sono realizzati in una struttura mista in acciaio e cemento armato pigmentato di una tonalità affine alle arse dette della Murcia.

 

Herzog & De Meuron, Museo de Young

San Francisco (2000-2005)

Nato per sostituire la storica sede di Louis Christian Mullgardt ospita raccolte di arte Americana e Africana.

L’edificio è sostanzialmente composto da una serie di dita intrecciate alte tre livelli espositivi che si rincorrono e generano spazi da cui entra la luce e dove si aprono dei giardini. Gli spazi interni sono molto lineari con un grande vano dostributivo centrale che lavora con doppie altezze.

Questo edificio viene definito bello, armonico e potente. Bello perché è un sapiente e raffinato lavoro dell’ingegno dell’uomo, perché trova incastri e dettagli mirabili nelle complesse facciate, perché infila spazi, connette situazioni, taglia e viene tagliato dalla luce in una costante sensazione di perfezione. Armonico perché esiste un delicato equilibrio tra le forme, che rendono il museo un oggetto a reazione poetica di rarissima forza, e la leggerezza della struttura.

Potente perché dall’orizzontalità complessiva emerge una torre di 9 piano che contiene gli uffici e permette una spettacolare vista sulla città.

Grafton Architects, Ampliamento dell’Università Bocconi

Milano (2000-2007)

Manuele Salvetti

L’ampliamento dell’Università Bocconi è un elegante edificio che tenta di interpretare le caratteristiche tipologiche e urbane della città. L’edificio è in gran parte chiuso all’esterno ma alcuni varchi invitano il passante al suo interno, in cui vi è un affastellarsi di percorsi urbani e una complessa sovrapposizione di piani compenetrati. .

L’edificio si presenta su strasa come un gicantesco blocco di pietra.

Rem Koolhaas (OMA), Sede della CCTV

Pechino 2002-2010

Silvia Micheli

La complessa forma “anulare” costituita da due torri imponenti raccordate da sbalzi arditi e il suo rivestimento uniforme fanno di questo oggetto un elemento unitario che si contrappone alle torri convenzionali corcostanti.

Le dimensioni sono colossali ma si adeguano bene alla scala urbana della città.

La grandezza dell’edificio è direttamente proporzionale agli sforzi economico-politici che la Cina sta compiendo per aprirsi verso l’Occidente e la sua forma “rapace” testimonia il carattere della nazione e l’importanza dello strumento informativo televisivo nelle società contemporanee.