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autori

 

IÑAKI ÁBALOS

titolo

IL BUON ABITARE.

Pensare le case della modernità

editore

MARINOTTI EDIZIONI

luogo

MILANO

anno

2009

 

 

lingua

SPAGNOLO traduzione a cura di Bruno Melotto

 

 

 

 

Argomento e tematiche affrontate

Una visita guidata attraverso un piccolo gruppo di case, reali o immaginarie, attraverso le quali si può descrivere il panorama del XX secolo, studiando le relazione tra le diverse modalità dell’abitare.

Non è un manuale di architettura che esprime le riflessioni sulle tecniche progettuali, ma un volume attraverso il quale vuole solo far capire ed esprimere tutte le riflessioni sulle qualità dell’abitare. Il linguaggio è molto semplice e non usa termini specifici e i riferimenti appartengono tutti più alla cultura generale che all’ambito disciplinare.

  

Giudizio Complessivo: 8 (scala 1-10)

Scheda compilata da: Mattia Azzarito

Corso di Architettura e Composizione Architettonica 2 a.a.2012/2013

 

Autore

Iñaki Ábalos - architetto spagnolo, progettista e teorico, docente universitario all'ETSAM (Madrid), negli Stati Uniti a Princeton, alla Columbia University e alla Cornell University, inoltre presso l'Architectural Association (Londra) e l'EPFL (Losanna).

Lavora in uno studio associato a Madrid con Herreros ed è autore di molte pubblicazioni.

                Iñaki Ábalos

 

CAPITOLI

Capitolo 1 – La casa di Zarathustra

In questo primo capitolo ci si trova subito a confrontarsi con un modello che non ha mai raggiunto, così come dice l’autore, un consenso maggiore rispetto a molte altre case della modernità, si tratta infatti delle case a patio di Mies van der Rohe. Mies disegna queste case senza che nessuno gliele abbia commissionate e lo fa negli anni più difficili, quando rinunciò alla famiglia che aveva creato e questo portò in lui un cambiamento morale e professionistico. Qui l’autore si pone le domande chiave: “perchè le progetta? per quale nucleo?” partendo così nell’analisi. Innanzitutto le paragona ad altri modelli nati in quegli anni da altri architetti notando subito, anche solo dall’arredamento, che le case a patio sono nate per ospitare una sola persona, anche perchè differenti dalla ormai classica tipologia di creare alloggi sistematizzabili a basso costo per famiglie. Nei disegni si può notare anche che tutte le case a patio sono diverse l’una dall’altra, non andando così a creare un elemento riproducibile in serie, tentando anzi di individuare la creazione di un “sistema” che possa permettere con piccole variazioni spaziali il massimo risultato con differenti soluzioni. Le case a patio per come vengono concepite fanno credere che siano situate nella periferia della città in quanto l’abitante, pur essendo singolo, non vuole allontanarsi dalla vita moderna e caotica della città ma cerca solo un rifugio nel quale potersi isolare e sviluppare il proprio ego. Si percepisce di fatto l’eco del superuomo nietzeschiano. Analizzando ancora le case a patio si finisce per individuare e prendere come esempio la casa a tre corti, si nota che in essa lo spazio è libero e i pochi muri inseriti siano solo un elemento di definizione dell’utilizzo dello spazio, inoltre è massimo il rapporto con l’esterno in quanto le aperture sono notevoli. Nella definizione dello spazio esterno ci si rende subito conto che i giardini creati siano solo degli spazi verdi non vivibili ma esclusivamente da guardare. In sintesi si parla di una casa urbana pensata per il singolo uomo operaio che cerca un riparo per sviluppare il proprio ego, in relazione con l’abitante per dimensioni e carattere.

 

 

Capitolo 2 Heidegger nel suo rifugio: la casa esistenzialista

In questo secondo capitolo il modello preso in considerazione è la piccola capanna di Heidegger. L’analisi inizia con una descrizione della casa presa dal saggio proprio di Heidegger dal titolo “Perchè restiamo in provincia?”, da qui si inizia subito a descrivere la situazione di vita del filosofo e ci si accorge subito che non si tratta più di una vita solitaria e alla continua ricerca dell’ego ma si tratta già di una famiglia in quanto lui in questa casa vive con la moglie. Nel proseguo della descrizione si nota che la casa a differenza della casa a patio di Mies presenta una notevole quantità di oggetti utilizzabili nella vita comune, pur sempre senza la presenza di elementi tecnologici. Si nota anche che nella casa esistenzialista vive sia il soggetto che medita su se stesso che la meditazione stessa, infatti la moglie sembrerebbe essere l’elemento aggiunto della vita del filosofo. Questa meditazione viene effettuata però allontanandosi dalla città infatti la piccola casa si trova immersa in una selva. Da qui si passa ad analizzare la concezione di Heidegger tramite la suddivisione di tre argomentazioni che risultano essere: il significato della parola “bauen” (costruire), una immagine euristica descrivendo un ponte e in terzo luogo un insieme di foto che ci permettono di capire lo stile di vita del filosofo. Il primo punto lo articola definendo la differenze tra costruire e abitare, dicendo che molte volte vengono intese come uguali, nel secondo regala una immagine metaforica del ponte unendo Terra, Cielo, Divini e Mortali mentre nel terzo ed ultimo puntosi nota tramite le foto che il filosofo vive in modo tranquillo e spensierato accanto alla figura che ama e prendendosi cura di ciò che lui ha creato e che lo circonda. Riassumendo il tutto quindi la casa esistenzialista è intesa come un modello all’interno del quale vive un uomo padrone di ciò che lo circonda e vive una vita all’insegna dell’isolamento dal caos cittadino.

  

Capitolo 3 – La macchina per abitare da Jacques Tati: la casa positivista

In questo terzo capitolo l’autore ha voluto mettere a confronto le due realtà che si possono notare nel film di Jacques Tati intitolato “Mon oncle” ovvero Casa Arpel e Casa Hulot. Gli stili di vita di queste due famiglie sono al quanto differenti; i primi, gli Arpel, vivono a Parigi in una casa fredda e tecnologica, la loro case deve essere un ambiente unico dove la famiglia non può avere momenti di privacy ma deve ogni elemento avere sempre un rapporto aperto con la famiglia e gli eventuali ospiti immerso in questa casa che diventa una sorta di cubo mal funzionante. Gli arredi della casa sono tutti molto tecnologici e non ci sono affatto degli oggetti che vengano utilizzati al massimo delle loro capacità. le grosse aperture che si possono notare sulla casa vengono utilizzate solo per permettere l’ingresso della luce perchè gli inquilini sono prigionieri di questa vita tecnologizzata ed in aggiunta a ciò vi è un forte senso di igiene. La degli Casa Hulot, invece, è un piccolo miscuglio di elementi uniti senza una forma precisa che vanno a regalare un’impressione sbadata della famiglia; il signor Hulot gradisce vivere la casa condividendo tutto con la famiglia ma al tempo stesso gradisce avere momenti di privacy e vivere la città non essendo prigioniero di nulla e non avendo nessun problema di vita quotidiana e vivendo in modo semplice senza essere schiavo di una ricerca costante per un folle igiene. Questo differenza di carattere l’autore la fa vivere al figlio degli Arpel che sentendosi più libero di se stesso decide sempre di vivere e di fare compagnia allo zio Hulot. Il comportamento del bambino fa notare come la vita più mondana degli Hulot sia di gran lunga preferibile e piacevole rispetto a quella degli Arpel. Il capitolo si addentra ancora nella descrizione tramite delle foto. Riassumendo l’autore ha voluto dare l’immagine della casa positivista come il luogo dove può vivere una famiglia intera che non vuole estraniarsi dal mondo e che vuole vivere ciò che lo circonda senza dover rifiutare alla pravicy e senza dover dar conto a nessuno.

 

 

Capitolo 4 – Picasso in vacanza: la casa fenomenologica

A differenza delle altre case che nascevano attorno ad una certa predisposizione di vita la casa fenomenologica si basa su una ripercorrenza del passato e sulla voglia di viverla da bambino. In questo capitolo si analizza la villa di Picasso a Cannes. Per poter svolgere questa analisi l’autore si basa su delle foto scattate nelle stanze della villa notando immediatamente come la casa sia piena di oggetti risalenti al passatto di chi la abita e senza una predisposizione precisa. La foto del salone piena di quadri poggiati ovunque anche sul divano regala una simpatica immagine che trasmette la voglia di voler viverla. Questo ricorda molto il caos che un bambino crea con una sola differenza: il bambino lo crea involontariamente qui abbiamo la ricerca per questo effetto. La ricerca verso la formazione di uno spazio fenomenologico si basa sulla voglia di creare una intensità di legame personale con lo stesso, tanto emozionale quanto intellettuale. La percezione fenomenologica la si può definire in due tipi in relazione con io-mondo; il primo di natura istantane, il secondo basato sul carattere temporale attivo del ricordo. Su questo argomento si imbattono molti filosofi e nel capitolo vi sono alcune citazioni.

 

  

Capitolo 5 - Warhol at the Factory: dalle comuni freudo-marxiste al loft newyorkese

Questo capitolo si basa sulla vita descrizione delle vita di Warhol nella Factory passando prima attraverso un’analisi delle comuni. Le comuni erano delle società all’interno delle quali si era liberi di fare e di comportarsi nel miglior modo cui uno credeva, risultavano essere aggregate in degli spazi enormi all’interno dei quali si facevano tutte le attività possibili. Warhol nella Factory si comporta esattamente nello stesso modo, la differenza sostanziale risulta essere la collocazione di questo luogo, era l’ultimo piano di un edificio produttivo risultando essere così uno spazio aperto senza limitazioni, andando così a clonare il nome di questo spazio con quello più comunemente usato “loft”. In questo spazio l’unità di misura diventa il metro cubo e non più i metri quadrati. Le pareti della Factory, i pavimenti e tutto ciò che era all’interno risultava essere color argento. Gli arredi, proprio come nelle comuni, diventano tutti elementi di riciclo, tutto il materiale che veniva scartato dalle case veniva riutilizzato all’interno della Factory. In essa ogni sera si organizza una festa, ma non solo anche concerti, balletti, mostre e quant’altro; questo luogo diventa uno spazio di ritrovo, di associazione e divertimento, e anche un luogo per gente facoltosa e molto elegante. Non vi è privacy. La descrizione di questo spazio porta l’autore a definire la creazione del “loft” come “appropriazione” di ciò che è scarto. La Factory fa rendere fiero Warhol in quanto, gli permette di vivere la sua New York al massimo delle possibilità su questo argomento lui stesso stende una affascinante descrizione della sua New York. Nel capitolo vengono citate le definizioni di comuni di Marx, Freud e Reich. Marx: la comune è una logica conseguenza della lettura rivoluzionaria della società. Freud: la comune non permette all’uomo freudiano di realizzarsi socialmente e quindi si risolve in una traslazione verso il passato e l’inconscio. Reich: la comune di Reich diventa un nuovo strumento sociale di apprendimento che leghi il mondo all’io.

 

 

  

Capitolo 6 – Capanne, parassiti e nomadi: la decostruzione della casa

In questo capitolo si passa all’analisi della decostruzione della casa. Per decostruzione di intende il non vivere più la casa come rifugio ma come solo elemento per svolgere le funzioni principali della vita quotidiana. Questo vivere la casa come elemento porta, pur vivendo in famiglia, a non riconoscere la casa come elemento architettonico ma come parassita all’interno della città. Diventa un elemento architettonico parassita che viene anche definito capanna, in quanto con o senza privacy non vi è più la ricerca verso un elemento decorativo continuo ma una aggregazione di capanne. Questo errato uso porta così anche il nomade, così identificato l’abitante di questa casa, a vivere in modo sbagliato la città, non disturbando al tempo stesso la vita quotidiane degli altri abitanti. Molti gli esempi presi in considerazione, ma quello eclatante su cui si sofferma l’autore risulta essere la capanna di Toyo Ito, all’inteno del quale vive una nomade che non reca disagio alla città pur pensando di situare queste capanne come cielo appeso nella città di Tokyo.

 

  

Capitolo 7 – A bigger splash: la casa del pragmatismo.

In questo settimo ed ultimo capitolo si vuole analizzare la case del pragmatismo. L’autore non prende in considerazione un solo esempio ma analizza più casi; ognuno degli esempi presi in considerazione ha degli elementi a se stanti, tutti sono diversi, la casa pragmatista non presente elementi fisici in comune. La definizione della casa pragmatica è data dalla famiglia che la vive, tutti i componenti della famiglia vivono la casa a tempo pieno e al massimo delle capacità, la famiglia vive coalizzate e nessuno e lasciato in disparte o trascurato o trattato, come per esempio la moglie di Heidegger, da schiavo; lo schiavo non esiste tutti gli elementi della famiglia sono sullo stesso livello. Se per errore dovesse esserci uno “schiavo” lui sarà quello che vivrà la casa pragmatica nel  modo migliore, lasciando agli altri componenti della famiglia alcune oscurità della casa.